Alfabeta Il O/Il 1 Negli anni venti (dopo Il porto sepolto) Ungaretti si pone il problema della tradizione, del ritorno al Petrarca. li che non gli ha impedito di insistere con forza sul suo essere moderno, sulla necessità per i poeti di essere moderni. A rileggere Ungaretti saggista ritornano continuamente i nomi di Petrarca e di Leopardi. Ma non meno frequentemente sono citati i poeti barocchi europei; e i moderni poeti francesi, soprattutto Mallarmé. E se si segue la sua polemica con i futuristi e con i surrealisti, si capisce che si tratta di una polemica interna e, per così dire, fraterna, propria di chi intende perfettamente l'altro e dalla sua parola si sente coinvolto. Ungaretti innesta il modo analogico dei moderni in strutture illustri e antiche. È la sua soluzione «barocca». E, benjaminianamente, il barocco non è un'alternativa, ma la controparte della modernità. I tempi di modernità e di tradizione, illuminismo e pregiudizio, riflessione ed ermeneutica sono tornati in questi anni a proporsi. E certo dopo Heidegger un'idea aproblematica di modernità non sarà più possibile. I pensatori più critici del concetto di ragione (illuminismo) e modernità hanno per altro espresso posizioni assai differenziate. Gadamer, per esempio, non è la stessa cosa di Heidegger (che ha un'idea di decostruzione della tradizione e della storia). Come allora pensare i due termini de~'antitesi? Non sarà forse la modernità a imporre la forma de~'antitesi? Le pagine che seguono avviano uno studio su Ungaretti - sulla posizione di Ungaretti tra avanguardia e tradizione - e si propongono come premessa storico-teorica. G.G. Una revisione del moderno I I bello come «promessa di felicità». È la famosa formula di Stendhal-Baudelaire. Traendo la formula della bellezza e dell'arte dal De l'amour di Stendhal, Baudelaire enunciava la poetica della «modernità». Due sono le componenti dell'arte per Baudelaire: l'eterno (l'eterno classicismo della tradizione) e il transitorio (il mondo storico). E con quella formula, Baudelaire ridefiniva il rapporto tra l'eterno e il transitorio. Quando infatti parla di felicità, (come Stendhal) egli intende la felicità del sensibile e dell'effimero. L'arte viene allora a connettersi con il nuovo, con le emergenze sempre nuove della storia. È si «mnemotecnica del bello», ma come celebrazione del caduco in termini ungarettiani: come perpetuazione dell'effimero. Con Baudelaire il tempo assume un ruolo attivo: quello di principio creativo e rinnovatore delle arti. L'eterno di Baudelaire si trae dalla circostanza, da ciò che muta più velocemente, dalla moda. Non è più il romantico «sogno di una cosa», l'utopia di una conciliazione, la speranza di un superamento dei tempi, ma la cosa del sogno che vive nel tempo e del tempo ha la variabilità. Una cosa introvabile. E guai se fosse trovata, o fosse fissata in una forma. «Les poètes, !es artistes et toute la race humaine seraient bien malheureux, si l'idéal, cette absurdité, cette impossibilité, était trouvé.» Sono parole già del Sa/on del 1846, dove è importante rilevare il nuovo valore assegnato al tempo storico. L'ideale è ormai in funzione del cambiamento. L'assoluto diventa una figura del relativo. Il tempo entra nelle forme e le trascina nel suo movimento. Da difetto, mancanza, non essere, si trasforma in risorsa e vitalità delle arti. Baudelaire partiva da una situazione di logoramento delle tradizioni, e indicava una nuova via. Mezzo secolo dopo, a processo storico più avanzato, le avanguardie Laboratorio italiano 88/Saggistica uido radicalizzano il programma tracciato da Baudelaire. Esse affermano il nuovo, e rifiutano ogni eredità dal passato. Peraltro un 'altra corrente artistica, del resto dialetticamente connessa con le avanguardie, ritiene urgente, al contrario, risalire ali' «eterno» di Baudelaire - alle origini delle tradizioni - e operare una revisione del processo della modernità. A questa appartiene Ungaretti. Entrambe le correnti constatano lo stato di invecchiamento di un mondo, di una cultura, di un contesto tradizionale. Entrambe le correnti hanno un senso nuovo del tempo o della durata. Ma si dividono nella sua valutazione. Così la durata sarà importante per i futuristi come per Ungaretti. E un titolo come Allegria di naufragi non potrà non richiamare un titolo come li controdolore, proprio per l'associazione nei due titoli della gioia e del dolore, dell'allegria e del naufragio, e per la dinamica temporale in essa implicita. In effetti li controdolore è un manifesto della durata. E vale la pena accennarvi. Tutto il manifesto di Palazzeschi, come si ricorderà, è un'esemplificazione di sciagure che quanto più sono inconsolabili tanto più devono essere occasione di riso, e di un riso sempre più fragoroso e pieno. Ma che cosa dice Palazzeschi in forma di paradosso, e nei modi provocatori di un manifesto d'avanguardia? Il punto fondamentale del suo discorso è l'esortazione a vedere nella belzeschi vive le cose nella prospettiva della loro fine, e può sviluppare un riso anarchico e gioioso sul mondo, Ungaretti le vive originari.t"mente, e cerca di essere la marca dell'autenticità, la marca dell'innocenza. Per Palazzeschi - e per il futurismo - il tempo è il presente-futuro; per Ungaretti il tempo è apertura al mondo, apertura al divenire, ma il divenire porta l'impronta della propria provenienza, cioè del passato. Il futurismo esprime la tendenza alla liberazione dai pesi della storia di cui aveva detto Nietzsche. Esso si pone contro gli ordini tradizionali che gli giungono irrigiditi e museificati. E progetta un nuovo inizio e la demolizione della vecchia storia. Al contrario la durata ungarettiana ha bisogno della memoria. Ungaretti trae da Bergson l'idea di memoria ·o di profondità temporale. Nello stesso tempo legge lo Zibaldone leopardiano e, negli anni di convergenza con i metafisici, Vico. In questo modo, la durata che in Bergson ha un carattere puramente spirituale e ideale che la contrappone alla materia e allo spazio, si situa, si determina in una civiltà, in una cultura, in un mondo. Assume un carattere storico. Diventa la tradizione, la tradizione italiana ed europea. Il problema di Ungaretti diventa allora quello di recuperare alle cose la lontananza temporale da cui vengono, di fornirle di passato, di approfondirle nella memoria. Aperto al nuovo dell'espe- «Un omicidio», 1920 ca lezza dei corpi la futura decrepitezza e turpitudine, nella giovinezza la vecchiaia, nell'oggetto presente i suoi stati futuri. Il Controdolore ci esorta ad esautorare gerarchie e modelli, a considerare gli oggetti nella loro temporalità, e perciò ad approfondire l'ora breve della bella apparenza e della giovinezza. «Approfonditela - dice il manifesto - e ne avrete la vecchiaia, verità che altrimenti vi rimarrà sconosciuta quando la possederete e sarete preda della nostalgia.» Il riso di Palazzeschi consiste proprio in questo: nel vivere il presente al futuro, e quindi nello svalutare il dolore che nasce da una assoluzione degli stati del mondo, dalla dimenticanza della loro temporalità. Palazzeschi schernisce le false verità, le forme cristallizzate, le maschere della serietà. E ricava il riso dalla loro distruzione. Il suo manifesto è un richiamo a godere del mondo nella sua trasformabilità e nel suo fluire, ad assumere positivamente la finitezza. Ad ogni lutto si accompagnerà allora una festa. Ogni attraversamento del dolore porterà a una gioia. E sarà questo anche il senso del- !' «allegria» di Ungaretti. Proprio Ungaretti del resto è stato - e ha voluto essere - il poeta della durata. Ma con una differenza fondamentale rispetto a Palazzeschi futurista. Per tutt'e due i poeti l'oggetto ha una costituzione temporale, non si riduce all'osservabile. Ma se Palazrienza, alla sorpresa delle cose, Ungaretti vorrà riconoscervi le figure della ripetizione. Nell'effimero vorrà ritrovare il ritmo dell'origine. Ma - ecco il punto centrale del discorso di Ungaretti - nella modernità la tradizione è un ordine corroso, rovinato, frantumato. Nella modernità l'origine è sempre meno riudibile. Della polarità di eterno e relativo o, per dirla con Ungaretti, di eterno ed effimero, sotto la quale Baudelaire inscrive il movimento dell'arte moderna, è il primo termine che ormai richiede di essere salvato dalla dissoluzione. La lontananza (l'assenza) dell'origine rischia oramai di convertirsi in vuoto d'origine, in «orrore del vuoto». E d'altra parte non sarà possibile averne ancora un cenno e un indizio se non a prezzo della «persecuzione della memoria», se non partendo cioè dalla propria età storica e attraversando i vuoti aperti dal tempo. I problemi della durata diventano così per Ungaretti i problemi del consumo della durata, del progressivo invecchiamento del mondo storico, e quindi della rovina e dell'oblio. I suoi temi saranno quelli della decadenza e del ripristino. Ma risalire al mistero delle origini, al sacro dimenticato, all'infanzia del mondo sarà possibile solo sulle tracce di litterae, segni, frantumi. E illuminazione si potrà avere solo nella rovina. Il movimento tracciato pagina 11 da Baudelaire è conservato, ma con inversione di direzione. Che cosa dunque ha significato per Ungaretti il futurismo? Che abbia contato nella sua storia non c'è dubbio. Ed è giusto considerare li porto sepolto un risultato eccezionale dell'avanguardia italiana. Ma anche nel Porto sepolto Ungaretti è un poeta «letterato». Non è lo choc della parola, la parola come azione, che gli interessa, ma - bergsonianamente - lo «stupore contemplativo» della parola. La letteratura in Ungaretti ritrova il suo senso di organo privilegiato di conoscenza. Perché l'origine ungarettiana non si dà nell'immediatezza, nell'innocenza dell'immediatezza, ma si dà attraverso le cifre, le iscrizioni, i monumenti tramandati dalla storia. Il suo medium è la letteratura. Di qui la poetica dell'ordine, della misura, del mestiere come sapere della tradizione. Negli anni del Sentimento del tempo Ungaretti teorizza appunto l'idea di letteratura in contrapposizione non più soltanto con i futuristi, ma soprattutto con i surrealisti. E ancora una volta il rapporto di Ungaretti con l'avanguardia - in questo caso con il surrealismo - sarà un rapporto dialettico. Il mistero, il sacro, l'infanzia (!'«infanzia ritrovata» di Baudelaire) interessano invero sia la poetica di Ungaretti e dei metafisici, sia la poetica dei surrealisti. (C'è anzi una-precedenza storica della metafisica sul surrealismo.) E a differenza dei futuristi, anche i surrealisti guardano al passato. Ma le parole d'ordine dei surrealisti sono l'onnipotenza del pensiero, l'indifferenza di sogni e realtà, il caso come via alla rivelazione o alle conoscenze ultime. E il passato cui guardano i surrealisti è quello delle tradizioni esoteriche, magico-alchemiche, rimosse dalla civiltà europea, e vive solo nei mondi extraeuropei. E ancora. Il sacro dei surrealisti è un sacro della prossimità. Lo si incontra per le strade (nelle famose passeggiate in zone interdette), è tra noi, abita il mondo. Basta saper vederlo, aver occhi innocenti. È un'esperienza che si compie in una pratica quotidiana rivoluzionaria, e che annulla o oltrepassa la letteratura. Tutt'al contrario del sacro di Ungaretti - e dei metafisici - che è un sacro della lontananza: di cui la letteratura è la memoria. Letteratura dunque come memoria. Per i surrealisti vale il tempo vissuto. I primordi sono qui e ora. Per Ungaretti vale la memoria. Non il qui e ora di un'esperienza magica - dell'esperienza dell'innocenza - ma !'altrove della memoria. Ungaretti mette in gioco il tempo - la sua azione («tragica») di distanziamento - laddove i surrealisti lo aboliscono. Ancora una volta parola pratica vs parola contemplativa; innocenza (l'innocenza delle avanguardie), vs memoria. Le due poetiche ci riportano, ancora una volta, alla dialettica della modernità. La quale sempre più si emancipa dalla storia, perde il collegamento con il passato, il senso della sua lunga durata, e quindi sempre più si trova esposta a un futuro privo di lineamenti e traumatico. La modernità si muove tra alienazione dalla storia e utopia. E propone dilemmi. Rivitalizzare una civiltà «decrepita» o produrre l'utopia di una nuova civiltà? Ungaretti sceglie la prima alternativa. Egli cerca nel nuovo l'antica identità. E si trova davanti al problema dell'usura delle forme e dell'invenzione di un nuovo barocco. Le avanguardie scelgono la seconda alternativa. Esse assumono le potenze distruttive nei confronti della storia che sono proprie della modernità, e vi innestano il momento utopico. Ma si trovano davanti al problema se l'utopia sia realizzabile. Le sue risposte sono opposte. Ma comune è l'intuizione dello stato di degradazione della tradizione letteraria e della tradizione in generale. E ciò determina la loro segreta affinità.
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