Alfabeta 1101111 fra l'atteggiamento di chi si limita a partecipare a processi di comunicazione e quello di chi deve comunicare la propria interpretazione di tali processi e sostenerne una validità il più possibile persuasiva e oggettiva. Fra il primo atteggiamento, performativo, e il secondo, oggettivante, c'è una stretta correlazione anche se il passaggio dall'uno all'altro non avviene senza difficoltà che sono da ricondursi «al fatto che quanto viene compreso in un atteggiamento performativo deve venir tradotto in quanto si può constatare dalla prospettiva della Terza Persona» (Habermas 1983, pp. 32-33). La tendenza ali' oggettività dell'osservazione deve quindi fare i conti con la partecipazione. II legame e la differenza fra questi due momenti rimandano ovviamente al legame e alla differenza fra lettura privata e dimostrazione pubblica. Che questo sia un nodo cruciale da un punto di vista ermeneutico è provato dalla coincidenza, a tale proposito, della posizione di Habermas con quella di Ricoeur. II modello proposto da Habermas è definito «statuto misto» da Ricoeur (1881, pp. 64100), il quale vede in esso il carattere proprio delle scienze sociali, che non si limitano a partecipare alla tradizione ma intendono anche distanziarsene per poterla giudicare. Per queste discipline, Ricoeur propone la categoria della «semi-oggettività». Nel caso della letteratura, la dialettica del dialogo si svolge in un modo particolare, ben diverso rispetto al dialogo vis-à-vis. Attraverso la fissazione della scrittura, l'opera si affranca infatti dal destinatario iniziale. La mediazione del testo non è perciò riconducibile semplicemente ali' estensione della situazione dialogica originaria: essa se ne presenta già distanziata e dunque suscettibile di astrazione e di spiegazione semiologica. «Le procedure di astrazione e di oggettivazione derivano - scrive Ricoeur (p. 88) - dallo statuto stesso della scrittura - o dell'iscrizione in generale - in rapporto alle parole vive», per cui comprensione e spiegazione, momento non metodico e momento metodico, non sono affatto in opposizione fra loro, ma si presuppongono a vicenda. II rapporto tra comprensione e spiegazione in Ricoeur non è dunque diverso da quello tra partecipazione e osservazione in Habermas. Ricoeur aggiunge che in esso va colta «un'implicazione ontologica fra il nostro appartenere agli esseri e all'essere e il distanziamento che rende possibile ogni oggettivazione, ogni spiegazione e ogni critica» (p. 90). Questa osservazione appare valida non solo per l'ermeneutica del soLaboratorio italiano 88/Saggistica spetto (alla quale qui Ricoeur sta pensando e che appartiene anche all'orizzonte, io credo, della critica letteraria), ma anche per ogni posizione che riconosca (direbbe Lukacs) un'ontologia dell'essere sociale. La partecipazione alla tradizione da un lato e alla comunicazione dall'altro non esclude affatto l'atteggiamento critico nei confronti di entrambe, esattamente come l'esigenza della persuasione non è affatto in contraddizione con quella della dimostrazione e anzi ha un bisogno organico di appoggiarsi a essa. . 3. Per ripararsi Jalla critica di soggettismo, Fish non fa che spostare l'attenzione dal singolo lettore a entità collettive, le istifondo, a una logica istituzionale che lo sovrasta. Mentre intende distruggere ogni essenzialismo, Fish finisce per fondarne uno nuovo: l'essenzialismo istituzionale. Il fatto è che Fish confonde, usandoli di fatto come sinonimi, socialità e istituzione, storicità e comunità interpretante. Quando afferma che «non esistono obiettivi e ragioni che non siano istituzionali», (1987, p. 145), Fish non indulge solo a una sorta di cinico e divertito scetticismo ma sembra proprio non cogliere la dialettica - di cui parlò anni fa Fortini ..,..fraruolo e funzione nell'attività intellettuale, fra la necessaria istituzionalizzazione della critica e la sua fondazione storico-antropologica, fra l'orizzonte della Fata, 1900 ca tuzioni, viste come unica fonte di determinazione dei significati. Al posto di un nichilismo esistenziale o ontologico, Fish sembra proporne uno sociale. Una volta bandito il vincolo del testo, l'unica restrizione resta quella delle comunità interpretanti, senza che venga superato mai l'empirismo del caso per caso e senza che venga definita la loro natura, cosicché risulta impossibile assumere nei loro confronti una distanza critica. Anzi, esse funzionano al di là della consapevolezza del singolo, attraverso un meccanismo di cieco determinismo assai più rigido o coattivo della struttura economica marxiana o dell'inconscio freudiano: il critico, anche se non lo sa, non è mai libero perché sempre obbedisce, nel proprofessionalità o del professionalismo e quello del processo storico in cui si inserisce l'attività critica. Appiattito il secondo aspetto sul primo, e così fatta sparire la funzione nel ruolo, non resta che lo scheletro nudo della logica riproduttiva delle istituzioni nella sua duplice variante, o scientistica o meramente ideologica, attraverso la riduzione della critica a tecnica neutrale e oggettiva di analisi testuale o a tecnica soggettiva dell'argomentazione e dell'abilità sofistica. Nel primo caso come nel secondo, non si dà più scelta e gerarchia di valori: la tradizione come selezione, processo, trasmissione, insomma come memoria, viene azzerata e resta solo come puro contenitore di materiali interscambiabili da catalopagina 15 gare secondo procedure avalutative o da manipolare secondo procedimenti esclusivamente suasori. Se la funzione della critica coincide col compito di tenere in riuso il patrimonio' culturale di una civiltà e dunque esige la responsabilità della selezione e del giudizio e la commisurazione di tale compito su un'idea della totalità del processo storico e dei suoi esiti possibili, la sua riduzione a tecnica tendenzialmente escluden IL' l'interpretazione oppure a interpretazione pregiudizialmente escludente l'elemento storico e filologico del testo, sorte il medesimo risultato: quello di chiudere la forbice tra ruolo e funzione e di schiacciare la prospettiva su quella dell'istituzione in cui egli opera. Facendo coincidere l'ontologia dell'essere sociale con l'ontologia dell'essere istituzionale, e anzi annullando quella in questa, Fish compie un'operazione teoricamente (ma anche politicamente) molto pericolosa, perché mutila la dialettica del dialogo nell'ipostatizzazione ideologica dell'assetto istituzionale esistente, elevato a unico interlocutore, onnipotente e monologante. In altri termini, promuove l'attualità a eternità. Ma la convenzionalità che regge la dialettica del dialogo non è quella delle istituzioni, ma piuttosto quella che fonda qualsiasi istituzione e nel medesimo tempo la speranza di un superamento della loro realtà attuale: essa rimanda alla razionalità immanente, e all'etica, del discorso, alla sua pretesa di validità e alla ricerca di intesa che esso postula come valore dialogico. Nota bibliografica F. Brioschi, La mappa dell'impero. Problemi di teoria della letteratura, Il Saggiatore, Milano, 1983. • F. Brioschi - C. Di Girolamo, Elementi di teoria letteraria, Principato, Milano, 1984. U. Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, Milano, 1979. S. Fish, Is there a Text in this C/ass? The Authority of Interpretive Communities, Harvard University Press, Cambridge, 1980. Trad. it. (parziale): C'è un testo in questa classe? Linterpretazione nella critica letteraria e ne/l'insegnamento, Einaudi, Torino, 1987 (le citazioni sono tratte da questa traduzione); Anti-professionalismo, in «aut-aut», n. 217-218, 1987. J. Habermas, Moralbewusstsein und Kommunikatives Handeln, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M. , 1983. Trad. it.: Etica del discorso, Laterza, Roma-Bari, 1985. P. Ricoeur, Logique herméneutique?, in Guttorm Foistad (a cura di), Contemporary philosophy. A new survey, voi. I, M. Nijhoff, Den Haag, 1981. Trad. it.: Logica ermeneutica?, in «aut-aut», n. 215-218, 1987. Francesco • li UZZIO La mia ricerca si svolge principalmente al livello dell'attività critica, con lo sforzo di connettere sempre questa attività interpretativa-valutante da un lato con il progetto di una letteratura ancora da fare, dall'altro con i problemi complessivi della teoria (teoria della letteratura e teoria della critica stessa). Per dare un'idea della linea di tendenza in cui mi riconosco attualmente, ritengo opportuno scegliere i punti dichiarativi più espliciti, cioè quelli specificamente teorici. Non a caso i due interventi da cui farò estratti compariranno sulla rivista «L'ombra d'Argo», e va sottoline_atoil fatto che sono strettamente legati al lavoro collettivo interno e al dibattito esterno suscitat~ dalla rivista. • Il primo stralc{o, riguardante la nozione di comprensione presso Gadamer, è la parte centrale di uno scritto dal titolo Il confronto delle interpretazioni che rielabora il testo della comunicazione (per altro molto decurtata in quella sede) al convegno di Siena sull'interpretazione. F.M. Il confronto delle interpretazioni I n Gadamer l'accento cade invariabilmente sull'attualità; gli stessi scrupoli di «lasciar parlare» il testo implicano sempre un gesto di tradizione che gli dia la parola: nel dialogo ermeneutico, «uno degli interlocutori, il testo, parla solo attraverso l'altro»; e: «comprendere la letteratura non significa anzitutto risalire a un'esistenza passata, ma partecipare nel presente di un contenuto del discorso». Ho citato da Verità e metodo; ma anche nel volume intitolato per l'appunto L'attualità del bello, l'ermeneutica si trova definita come «l'arte di far parlare di nuovo qualche cosa». Ancora, nel saggio Testo e interpretazione, proprio dove si pone il problema di stabilire il testo come «testimonianza originaria», Gadamer conclude riaffermando la priorità di un presente svincolato dall'oggettività del passato; così: «Leggere e comprendere vogliono dunque dire che la testimonianza viene ricondotta alla sua originaria autenticità, e il compito dell'interpretazione si pone sempre quando il senso stabilito è controverso, ed è necessario conseguire la retta comprensione della testimonianza»; tuttavia la base per decidere la controversia è subito tolta, perché «la testimonianza non è ciò che il parlante o lo scrivente ha detto originariamente, bensì quello che avrebbe voluto dire se io fossi stato il suo originario interlocutore nella conversazione», per cui ciò che conta è il momento presente del processo: «un testo non costituisce un oggetto dato, ma una fase nel compiersi di un processo comunicativo». Di qui il valore di modello attribuito alle arti dell'esecuzione, e il tentativo di costituire la lettura, in quanto attualizzazione dei morti segni della scrittura per l'ascolto anche soltanto di un orecchio interno, a parametro di ogni interpretazione, fino alla tesi: «interpretare non è nient'altro che leggere». Una tesi in cui non soltanto svaporano le distinzioni tra il linguaggio artistico dell'esecutore e il metalinguaggio del critico, ma qualsiasi discorso sul testo è ridotto (semplificato) all'atto della sua ri-presentazione; al fondo, la notazione gadameriana di comprensione è decisamente subitanea e intu\tiva, poiché il senso si dà tutto nello stretto intercorrere tra l'essere in grado di recepire e l'essere in grado di eseguire. II senso è già tutto compreso nel momento in cui si riesce a leggere un testo. Ciò si accentua nei riferimenti che Gadamer fa alle opere d'arte, e in particolare alla poesia: non comunicando qualcosa di verificabile all'esterno, la poesia sarebbe pura automanifestazione del linguaggio, evocazione della prossimità, pienezza della presenza, «esistenza essa stessa». In assenza di verifica e di decodificazione, l'arte e la poesia «prendono» (o, che è lo stesso: toccano) l'interprete nel riconoscimento immediato di una evidenza con tutta la «forza di fusione» del presente - di conseguenza: «Ogni interpretazione della parola poetica interpreta soltanto ciò che la poesia stessa già interpreta» (in L'attualità del bello). Ma cosa comprende una siffatta comprensione? Se partiamo dal presupposto che nell'arte-letteratura i significati dei termini rinviino gli uni agli altri secondo determinate costanti, e che da ciò scaturisca la phuivocità (Della Volpe: plurivocità = più termini per lo stesso concetto; ma Ga-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==