pagina 24 ricostruzione più sensibile ai momenti di incubazione e di avviamento. Il fatto che il quarto centenario della morte di Hobbes sia stato, per esempio, occasione di dibattito anche all'interno della sinistra, e non solo nei luoghi accademici istituzionalmente deputati, è la spia di un dato più generale: non è solo il presente che appare opaco, privo di evidenze persuasive, sfuggente e innafferabile, è anche un certo passato filosofico che denuncia di essere stato a lungo costretto in maglie soffocanti e che chiede di essere liberato grazie a un rinnovamento dello sguardo storiografico e alla sperimentazione di nuove strategie di lettura. Una proposta razionalistica e neo-illuministica (quale quella ribadita anche in questa occasione, nei suoi lineamenti essenziali, da Salvatore Veca) è destinata perciò a cimentarsi non solo con le resistenze offerte dal panorama filosofico contemporaneo, ma anche con gli ostacoli di volta in volta riproposti da un passato filosofico recente e meno recente: per esempio, con le vesti patologiche che il soggetto etico ha assunto, secondo la traccia interpretativa di Reinhart Koselleck, per rispondere compensativamente alla crescente incapacità di incidere sui meccanismi della decisione politica. Se questa ottica di riappropriazione selettiva della nostra eredità filosofica ha un qualche fondamento, nei panni di un avversario tenace dell'etica razionale potrebbe comparire, poniamo, non un irriducibile esponente dell'irrazionalismo contemporaneo, ma lo scetticismo di un Montaigne. Su questo punto conviene indugiare un attimo, giacché la cristallizzazione di schieramenti sommariamente intitolati a una corrente razionalistica e a una corrente alternativa irrazionalistica sarebbe probabilmente rovinosa per ogni approfondimento futuro. La cosiddetta impopolarità odierna delle fonti democratiche e illuministiche del pensiero occidentale non è necessariamente, come ha paventato Danilo Zolo, il sintomo del Cartier e i suoi gioielli Augusto Ancarani L ' apertura della filiale di una gioielleria di gran nome (Bruxelles, Avenue Louise, 21 aprile 1988) è un avvenimento mondano, a suo modo culturale. Cartier aveva stipato un pubblico elegante, si suppone danaroso, sotto una gigantesca tenda da circo. Peregrina l'idea di presentar gioielli su indossatrici conciate a suggerire nudità, innocenti e impudiche. I vestiti sono fatti per alludere ai corpi, esaltarne le capacità di seduzione, fame attaccapanni mobili. E i gioielli? Al contrario dei profumi, le donne più affascinanti non li possono indossare come unico abbigliamento. A farlo, rischierebbero di trasformarsi in idoli inaccessibili, in icone intoccaricorso - tra l'annoiato, lo snobbistico e l'aristocratico - a suggestioni di nichilismo giuridico: può essere invece il sintomo della volontà di costruire una piattaforma più mediata di approccio all'irregolare, all'asimmetrico, al non passibile di normazione. A che cosa serve un corpus normativo che non sappia' o non possa immanentemente confrontarsi con gli stati di emergenza? Di questi ultimi, peraltro, non è davvero obbligatorio coltivare un fantasma bellicistico e apocalittico: è sufficiente intenderli come momenti di improvvisa e incontrollata accelerazione della trasformazione etico-politica e di interruzione della routine procedurale. Ed è poi vero che, sul versante opposto a quello di un normativiCfr smo astratto e privo di ogni duttilità, si spalanca solo il baratro di un decisionismo senza appello? Per tematizzare le barriere strutturali che si frappongono al consenso etico universale non è necessario appesantire il discorso con postulati estratti da un'antropologia pessimistica, quali potrebbero essere racchiusi nello schema pau- «Vignetta», 1900 ca ra/sicurezza o aggressività/pacificazione. Si può eleggere a criterio, meno impegnativamente, una concentrazione delle relazioni morali come di una sfera attraversata da mosse ludiche e discrezionali (l'altro come ambiente rispetto all'io, cioè come portatore di un eccesso di informazioni), e perciò come una sfera che trova sostegno nella delega irriflessa affidata alle strutture impersonali e istituzionali di riproduzione del consenso. Molto dipende, in definitiva, dalla diagnosi piuttosto che dalla prognosi. Non direi che le linee del dibattito odierno siano, com'è stato suggerito, figlie della crisi del marxismo. Le definirei piuttosto effetti della crisi del liberalismo, cioè di un malessere meno congiunturale e dotato di radici più profonde. Il marxismo è stato a tratti, nel cammino della filosofia novecentesca, un'esperienza minoritaria. Un razionalismo che volesse purgarsi dei punti epistemologicamente deboli del marxismo, potrebbe ritornare alla figura dello «spettatore imparziale» come a una soluzione attendibile di ricomposizione della razionalità sociale: è stato questo almeno uno degli itinerari percorsi da Habermas. Cfr/da Bruxelles bili. Ma ciò che è da escludere nell'uso corrente è invece accettabile se le portatrici sfilano in mostra o giocano alle belle statuine. Spesso arti smembrati, di preferenza neri, adorni di ori e di pietre preziose stanno nelle vetrine dei gioiellieri come ex-voto macabri e invitanti, in teche di lusso. A delle indossatrici non si chiedono sacrifici tanto cruenti: basta e avanza un richiamo a certi esemplari reperti anatomici. Scorticate risultanze ottenute da abili bisturi, o essenziali modelli di statue di cera da teatro anatomico, vengono in mente. Qui, invece che scuoiate a rischio di non lasciar che le ossa, le modelle erano infilate in tute aderenti, come da sommozzatore. Guizzavano nere, marezzate e lucenti, con incongrui caschetti di capelli biondi tinti, a sommo di volti troppo bianchi. Come se il preparatore non avesse, notomizzandole, ben terminato il suo lavor. A dire il vero, anche i glutei rimanevano, e oscillavano al passo: tanto deve essere difficile ottenere una femminilità del tutto neutra, suggeritrice non già di concupiscenze carnali, ma di puri desideri di oreficeria. Questo, infatti, avrebbe dovuto imporsi come messaggio: il valore assoluto di anelli, bracciali e collane sul nero del corpo. L'effetto sarebbe stato più persuasivo con indossatrici di colorè, senza ricorso a guaine soffocanti. I fiati grossi e i peccaminosi desideri del pubblico femminile si scontravano con i prezzi e non con le barriere fra esilità dei manichini proposti e forme delle clienti. E attorno alle figure negricanti, insieme pelli fresche e sacche di cuoio bollito, belle donne e rovine lardellate della solita mondanità: prossime, quale più quale meno, ai ninnoli sbrillantati, di grande stazza e costo. Tante "legentili presenze, messe in abitucci a palloncino, a spallone atletiche, a caricatura di minorenni ingenue dalle calze bianche: un gran varietà di abiti da sera, un agitarsi curioso per salutarsi, annusarsi, studiarsi, adocchiare il contenuto delle vetrinette. Faceva un bel vedere la mostra dei gingilli milionari, con orologi impreziositi, con idoli tempestati di rubini e di smeraldi, con scatole e scatoline incrostate di pietre dure, con fioroni d'oro dai pistilli estranei a ogni flora, con penne stilografiche stillanti ori smaltati e non inchiostri. La tenda, si è accennato: eretta su quello che è un nodo aggrovigliato del traffico sotterraneo dei tram - come chi dicesse un voler non posso provinciale di ferrovia metropolitana - fra un gran rombo, e rullio e scuotimento, continuo, da temere il pavimento si aprisse da un momento all'altro. Su e giù correvano agitati custodi, Alfabeta 1101111 Un orientamento diverso è legittimato invece a sospettare che già nello «spettatore imparziale», cioè nel cruciale passaggio liberale dalla filosofia inglese e scozzese del primo Settecento a Kant, si annidasse un salto non giustificato. Lo spettatore imparziale, infatti, nasce anche col concorso. della credenza che sia possibile ottundere l'angoscia quotidiana della morte e puntare sulla speranza che il genere umano raccoglierà in futuro i frutti della moralità presente. Quando il senso della morte e della finitezza individuale torna a farsi acuto e recalcitra a strategie di ottundimento, il disinteresse ( o l'interesse collettivo e ben inteso) ricomincia a perdere colpi. In linea di principio, una prospettiva che mantenga aperta la tensione tra etica e politica può produrre il contrario di una logica della rassegnazione e del crepuscolarismo accidioso. Oltretutto, l'opacizzarsi, quando non l'estinguersi, degli interlocutori politici di grande calibro - dai partiti ai movimenti di massa - renderebbero velleitaria qualsiasi pretesa di affiliazione del sapere filosofico. Il pericolo è semmai inverso: che il sapere filosofico, come ha insinuato ironicamente Gianni Vattimo, si approssimi a una soglia di superfluità sociale e di ghettizzazione. Si apre a questo punto il capitolo , che non è solo piattamente organizzativo, di uno stile di confronto più compatto e più stringente; si profila l'esigenza di prime delimitazioni e di prime, sommesse scale di priorità. Nei limiti del possibile, il convegno di Milano ha già ridotto il tributo di liturgia e di ritualità che viene inevitabilmente pagato a occasioni di incontro di questo genere. Si può andare a scadenza non lunga verso un'ulteriore chiarificazione delle opzioni in campo e, perche no?, verso la delineazione di schiarimenti, sè non netti, almeno identificabili. Alla resa dei conti non è possibile che tutti vadano d'accordo con tutti, e neanche in filosofia è scandaloso prefigurare maggioranze e minoranze. con telefoni portatili e gonfiori molto persuasivi e asimmetrici delle giacchette: se ne accresceva il valore dei gioielli che, altrimenti, avrebbero potuto essere falsi. Non mancava l'indispensabile musica in sottofondo. Al suo aumentare di volume, le fanciulle inguainate di nero salivano su un palchetto a mimare improbabili Emanuelles, a macerarsi di sudore sotto i riflettori, a straziarsi divincolandosi quel poco che permettevano le funeree tute. Poi, al calare del suono, le nere larve giravano dietro una quinta e il pubblico tornava alle chiacchiere e allo inseguimento degli scarsi camerieri, esitanti a raggiungere vassoi pudicamente sguarniti·: che non si trasmutassero in oro gli evanescenti tramezzini o le tartine minuscole. Re Mida, ai tempi suoi, mangiava poco.
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