Alfabeta - anno X - n. 110/111 - lug./ago. 1988

Alfabeta 110/111 Quello che qui si presenta è il 12° capitolo di un lavoro praticamente completato, in 14 capitoli più un'introduzione, dal titotlo rohmeriano Racconti morali e che è evidentemente una riflessione sull'etica, anzi, per dirla con il sottotitolo, sulla «crisi e riabilitazione della filosofia pratica», dopo la dissoluzione dei modelli universalistico-prescrittivi ma in presenza di torbidi o comici ritorni di fiamma che pur testimoniano di una qualche disposizione incomprimibile. 1l problema che mi pongo è appunto: perché, malgrado l'impossibilità di dare dei comportamenti etici poco più di una descrizione etologica, troviamo in essi un elemento di soggettiva incondizionatezza, per cui il politeismo etico è solo la risultante di fedi infondate ma assolute? E ancora: qual è il luogo di una descrizione di questo incondizionato plurale? Diffido della rianimazione della morale nella divisione d'emergenza della politica: con la filosofia pubblica si incomincia da Veca e si finisce ad Alberoni. 1l luogo de~'etica post-universalistica (ma non post-moderna) è la privatezza di un quotidiano che è insieme «impolitico» e artificiale, iper-colonizzato (senza rimpianti) e depositario delle nuove tensioni politiche. La metafora pittorica desunta da Hoppa \'/Iole esemplificare questo livello di ri/J('//ione impolitica e il suo sapore «americano» non è affatto casuale. A.I. Nighthawks I personaggi di Hopper non attendono più redenzione. Non si rivolgono allo spettatore, ma guardano altrove: nel vuoto, fuori dalla finestra, dietro l'angolo. Eppure, in qualche modo, dalla loro solitudine esce un appello, qualcosa che imbarazza e impedisce di passar oltre senza ascoltarli. I «nottambuli» del celebre dipinto del 1942 ali'Art Institute di Chicago sono immersi nella luce sgargiante di un bar che sporge come un'immensa vetrina nel buio della strada deserta, i gomiti poggiati sul bancone. Il barista indaffarato a ripulire i bicchieri, un uomo solo di schiena, una coppia le cui dita si sfiorano casualmente ma che sono visibilmente altrettanto soli. L'uomo di schiena e l'uomo di fronte sono praticamente identici - nel vestito e nella stanchezza. Identici anche nella solitudine. Identici alla solitudine di altri uomini e donne, con altre illuminazioni, seduti in un diner, cafeteria, automat, ma anche in stanze d'albergo sulla ferrovia, in motel, alle pompe di benzina, sui letti disfatti. Identici a case o alberi isolati, fari o pali del telegrafo. Nella solitudine c'è una traccia tangibile di violenza subita e una minacciosa virtualità di altra e corrispondente violenza. L'imbarazzo sta nel fatto che quegli uomini e quelle donne e quei luoghi non solo non chiedono consolazione, ma non si saprebbe come dargliene, come se tutto l'universo urgesse verso una redenzione che non è decentemente dicibile. È finita l'epoca dei grandi sistemi morali prescrittivi e consolatori, eppure come non chiamare etico questo impulso irrazionale (nella sua pretesa universalistica) di salvare ciò che appare grandiosamente fissato nella sua condanna, abbandonato all'irrimediabile di una sofferenza senza più voce? Quell'irrimediabile è il calco a rovescio dell'incondizionato dell'etica, l'invito a tener aperto lo spazio della sofferenza e della ribellione, a tener ferma la durezza del lavoro, il rischio della solitudine entro le nuove coordinate di un Moderno de-ideologizzato, senza abbellimenti etico-teleologici. Il mondo ridotto a valori di scambio non Laboratorio italiano 88/Saggistica pagina 13 _sto __umi11ati permette una resistenza etico-politica fondata sul ripristino dello stato di natura e dei valori d'uso: (la permette soltanto come una delle tante varianti di comportamento etico, fra le più ingenue e disarmate), ma seriamente si possono considerare quei soli assunti incondizionati che - come dire? - «si fanno carico» della furia nichilistica del Moderno. Farsi carico? Certo, è ineluttabile. Deplorevole è farsi carico del reale così com'è - compito di animali pazienti, il cammello, l'asino - sia perché si tratta di una relazione filosoficamente scadente con il mondo, sia perché all'allegro surfine sui flussi di eventi da parte dei ceti dominanti corrisponde un ben più sgradevole subire da parte dei ceti Moderno (che è un effetto tutto intorno al Moderno medesimo) e così tipicamente «americana.» da scoraggiare qualsiasi pretesa di rispondere secondo i modelli eticostatalistici europei; è la smentita di tutte le interpretazioni gaiamente apocalittiche della fine post-moderna del senso sul terreno dell'assolutamente moderno, della mercificazione senza compromessi. Ciò è reso possibile dalla totale mancanza di estetismo. In quei dipinti abbiamo descrizioni « definite» e solo a questa condizione emancipabili. Il realismo garantisce la coerenza della descrizione: sono forme di vita esposte senza alcun ricorso a linguaggi «privati». La sobrietà degli elementi che entrano in gioco, la presenza massiccia «Monumento», 1901 ca subalterni; necessario invece il farsi carico dei processi nichilistici, tanto dei compiti della distribuzione quanto dei risultati, tendenze, aperture di speranza. Ogni istanza etica ha forma di conferimento di senso mediante regole incondizionate (per quanto imperfettamente eseguite o eseguibili, in analogia alle vecchie massime universalistiche); questo senso è un tentativo più o meno plausibile di sottrarsi alle devastazioni del nichilismo o di cavalcarne il corso. Costruzione di precari spazi di salvezza, descrivibili senza illusioni o predicabili con enfasi patetica. La solitudine dei quadri di Hopper è lo stampo di possibilità di comunità al massimo livello di consumazione nichilistica del di grandi superfici compattamente illuminate - muri, prati, cielo - spazzano via gli appigli per un'interiorità sofferente: se qualcosa è emancipabile è un mondo, non un'anima, un soggetto costituito dai rapporti sociali, non un'istanza lirico-comunicativa. 1 Scriveva Benjamin a conclusione del suo saggio sulle goethiane Affinità elettive: «Solo per chi non ha più speranza ci è data la speranza». Ossimoro troppo ottimistico, sottintendendo una generalità di redenzione che non sapremmo più come e dove applicare o invocare. Eppure il suo Messia apporterà soltanto qualche piccolo ritocco al mondo, quando irromperà nella storia arrestandola. Il Messia agisce in questo caso come la filosofia per Wittgenstein rispetto ai giochi linguistici: li lascia così come stanno, con qualche chiarificazione interna eliminando fraintendimenti. Sono piccoli mq evidentemente decisivi ritocchi, che lasciano sussistere la pluralità dei linguaggi, delle forme di vita sottese. Nelle scene di Hopper la storia si è fermata, oggetti e figure stanno in un intervallo interminabile, attendono qualcosa che non arriva. Ci costringono a completare il quadro con una promessa di redenzione. Ma siamo noi a esigerla, non loro. Quelle forme di vita sono insieme alienate e non disalienabili. Ci fanno desiderare una redenzione per noi. Ma siamo già in una dimensione posteriore alla semplice speranza emancipatrice, alla fiducia progressista, così mirabilmente espressa nei fotografi del New Deal o in Furore di John Ford. Se il tono e la ripartizione delle luci in Nighthawks evoca esplicitamente un acquario, la stessa metafora è sottintesa in altre stanze, uffici, ristoranti, ripresi da angoli, finestre, in abitazioni illuminate viste da un esterno buio. L'ambiguità della situazione è rafforzata dalla saldezza delle forme e delle zone di colore. Come il panorama; il feuilletton e le stampe di soggetto sociale e morale, precedono immediatamente l'avvento della fotografia (Benjamin), così le quiete descrizioni di Hopper stanno a ridosso della fotografia «impegnata» e del film d'azione degli anni trenta - descrizione zoologica di una transizione raggelata, di un'angoscia senza domande. E se le domande se le ponesse lo spettatore, saremmo tentati di dire (parafrasando Wittgenstein davanti ai materiali rituali e antropologici raccolti da Frazer): così è la vita umana. Le forme di vita, la loro terribilità, le loro regole. Nell'isolamento di un acquario, senza sbavature, senza sentimentalismo. Senza neppure quel borbottio rude che accompagna il miglior Hammet o Chandler - altri grandi inventori dei giochi linguistici moderni. Le forme di vita si danno nell'alienazione. È solo nella lotta contro il dominio che i soggetti si costruiscono di volta in volta come luoghi di imputazione e sostegno di un autentico-artificiale, il manmade natural dell'etica. Si tratta di un'autenticità e di una naturalità fasulle, ma altamente significative perché conquistate spezzando delle catene, rigettando in un'inautenticità tutta d'invenzione gli elementi dell'oppressione e della sofferenza. Lasciar essere le differenze (ciò che dà per scontata l'artificializzazione e l'alienazione della natura e della natura umana con essa) è il risultato di una lotta e di quale lotta! Emancipare la differenza, «salvarla», vale nel duplice senso di lasciarla essere (contro l'omologazione sociale) e di farla pervenire ad affermazione, conservando nell'affermazione la negatività nichilistico-distruttiva. L'etico porta i segni di questa lotta, di questa furia devastatrice: è il suo marchio inestinguibile. Note (1) Sostiene Benjamin, nella sezione «Baudelaire» del Passagen-Werk che un criterio per stabilire se una città è moderna è l'assenza di monumenti. Meryon aveva trasformato le caserme d'affitto di Parigi in monumenti della modernità. Lo stesso si potrebbe dire degli uffici, bar e alberghi di Hopper, sui cui rapporti con Meryon cfr. Lloyd Goodrich, Edward Hopper, New York, 1983, p. 14. (2) W. Benjamin, P-W cit., sez. Q, osserva che panorama e passage, per forma o luce affini agli acquari, sono luoghi che assorbono gli sguardi e non li restituiscono. Sono «la casa senza finestre», dove abita il vero; le finestre che vi si affacciano sono come dei palchi da cui si può guardare dentro, non fuori. Nelle figurazioni di Hopper assai raramente lo sguardo esce verso lo spettatore, mentre spesso finestre e vetrate servono a far penetrare lo sguardo dello spettatore.

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