pagina 8 intelligenti, venuti meno i contatti così stretti col pubblico, si rinchiudono nella gabbia dorata della sperimentazione: che la libertà, così a lungo cercata, la si possa almeno raggiungere nell'arte. È la scelta di Stratos. Ripresi in mano gli studi sulla voce (che avevano già avuto un importante riconoscimento niente meno che da John Cage, il quale nel 1974l'aveva chiamato per interpretare i suoi Sixty-two Mesostics Re Merce Cunningham), Demetrio pubblica nel giro di tre anni due capolavori come Metrodora e Cantare la voce (1976 e 1978). Libero dalle gabbie formali imposte dalla disciplina di gruppo, Stratos è libero ormai di avventurarsi nella terra di nessuno della ricerca sonora pura. Un terreno in cui, forse, egli è stato preceduto solo da un altro geniale vocalist come Tim Buckley. La voce non è uno strumento: «Se uno compra un clarinetto, lo smonta, vede come funziona il meccanismo, al limite ne segue la fabbriA più voci cazione, capirà qualcosa di più delle sue possibilità; la voce è invece una cosa a parte, non si sa da dove venga, questo in un senso fisiopatologico, anche; quindi bisogna andare per tentativi, fare continui esperimenti». 3 E alla sperimentazione Stratos dedicherà tutto il pochissimo tempo che gli resta da vivere. fedele al frammento di Eraclito, «dallo scontro nasce la creatività» (riportato sulle note di copertina di Maledetti, 1976, l'album degli Area, ormai formazione «aperta», che decide cli sperimentare il Caos insieme ad altri musicisti come Steve Lacy, Paul Litton, Eugenio Colombo, o col pubblico, collegandolo attraverso lunghi cavi agli oscillatori del sinth), Stratos inaugura collaborazioni artistiche nei campi più impensati da Cathy Berberian al celebre treno di John Cage (26-28 giugno 1978): «La cosa più importante è fare cose diverse, cantare con Steve Lacy, con Markopulos, con Cage, vivere varie esperienze».4 Resta poco tempo: il-tempo di mettere a punto la tecnica delle diplof onie e degli acuti implosi: di spingere insomma la voce oltre i limiti imposti dalla tradizione occidentale, ripescando in quelle culture «altre» che utilizzano la voce secondo diversi parametri formali. Poi la morte improvvisa per neoplasia midollare, e il malinconico epitaffio del «concerto per Demetrio» con 60.000 ragazzi, a Milano, nel 1979. Note (1) Intervista a «Gong», marzo 1977. (2) Riportato sulle note di copertina di Area '70, album antologico. (3) Intervista a «Gong», marzo 1977. (4) lbid. Discografia Con gli Area Arbeit Macht Frei, Cramps 1973 Caution Radiation Area, Cramps 1974 Crac!, Cramps 1975 Taccuini scrittore Are(a)zione, Cramps 1975 dal vivo Maledetti, Cramps 1976 Alfabeta 109 j Antologicamente, Cramps 1977 antologia Event '76, Cramps 1979 Area '70, Cramps 1980 antologia Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano, Ascolto 1978 Con John Cage John Cage, Cramps 1974 Con Gaetano Liguori Cantata rossa per Tali El Zaatar, Edizioni di cultura popolare 1977 Con Lucio Fabbri Recitarcantando, Cramps 1978 dal vivo -Con Nanni Balestrini e Valeria Magli Milleuno, Nastro 1979 Dischi solisti Metrodora, Cramps 1976 Cantare la voce, Cramps 1978 Mauro Pagani, Demetrio Stratos, Paolo Tofani Rock and Roll Exibition, Cramps 1979 dal vivo vestitodadon11a I n Tra donne sole di Pavese (1949) la protagonista, Clelia, ritorna nella nativa Torino per seguire i lavori di allestimento di un grande negozio. Vive in mezzo a geometri, architetti, elettricisti, imbianchini e arredatori. È una donna dura, calcolatrice e volitiva; controlla i propri sentimenti e le situazioni difficili - come quelle amorose in cui potrebbe restare intrigata - perché non accetta in nessun modo che elementi esterni la disturbino mentre lavora. Clelia è Pavese. L'uomo duro, spigoloso, infaticabile lavoratore, che voleva dare di sé l'immagine di una persona corazzata e impenetrabile, sola di fronte alle proprie responsabilità di scrittore, si traveste in un personaggio femminile, che ha questi elementi di durezza e impenetrabilità. Il risultato è che Clelia è una donna mascolinizzata. Il travestimento è talmente macroscopico che l'intera operazione di allestimento del negozio - e lo staff di progettisti, arredatori e rifinitori che esso coinvolge - può essere letto a sua volta come una metafora dell'opera letteraria nel suo farsi: quando il negozio è finito il romanzo termina; Clelia rappresenta dunque Pavese al lavoro. Il quale, in una nota del Mestiere di vivere, scrive: «Quando avrai ricominciato a scrivere, penserai solt~nto a scrivere. Insomma, quand'è che vivl?» (28 gennaio 1949). Siamo a ridosso di Tra donne sole che sarà iniziato appena due mesi dopo. Ma il lavoro, come si vede, non consente di vivere: la durezza nasconde così un'estrema fragilità. Nel romanzo il travestimento è duplice: accanto a Clelia - ma confinata ai margini come la vita rispetto alla scrittura - c'è Rosetta, la quale, al contrario di Clelia, è fragile. Rosetta è Pavese che (non) vive. Nel romanzo c'è quindi un doppio travestimento dell'autore in panni femminili, e quando Clelia-Pavese ha finito la propria opera, Rosetta-Pavese finisce la sua suicidandosi; nella realtà, un anno dopo aver finito il romanzo, Pavese si suicidava. Queste osservazioni le avevo come sepolte in un articolo su «Paragone» del 1984 centrato su altro tema. Non mi aspettavo che destassero l'attenzione di altri studiosi, ma mi sembrano tuttavia degne di essere riprese almeno da me. Il problema dei travestimenti di scrittori in abiti femminili non è mai stato studiato sebbene il fenomeno sia stato qua e là registrato. Ma è un fenoGiovanni Falaschi meno importante e diffuso, come posso dimostrare con altri casi attingendo a scrittori italiani del Novecento, sebbene quello di Pavese sia il più completo che io conosca, direi anzi totale, perché autore e personaggi femminili sono perfettamente speculari. Negli appunti per un romanzo recuperati dal figlio e pubblicati postumi nel 1979 col titolo di Adele, Tozzi si traveste coi panni della protagonista. Combacia un particolare biografico, il rapporto conflittuale di Fe- (allucinazioni, sensi di colpa, esaltazioni deliranti), come a dire che il conflitto è già in atto per la «diversità» della ragazza (la trasgressione di Tozzi!): è nel romanzo perché esisteva già da prima, nella sua preistoria che era la storia dello scrittore. Non so se Tozzi sapesse di essere Adele: non lo sapeva comunque allo stesso modo con cui Flaubert sapeva di essere Emma Bovary: il saperlo è già la coscienza di una distanza dell'autore dal personaggio. Fatto sta che MicroMega 2;88 Hannah Arendt Gunter Anders JeanAméry Heidegger in questione Tre testi inediti derigo col padre, che in quegli appunti è riprodotto in termini alterati: il figlio è una figlia e il padre, che nella realtà era un piccolo proprietario terriero inurbato e proprietario di una trattoria, nel testo è un medico di provincia (non è straordinario che si tratti della stessa professione di Charles Bovary?) disprezzato (una vendetta di Tozzi verso il padre reale?) dai colleghi. Resta, ed è la cosa che più conta, il conflitto; o meglio: ne restano gli effetti Adele, come Emma, si suicida. Tozzi trasferì qualche tempo dopo la condizione di Adele in quella di Pietro di Con gli occhi chiusi: si dà panni maschili ma di «mascolino» Pietro non ha nulla perché appartiene alla famiglia dei personaggi inetti e regressivi. Adele, come travestimento di Tozzi, appartiene alla tipologia dei perdenti o, che è lo stesso, degli irrecuperabili alle regole di una società sentita come maschile. Nelle opere teatrali, Tozzi si traveste almeno una volta da donna: ne L'eredità la protagonista Rachele è una telegrafista (Tozzi era stato davvero impiegato alle ferrovie) che si è allontanata da casa per la brutalità del padre e ritorna alla sua morte per prendere possesso delle sue proprietà, non sapendo invece che tutto è ormai stato dilapidato. Adele fu pubblicato con una prefazione di Cassola il quale registrava l'identità dello scrittore col personaggio femminile: «Adele è Tozzi», scriveva senza alcun commento. Non era difficile capirlo, solo che non era allora cosa consueta porsi il problema; se Cassola si rese subito conto di come stavano le cosé è perché in alcuni romanzi si era identificato lui stesso con personaggi femminili, o almeno prestato loro molto di sé. Cassola non era uno scrittore problematico: aveva più certezze che idee. Non era neanche un intellettuale, secondo l'etichetta sotto la quale si possono comprendere molti narratori del Novecento e che rimanda al loro avere più problemi che temi e, in sostanza, alla loro vocazione a tematizzare il problema. Addirittura vedeva nel problema una minaccia contro la vita, e inseguì un suo modello di scrittura aderente ossessivamente ai fatti. Identificò ideologia, società e storia come simboli, o come aspetti della rivelazione di uno stesso male, e per illuminare le qualità negative trovò nella donna il personaggio aproblematico, di grado zero, un'entità puramente biologica che dalla società viene violentata, punita e distrutta. Dalla società, ma anche (e si potrebbe dire: e quindi) dall'uomo e dalla sua aggressività che ha come risvolto la mancanza di coraggio nella sfida al perbenismo. La punizione delle donne innamorate - le sue Anna, Mara, Nelly ecc. - può anche essere ricondotta a sessuofobia; ma il punto non è l'eventuale tipologia di una nevrosi, sibbene la sua rivelazione nei testi. Cassola, rifiutando ·l'ideologia come fondamento della società, credette a una letteratura aproblematica e antideologica, e creò col personaggio femminile l'alter ego dello scrittore: lo vedeva agire senza bisogno di spiegarlo, bastandogli l'atto di raccontarlo, cioè, in definitiva, di raccontarsi. (Cassola fu uno scrittore femminista, almeno in quel suo documentare la sconfitta della donna, ma, in un periodo di forte politicizzazione del problema, la cosa non gli giovò neanche presso le femministe perché, puntando
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