Alfabeta - anno X - n. 110/111 - lug./ago. 1988

Alfa beta 11O/111 \ Gli appunti che seguono vogliono essere solo un esempio (non so quanto interessante) del materiale su cui devo lavorare per la scrittura di un libro: L'esilio nella foresta, di prossima pubblicazione presso Theoria. Si tratta della narrazione di eventi in parte connessi a quelli già descritti ne La foresta intelligente, Cappelli, Bologna, 1981. G.C. L'esilio nella foresta S ono impegnato nella stesura di una memoria di viaggio attraverso le foreste del Nord Europa e dell'Asia tropicale. Non è propriamente un romanzo, né un resoconto sistematico dei fatti accaduti: ciò che mi interessa è comprendere il mondo della foresta, entrare in risonanza coi suoi enigmi, e quindi riuscire a descriverli nella scrittura. La foresta - e tutto ciò che alla foresta in un modo o nell'altro si connette - è per me un mistero. Sento con certezza - anche se non ne so, per ora, la ragione - che tale mistero è un problema non solo astorico, ma anche del nostro tempo: interrogandomi sulla foresta - che pure esiste da prima che esistesse l'uomo - io mi interrogo sul senso dell'epoca in cui viviamo. Che cosa ci sta succedendo? mi sono chiesto. A quale destino siamo oggi chiamati? Cercando una risposta, io mi sono messo in viaggio, sono entrato nella foresta. Perché nella foresta e non altrove? in città o sul mare, o anche solo semplicemente fra i libri? Diciamo soltanto che la partenza per la foresta mi è stata imposta, ormai diversi anni fa, ai tempi del servizio militare: è stato allora, fra i boschi di conifere attorno alle caserme, che ho avvertito la presenza di un «qualcosa», un messaggio che riluceva, bisbigliava in mezzo ai tronchi, e che poi avrei ritrovato, stranamente simile, nella giungla dei tropici. Il senso di questo messaggio non mi è, a tutt'oggi, chiaro; è possibile che il suo segreto si dischiuda soltanto dopo la fine del libro che vado scrivendo. Ciò che oggi posso dire è che, per avvicinarmi a tale senso occulto, io devo tenere conto, nella scrittura, di tutto quanto avverto essere in un rapporto più o meno oscuro con il mistero della foresta. Lavorare alla descrizione di un mistero significa innanzitutto saper accogliere, osserva-; re, ascoltare ogni cosa che ci si faccia innanzi, come per ,: offrirci un barlume, un'eco di quel mistero. Così, nella scrittura di un simile libro, io devo considerare non solo quello che effettivamente mi è capitato in viaggio, ma anche e soprattutto la congerie disordinata, il labirinto di aneddoti, sensazioni, ricordi sparsi, sogni, incontri, che in un modo o nell'altro «sento» appartenere al mondo della foresta: ogni volta che semplicemente penso al libro sulla foresta, di colpo mi trovo perso nella selva disordinata di simili visioni. Prima ancora di accingersi, materialmente, a scrivere, occorre sapere orientarsi, rimanere immobili, avanzare in mezzo all'intrico inesplorato delle figure che si mostrano, che appaiono e scompaiono, tutte indicando qualcosa di prezioso e di non detto, una promessa silenziosa, quel «qualcosa» che ancora non so cos'è, ma che so che c'è. Ecco dunque - senza alcuna risistemazione o interpretazione, senza abbellimenti, più o meno così come di fatto si presentano - alcune (solo alcune) delle cose che «vedo», che ricordo, che mi tornano in mente, non appena mi rivolgo al libro sulla foresta. Sono queste «cose» quindi a costituire la materia bruta che dovrà poi essere lavorata dalla scrittura: - Una miniatura vista al Prince of Wales Museum di Bomba:y: nella radura di una foresta, qualcuno (un demone, un dio?) sta tenendo un discorso a un gruppo di donne accovacciate intorno a lui: si tratta di donne cannibali: sono piccole, rotonde, hanno lunghi canini che sporgono dalle labbra. - Un sogno fatto tanti anni fa, al liceo: con la mia classe facevo una gita in Polonia, ai piedi dei Carpazi; a un tratto compariva una colonna di militari: pareva volessero internarci tutti in un campo di prigionia; qualcuno di noi riusciva a fuggire, tentavamo di tornare in patria a piedi, tenendoci sempre nascosti nella foresta; salivamo sulla cresta di un monte; ai nostri piedi si apriva una conca verdissima, stupenda, boschi e solo boschi fino all'ultimo orizzonte. - Ricordo di un libro dell'antropologo Pierre Clastres: soggi~rnava presso una tribù di indios, i quali avevano fama di essere cannibali; a Clastres non risultava nulla, fino a quando, nella foresta, s'imbatteva in una graticola con resti umani cucinati. - Qualcosa di simile, mi sembra di ricordare, era successo anche a Melville, durante il suo soggiorno presso i Taipi delle isole Marchesi: un giorno, nel mondo idilliaco della tribù, facevano la loro comparsa alcuni secchi (delle pentole?) colmi di sangue e membra umane. . - Una fotografia della foresta di Bialowieza, in Polonia: si vedono felci e muschi, due grandi tronchi d'abete riversi Laboratorio italiano 88/Letteratura ... sopra uno stagno, altri abeti tutt'attorno; silenzio, solitudine, malinconia. - Un tempio visto vicino a Hampi, nell'India meridionale: era dedicato a Hanuman, il dio scimmia; si saliva fino in cima a un monte coperto dalla boscaglia; all'interno del tempio, un unico bramino, intento a leggere il Ramayana. - Così si racconta nell'antica epopea indiana del Ramayana: il principe Rama e la sua sposa Sita rinunciano volontariamente al regno che gli spetta, partono per un esilio di sette anni nella foresta di Dandaka; solitaria e stupenda, la foresta è infestata dai demoni; ma lì vivono anche gli asceti, in cerca dell'illuminazione e della beatitudine. - Dalla finestra della fureria, nella mia caserma, potevo vedere soltanto un muraglione grigio, col filo spinato e la torretta di guardia; al di sopra di tutto ciò, incombeva una montagna coperta unicamente da abeti neri: era una visione al tempo stesso malinconica e meravigliosa, dolce e spaventevole; da lassù la foresta chiamava a sé, sembrava indicare una promessa di perdizione e liberazione. - L'esilio nella foresta: la partenza per un oltremondo, dove regna la solitudine e l'incanto. - Erodoto che lascia Alicarnasso e parte per vent'anni di viaggi, alla ricerca di tutto ciò che è prodigioso e degno di essere ricordato. - Il laghetto di Mittersee, sulle Dolomiti: gli abeti si specchiano nell'acqua, la nebbia aleggia sopra gli abeti, e di là dalla nebbia, le torri grigio rosa del monte Latemar. Giobbe, 1905 ca Ricordo della foresta sul fiume Tembeling, in Malesia: è forse la più antica foresta del mondo; all'alba appare nera, nerissima, seminascosta da una nebbia malinconica, come i boschi delle Dolomiti, come una fossa persa in mezzo al cielo. - L'antico oracolo di Trofonio, in Grecia: attraverso una spaccatura della terra ci si calava in una caverna sotterranea, popolata da serpenti; lì il consultante pot.eva udire la voce del dio Trofonio, suoni soprannaturali che gli sarebbero stati poi interpretati dai sacerdoti. - Fra le rovine di Hierapolis, in Turchia: un cancelletto oggi vieta l'ingresso a un antro sotterraneo da cui escono miasmi velenosi: è l'antico «plutonio», dove i vaticinanti scendevano, per poi risalire e profetare in uno stato di ebbrezza, causata dai gas. - Risalendo il fiume Skrang, nel Borneo: sulle sponde, enorme, la foresta, solo la foresta; poi, a un tratto, alzando il capo, vediamo un filo teso da uri albero all'altro, sopra il fiume: è l'unica traccia umana: vi stanno appesi cestini conici, di bambù: contengono offerte per tenere gli spiriti maligni lontani dal villaggio verso cui ci stiamo avvicinando. - Perché questo senso così forte di stupore, di struggimento, ogni volta che ricordo la foresta? Come se la foresta fosse persa in una nebbia triste, dietro a cui, però, sorride. - La mensa della mia caserma: seduti ai tavoli di ferro, con la tuta mimetica, a capo scoperto, gli alpini stanno manpagina37 giando; in piedi, per sorvegliarli, passeggiano gli ufficiali e i marescialli, con la penna nera, le stellette d'oro, la fascia azzurra: sono bruttissimi, incredibilmente brutti, e però, proprio per questo, hanno qualcosa di soprannaturale: quella caserma sembrava a volte un teatro in cui i demoni e gli dei recitassero insieme agli uomini; e, sullo sfondo, le Alpi coperte dai boschi. - Un quadro che ho visto più di una volta, appeso alle pareti di legno delle taverne, sulle Dolomiti: dal bosco appare un cervo con una coppa d'oro che brilla fra le corna; davanti a lui i cacciatori inginocchiati. - Una miniatura indiana di Pahari: sulle rive del fiume Yamuna, all'ombra di alberi coperti da fiori, il dio Krishna abbraccia la sua amante Rada; attorno a loro c'è solo la foresta, che li avvolge entrambi, simile a una fidanzata divina. - La foresta è come un'amante, e scrivere è come entrare nella foresta. - Penso alla foresta e vedo la figura di una donna dai lunghissimi capelli biondi e le sopracciglia nere; come è apparsa, così, senza aver parlato, scompare, quasi avesse qualcuno che l'aspetta nel folto dei boschi; chi è? da dove è venuta, con chi se ne sta andando via? - In alcuni villaggi delle Alpi, si possono vedere ancora delle piccole sculture che raffigurano l' «uomo dei boschi»: porta la clava e un vestito verde, fatto solo di foglie; ha una gran barba bruna, l'aria bonaria, ottusa e un po' triste, di chi non ci sa fare con le parole. - In tutto il mondo, su cinque miliardi di abitanti, gli aborigeni che vivono ancora nelle foreste, i pigmei, i negritos, sÒno rimasti in poche migliaia. Cosa pensano, cos'hanno da dire? Qual è, oggi, il punto di vista dell'«uomo selvatico»? - Ho incontrato, sul fiume Tembeling, i negritos Semang: stavano sdraiati davanti a una capanna di foglie secche, mi guardavano, giocavano con una scimmia, non dicevano nulla; sembravano non al di là, ma al di qua di tutto. - I negritos Semang pensano che in cielo stia sospeso un enorme fiore di pietra, col calice colmo d'acqua; di tanto in tanto la corolla del fiore s'inclina verso il basso e così scende la pioggia sulla terra. - Nella giungla, il caldo e l'umido sono tali che si stenta a respirare, come oppressi da un abbraccio fatato, da una presenza invisibile e voluttuosa che ci stringe a sé, ci accarezza dentro, ci annienta. - In Finlandia, un giorno, saliamo sulla cima di un colle: tutt'intorno a noi, una pianura piatta come il mare, ma nera di abeti, nient'altro che abeti; a vederla, a pensare di attraversarla, viene uno strano capogiro, uno sconforto e un'esaltazione: è la foresta boreale, la taiga, che parte da qui e arriva fino in Siberia. - In un museo di Istanbul, una miniatura: vi si vede una selva impenetrabile, un groviglio colorato di rami, cespugli, fiori; al centro, in una minuscola radura soffocata dal verde, c'è una coppia persa in un abbraccio: è l'esilio degli amanti nella foresta: tristezza, voluttà, stupefazione. - Su un albero enorme della foresta di Lombok, in Indonesia, un gruppo di scimmie nere: non badano a noi, salgono, scendono, a gesti si dicono qualcosa: fanno la loro vita; ma di che cosa è fatta questa vita, come passano i giorni, uno dopo l'altro? - Nella foresta si fa tutt'altra vita, o meglio, la vita diventa l'Altra Vita. È questo che sconvolge e attrae? che fa venire il capogiro? - La veglia di notte, la luna piena sopra i boschi delle Dolomiti ... - E così via, e così via ... Queste figure formano solo una piccola parte della selva di immagini che mi si leva intorno. Fin dove arriva la selva? Ogni figura, nella sua semplicità e rozzezza - circa così come è stata descritta - si presenta portatrice di un suo particolare enigma; ma al tempo stesso indica, richiama una figura nuova, come se proprio in quest'ultima ci fosse la soluzione dell'enigma presente nella prima. Si crea in tal modo una concatenazione, un labirinto di figure, che sembrano non avere fine. Tuttavia il labirinto è forse una spirale, che torna e ritorna su temi ricorrenti. C'è un sentiero nella selva, che adombra, allude, promette l'esistenza di una meta. La meta è il «qualco~a» già presente fin dalla prima immagine. Ma solo cercando l'ultima immagine, solo mettendosi in cammino verso un'impossibile, inesistente Ultima Figura, la meta potrebbe a un certo punto disvelarsi e mostrare il segreto del Qualcosa. La scrittura è il cammino verso la fine della spirale, verso la salvezza e la quiete che cominciano subito al di là dell'ultima figura, solo dopo che si è intravista campeggiare, nel Vuoto, l'ultima figura ...

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