Alfabeta - anno X - n. 110/111 - lug./ago. 1988

pagina 14 Laboratorio italiano 88/Saggistica Romano Lupe Le pagine che seguono fanno parte di un saggio (Ermeneutica e testo letterario) che sta per uscire sulla rivista «L'ombra d'Argo» (11-12, 1987) e che poi confluirà, con altri, in un volume che, col titolo Per un'ermeneutica materialistica, dovrebbe apparire nel corso del 1989 presso Editori Riuniti. Nel volume in questione verrà analizzato il rapporto fra semantica e interpretazione attraverso un dibattito polemico con le ipotesi .neoermeneutiche e decostruzioniste, ma anche con quelle scientifiche d'orientamento strutturalistico e semiotico. Vi verrà recuperata, sul piano teorico, una linea che va da Benjamin ad Habermas e, in Italia, da Della Volpe a Rossi-Landi. Questo volume teorico accompagnerà un libro di saggi critici su Simbolo e allegoria nella letteratura italiana del Novecento a cui pure sto lavorando. Penso infatti che il misticismo e/o il nichilismo neoermeneutici oggi prevalenti abbiano il loro presupposto in poetiche di tipo simbolistico, alle quali mi sembra utile opporre un realismo allegorico, consapevole della scrittura e del linguaggio non meno che della necessità di rinunciare a ogni fondamento di tipo metafisico. R.L. A proposito di nichilismo ermeneutico. Tre problemi 1 [... ] Sostituire alla centralità del testo quella della lettura è com- • prensibile mossa polemica ·nei confronti di una metafisica scientista del testo, ma può finire semplicemente per ribaltare l'oggettivismo nel soggettivismo, senza veramente porre in discussione le categorie di soggetto-oggetto e di attivo-passivo così come la tradizione ce le aveva consegnate. Dire - come fanno Brioschi e Di Girolamo - che «tutto dipende da come ci disponiamo davanti al testo»,(Brioschi - Di Girolamo 1984, p. 67) o che «è il punto di vista che crea l'oggetto», (Brioschi 1983, p. 81) o addirittura - come Fish - che «l'interpretazione è fonte stessa di testi, fatti, autori e intenzioni», (1980, p. 21) e che «i fatti linguistici e testuali» non esistono in quanto non sono che il «prodotto» dell'interpretazione, significa in realtà sostenere un relativismo sconfinante con l'aperto nichilismo. Certo, secondo un noto anedotto popolare toscano, io posso anche replicare alla domanda «dove vai?» con la risposta «Son cipolle», ma nella concretezza pragmatica della comunicazione e del suo contesto ciò può significare soltanto o che io sono sordo o che non ho la capacità di intendere il senso della domanda. Nella dialettica del dialogo che si apre fra testo e interprete, i fatti linguistici e testuali non possono essere manipolati da quest'ultimo a proprio piacere né, tanto meno, da lui prodotti: la punteggiatura di un testo, la sua divisione in strofe, il fatto che esso sia composto in endecasillabi o in senari pos- • sono certo essere interpretati o discussi, ma a partire dal vincolo della loro indubbia esistenza. L'intesa cooperativa fra autore e lettore e l'aggiustamento necessario fra strategie di scrittura e strategie di lettura presuppongono dei criteri comuni e razionali che costituiscono un condizionamento per qualsiasi lettura. Siamo di fronte insomma a una dialettica reale di domande e risposte che può svilupparsi grazie al carattere convenzionale della scrittura quale medium sociale. Solo tenendolo ben presente si può davvero superare quella tradizionale dicotomia fra soggetto e oggetto che tanto preoccupa Fish, il quale riesce a risolverla, però, solo sostituendo al soggettivismo del singolo interprete quello, non meno aleatorio, delle singole comunità interpretanti. Fish non scorge alcun vincolo nella semantica e per questo esclude in modo categorico il ricorso al testo come momento di verifica e di controllo. La sua posizione è specularmente opposta rispetto a quella di Eco per il quale, come è noto, «un testo è un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio meccanismo generativo» (1979, p. 54). Mentre per Eco l'interpretazione è una funzione del testo, dal testo prevista e, si direbbe organizzata, per Fish il testo è una funzione dell'interpretazione, e da questa viene prodotto. La tradizionale dicotomia tra soggetto e oggetto ne esce pienamente confermata: da un lato abbiamo una metafisica del testo, dall'altro una metafisica dell'interpretazione; da un lato l'interpretazione critica non può che essere una narrazione dei passi cooperativi compiuti dall'interprete per adeguarsi alle strategie testuali, dall'altro il lettore non decodifica una poesia ma la fa («L'interpretazione non è l'arte di analizzare i significati, bensì l'arte di costruirli. Gli interpreti non decodificano poesie, le fanno», Fish 1980, p. 167). [... ] 2. Una volta esclusi il confronto sulla semantica e il rinvio al testo come momento di verifica dell'interpretazione, Fish non può che espungere il modello della dimostrazione dalla critica letteraria e ridurla a mera arte suasoria. Beninteso, quanti sostengono questa tesi non mancano di buone ragioni. In effetti la critica non è mai semplice e disinteressata lettura, è sempre anche persuasione. Il critico non esaurisce la lettura in interiore homine (e d'altronde, anche nel caso della lettura privata, non manca una dialettica interna: la valutazione di quanto viene inteso «fra sé e sé» - come significativamente suona l'espressione comune - sembra presupporre la presenza di due interlocutori persino nel foro interiore); egli è un mediatore sociale che agisce all'interno di specifiche istituzioni, presuppone destinatari precisi e canali determinati di comunicazione (lo stesso saggio critico è un genere codificato). Operando nell'intento di tenere in ri-uso il patrimonio artistico di un popolo o di una civiltà, egli sceglie e trasmette dei valori, cerca di persuadere a essi, svolge un compito eminentemente civile nel senso etimologico del termine. Di ciò l'atteggiamento allegorico è pienamente consapevole. Mentre l'atteggiamento simbolico respinge con disgusto o con snobistica sufficienza il mondo del limite e dei rapporti materiali di forza, pretendendo di evaderne con l'auscultazione dell'Essere o con la contemplazione del Nulla, l'atteggiamento allegorico è cosciente di dipendere dalla convenzionalità e dalla socialità del fatto letterario e dunque non ignora né il conflitto delle interpretazioni e la posta culturale e politica che è in gioco in esso né la precarietà di qualsiasi produzione di senso (ivi compresa la propria). Ma la persuasione funziona solo a patto • • Alfabeta 110/111 «Grifone ferito» 1930-1935 ca che venga legittimata dal testo. La dialettica del dialogo fra l'interprete e il suo pubblico avviene infatti in presenza di un'altra dialettica, quella fra questo stesso pubblico e il testo, e ne presuppone ovviamente un'altra ancora: quella fra l'interprete e la semantica testuale. In questo sistema triangolare di correlazioni (testo-interprete, interprete-pubblico, pubblico-testo), la razionalità comunicativa del testo è il medium sociale, presupposto ineliminabile di qualsiasi possibilità di comprensione e di comunicazione di tale comprensione. D'altra parte, si danno mutamenti d'interpretazione non solo - come pretenderebbe Fish - quando mutano le prospettive dell'interprete e gli interessi della istituzione in cui egli è inserito, ma anche quando nuovi accertamenti filologici rendano improponibile la vecchia interpretazione. Se non si dà un significato unico di un testo e anzi le sue interpretazioni possono essere infinite, questo non significa che esse siano illimitate, e che non esistano letture più adeguate, mentre altre sono comunque escluse. Ricordare ciò è persino banale; stiamo parlando della pratica quotidiana del critico. Ovviamente l'esegesi filologica non esaurisce le possibilità interpretative di un testo: condiziona tuttavia il campo ermeneutico ponendo dei termini dai quali possiamo prescindere e che quindi ci limitano anche quando intendiamo magari contestarli. Il fatto è che l'operazione critica avviene sempre in presenza del testo e di un lettore potenzialmente capace della sua comprensione, cosicché deve di necessità legittimarsi di fronte a questa duplice possibilità di controllo. Quando Benjamin teorizza la priorità del commento rispetto all'interpretazione e la combustione tra contenuto effettuale e contenuto di verità di un testo e dunque la trasformazione dei contenuti storici e semantici di un'opera nell'attualità di una verità dialettica che li sottragga al continuum storico, sembra dare per scontato appunto quell'intreccio fra dimostrazione e persuasione che invece Fish risolutamente esclude per privilegiare soltanto il secondo termine. Proprio in questo caso la prospettiva ermeneutica può esserci d'aiuto. Habermas, per esempio, studia la differenza che passa

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