Alfabeta - anno X - n. 110/111 - lug./ago. 1988

Alfabeta 110/111 Laboratorio Italiano 88/Saggistica pagina 35 Cesare Viviani Non c'è pericolo maggiore per la psicanalisi della domanda di oggettività: essa continua a infiltrarsi, come un veleno mortale, nei gangli del lavoro analitico. Così da un lato alcuni punti teorici indiscussi, dall'altro le pretese del professionismo mantengono la psicanalisi nella cittadella delle certezze. Così le regole vengono derivate dai codici, invece che dal luogo incandescente dell'uscita dal sapere. Lungo gli anni della mia pratica di analista è cresciuto un libro che vorrebbe sciogliere l'analisi da questi agganci di garanzia. Si intitola Il sogno dell 'interpretazione, è di prossima uscita. Anticipo qui il capitolo intitolato Il narcisismo dell'interprete. Il narc1s1smo dell'interprete c.v. I I Doppio non deriva dalla consapevolezza critica: non è l'altro (gli altri), il diverso o l'opposto che ci raffiguriamo presenti in noi. Il Doppio non è pensato: bensì accade, inaspettato e sconosciuto. Si potrebbe dire: proviene dall'inconscio. Voglio dire che ogni irruzione è propria del presente. Il passato può tornare, ma non irrompe: irrompe ciò che del presente non vuole - non può - divenire passato. In questo senso il ritorno di un passato rimosso è un'irruzione del presente travestito con le apparenze di un passato. Il motivo del travestimento è di fingere una direzione (passato- presente) contraria a quella dovuta (presente - passato) così da evitare quest'ultima (che è propria del concetto ordinario di tempo). Ciò che sorprende, irrompe, si manifesta all'improvviso, non è qualcosa che arriva da altrove, bensì qualcosa che «non vuole andare», e nel momento in cui si oppone all'esperienza comune del tempo - il movimento del futuro verso il presente, e del presente nel passato - irrompe. L'irruzione è ciò che non segue l'idea del flusso del tempo. La cosa che «non vuole andare» c'è nel momento in cui non vuole andare. Non si può dire che «c'era prima», così come essa non vuole affidarsi ai modi e ai tempi del passato («c'era» esprime un passato). Questo essere senza mai essere stato (né prima né poi) è un presente irriducibile. E forse è il Doppio. La paura dell'assenza dell'ombra non è legata, come si pensa razionalmente, al dubbio sulla consistenza del corpo. Ma è che questa assenza segnala la mancanza del principio di causalità e quindi rappresenta l'inconscio. Oppure: è che si è capito che l'ombra- come valore e oggetto d'amore, e vorrei dire anche come a entità fisica - viene prima del corpo. Si dice comunemente che il vero persecutore è interno. Penso si possa dire sinceramente che è l'«io» (nell'accezione psicanalitica)': perché /'«io» non dà pace. La somiglianza di due uomini li spinge ad amare la stessa donna: perché ciascuno non vuole perdere l'occasione di frequentare l'altro. Qui diventano irresistibili - proprio per il fatto della somiglianza - quel bisogno di compagnia e di sostegno e quella paura del rapporto diretto eterosessuale che spingono sempre a occuparsi lungamente della moglie o del marito, della madre o del padre della persona amata (cioè: degli amori attuali e di quelli passati). E, alla fine, si può pensare che è nell'Edipo la prima espressione dell'ambivalenza: il genitore del proprio sesso è rivale e, insieme, alleato nell'intraprendere il rapporto col genitore dell'altro sesso. Vedersi (allo specchio, nell'ombra), vedere la propria immagine segna l'inizio della riflessione: pensare di sé. Si potrebbe dire che la grande vicenda di amore e morte deriva dalla propria immagine. Vedere la propria immagine come un «altro simile-uguale a sé» inaugura la possibilità dell'amore: perché quest'altro ha la capacità di vedere con i suoi occhi - può uscire dallo specchio, può come ombra allontanarsi dal corpo. Ma qui insorge la paura di essere visti: inizia la persecuzione. Perché essere visti si- («Che è fuori del centro»). Il primo mi sembra un'ottima descrizione dell'inconscio: preciso ma indefinibile. Il secondo esprime problemi di aggiustamento (gli occhi sono puntati sul centro). Lo spirito protettore diventa persecutore. Abbiamo visto un passaggio simile nel «Perturbante» di Freud. L'angelo custode è schiavo del custodito. La stabilità del legame o della funzione - potremmo dire la stabilità dei significati - è all'origine della valutazione negativa e del bisogno di staccarsela di dosso. Ma non interrompendo il legame - la stabilità -, il negativo non si allontana ed ecco il vissuto persecutorio. _ Il punto più alto della riflessione è l'intuizione dei primitivi che dice: l'immagine del corpo (o la sua copia: l'ombra) è l'anima. Ne deriva che: Dio serpente, 1905 ca gnifica l'esistenza di una e infinite immagini diverse (e simili) da quella che l'io ha di sé. Lo sdoppiamento ha provocato.la proliferazione delle immagini e l'instabilità dei significati: si arriva così a desiderare di sopprimere il doppio responsabile. Ma nell'eliminazione si crea un processo di appiattimento, inverso a quello di raddoppiamento: si uccide se stessi. L'espressione «narcisistica» e la ricerca del vero hanno apparenze simili: in entrambi i casi si vede un uomo immobile che guarda dentro di sé. Quando si vede un uomo immobile che guarda dentro di sé, gli si può chiedere che cos'ha ma sarebbe un errore imperdonabile dire che cos'hà. Se poi lui, rispondendo, non si riferisce a concetti come «narcisismo» o «vero», l'errore è ancora nostro - di lettori - che lo vogliamo collocare nella direzione dei nostri pensieri. «Patografo» è una parola che fa pensare subito a uno strumento e non certo a un uomo. Nell'etimologia di «eccentrico», c'è un passaggio fondamentale da un primo significato («Che ha il centro fuori») a un secondo - l'anima è la prima cosa che si vede; - coincide con i contorni del corpo; - è attaccata ad e_sso; - lo spirituale collima col fisico. Se dunque (come testimonia quest'ultima proposizione) una delle prime impressioni del bambino coincide con una delle ultime e più alte riflessioni, allora si può raffigurare la vita non come un cammino (un avanzare, un procedere) ma come un cerchio (dove alla fine si ritorna all'inizio), o meglio come una sosta sempre nello stesso luogo: la verità si scopre subito ma ci vuole una vita per crederci. Ci vuole ombra per fecondare. Il luogo dove la vita si riproduce è ombroso. La perdita è silenzio; se invece è detta diventa acquisizione dell'io. La volontà è sempre un'affermazione, anche quando vuole negare: per questo si cerca ciò che si vorrebbe evitare. Nel passaggio dallo stadio dell'autoerotismo a quello del narcisismo, Freud vede la composizione in unità delle pulsioni sessuali prima isolate. Il discorso può riaprirsi se l'isolamento o la molteplicità delle pulsioni non sono visti come realtà, ma come un'interpretazione: quindi quell'assenza di unità è solo relativa a una certa griglia di lettura. Il narcisismo è l'interpretazione: l'interpretazione è l'espressione più netta e più pura del narcisismo. I narcisisti non sono il bambino o il gatto - quando non hanno bisogno di nessuno - ma coloro che li definiscono tali. L'interprete è quasi sempre colui che va in cerca di conferme: i cosiddetti narcisisti sfuggono alla richiesta d'interpretazione e di conferma, sono come dice Freud «autosufficienti». Ma è chiaro che la definizione di «narcisista» parla della frustrazione dell'interprete e non dice niente dell'atteggiamento del bambino (o del gatto). Il bambino e il gatto sono in un mondo così diverso da quello dell'interprete che questi non può pretendere di sapere. E l'educazione non è forse la pratica più smaccata di narcisismo? Si tratta di rompere, con l'assillante interventismo degli adulti, questa «inaccessibilità», di cui parla Freud - che potremmo chiamare «diversità», «irriducibilità» - per avere .conferme, per avere ragione. Il punto fondamentale è l'incapacità dell'interprete di rinunciare a questa condizione di autoconferma che lui, sugli altri, ha chiamato «narcisismo». L'incapacità di accettare esistenze diverse. Credetemi, il bambino e il gatto sono in un mondo così altro («l'altro mondo») che nemmeno è sfiorato dal concetto di <<narcisismo». Questa parola non dice niente di loro. A proposito del «narcisismo» e dell' «ideale dell'io» Freud parla di «perfezione». Mi pare che il rapporto con la «perfezione», in quanto impossibile, è rivolto alla morte. La realtà chiamata «narcisismo» con la sua «inaccessibilità», costituisce il limite dell'interpretazione: insomma è il luogo che non si apre all'interpretazione, ovvero il luogo in cui l'interpretazione non può entrare. La non accettazione di questo limite fa scattare una reazione di pretesa e di sopraffazione: si interpreta lo stesso, chiamando «narcisismo» quella inaccessibilità. Ma invece «narcisismo» è la parola che descrive bene la reazione arrogante (voler sapere ad ogni costo) che scatta di fronte a un limite invalicabile. «Trattenere la propria libido nell'Io senza consumarla neanche un po' negli investimenti oggettuali» (Freud, Al di là del principio di piacere): questa frase con le sue certezze di realtà può essere accolta solo se si accompagna a quello che si legge poche pagine dopo: e cioè che anche i linguaggi scientifici sono linguaggi «immaginifici». Prima del sintomo c'è tutto. Ma non si può dire che «prima del sintomo c'è l'angoscia». Quello che c'è prima del sintomo è quello spazio organico di cui si può parlare solo simbolicamente: cioè senza stabilire rapporti di causa ed effetto. All'idea della distinzione delle pulsioni in erotiche e distruttive, preferisco l'idea che le pulsioni sono entità spaziali (movimento) e che solo la violazione della relatività (vale a dire: l'uniformità di pensiero) li definisce secondo una valutazione di negativo e positivo: in effetti la pulsione «distruttiva» in altro contesto è «erotica».

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