·, Alfabeta I 09 apostoli di merda, / per queste incredibili dodici persone I che fra essere morti e essere vivi / trovano sempre qualche differenza. » come è scritto nel Rammarico del vicerè (p. 19). 4. Marshall McLuhan (1911-1980) ha scritto in uno dei suoi saggi più propriamente letterari che il montaggio cinematografico ha radici che arrivano fino alla poesia laghista inglese e ha naturalmente fatto notare che le teçniche del racconto per immagini derivano tutte o quasi dal romanzo (esempio classico ilflash-back). Dove il romanzo di poesia si distanzia dal romanzo di prosa, è negli spostamenti più netti del senso, più netti e più rapidi, come quelli di un film, appunto. Sono infatti gli spostamenti fulminei di senso che reggono la scrittura poetica di Raboni e a questi spostamenti il verso si adegua, su di essi si modella. Prendiamo da Altre interviste la sezione «Il chirurgo»: «C'è colpo e colpo. Ci sono ferite di striscio I che nessuno può guarire / e uomini che muoiono a ottant'anni / di A più-voci coltellate prese in gioventù. / Non c'è regola. Qualcuno si salva / e si fa prete. A qualcuno la vista/ s'indebolisce. A volte/ i coltelli rispuntano dal cuore / nel senso della lama». Un esempio che può valere per tutti. 5. Una delle poesie più emozionanti del libro (sì, occorre dire «emozionante», occorre, perché se l'arte è fredda diventa calda nello stomaco del lettore ... ) è Anagramma, dove viene interpretato, a distanza di anni, un bisbiglio raccolto sul letto di morte della madre, rimasto sepolto per decenni nella sua indecifrabilità fino al giorno in cui la soluzione arriva da sola e il sussurrato non pròbiso diventa un «pro nobis», dunque un «per tutti», «l'anagramma d'un pezzo di preghiera». L'emozione viene anche dal collegamento istantaneo di questa poesia con Parti di un requiem, dedicata alla morte della madre, che ha quell'ultimo verso memorabile «liberaci dall'estetica e così sia.» fondamentale per tutti noi. «Liberaci dall'estetica» è una dichiarazione carica di conseguenze: significa soprattutto scegliere la via del racconto e del romanzo come soluzione prevalente per lo scrivere in versi; opzione divaricatissima rispetto a quella dell'epifania lirica, tra le altre, o dell'illuminazione. Non che manchino questi momenti nell'opera di Raboni; ma si tratta di passaggi commisurati al racconto della vita, a un rapporto tra il dentro, l'intimo, e il fuori, la storia e la cronaca. E qui"'t>ccorreprecisare che quando si è detto «romanzo familiare» si voleva dare l'idea di una struttura portante della narrazione (del montaggio), indicando il tronco dell'albero; i rami e le foglie poi, sono ricchi di riferimenti agli eventi di questi ultimi decenni. La cornice, in altre parole, racchiude le esistenze private e con esse interagisce passo dopo passo. Questa interazione ha il suo modello, una lettura del Manzoni che aggrega, come volle il gran lombardo, romanzo e «colonna infame». p-agina 7 6. Di pietas manzoniana è indispensabile parlare anche a proposito del titolo A tanto caro sangue, e di ironia sempre manzoniana. Basta rileggersi la straordinaria sequenza intitolata Il più freddo anno di grazia, con quei due versi importanti quanto quello sulla liberazione dall'estetica: «C'è poco da sperare / nella salvezza del guscio d'uovo». A questa pietas, che è poi volontà di capire, principio di una charitas irrinunciabile, si ispirano anche i commenti e i rilievi, operati più direttamente da Raboni, sulla nostra storia recente (anche al di fuori di questo libro). Ciò che ora stupisce è certa incapacità anche minima di ascolto che la scrittura di Raboni ha dovuto subire. Alla pietas si risponde dunque ringhiando? Sì, troppe volte. C'è poco da sperare «nella salvezza del guscio d'uovo», ma qualcuno deve provarci. DemetrìO Stratos I l legame tra musica rock e devianza giovanile, almeno in Italia, è probabilmente stato il tratto distintivo del movimento del 77. A differenza dell'ormai celebratissimo 68, «serio», progressista, utopista, il 77 si è subito connotato per certi elementi di degradazione e dissoluzione della politica, almeno intesa in senso tradizionale. La musica, e in particolare il rock, sono divenuti il polo di attrazione del movimento, in sintonia peraltro con quanto stava avvenendo altrove in Europa (il punk nasce proprio nel 1976... ) Ecco perché gli eroi di quella breve stagione non vanno tanto cercati tra i «leader» del movimento, quanto tra gli artisti più sensibili e attenti, pronti a captare ciò che di nuovo veniva da quello che allora venne chiamato «proletariato giovanile». Non c'è dubbio che Demetrio Stratos, ex cantante dei Ribelli, poi «testa pensante» degli Area, sia uno dei personaggi più rappresentativi del periodo. E la sua scomparsa, avvenuta nel giugno del 1979 (dunque meno di dieci anni fa: prepararsi alle celebrazioni) diviene quasi l'emblema del tramonto del movimento. Profondamente convinto della necessità di una impostazione politica dell'attività artistica, Stratos ha disegnato nell'arco di pochissimi anni una carriera in un certo senso esemplare. Al punto che la sua storia personale si intreccia con quella del movimento: il personale è politico, si diceva allora, e mai come nel caso di Stratos lo slogan assume una verità difficilmente contestabile. 1. Nato ad Alessandria d'Egitto nel 1945, Demetrio Stratos studia fisarmonica al Conservatoire National d'Athenes, poi canta in compagnia niente meno che di Demis Roussos (futuro leader degli Aphrodite's Child). Nel 1962 si trasferisce in Italia per studiare Architettura all'università di Milano. In realtà entra subito nel giro musicale: suona rhythm'n'blues (i primi critici accosteranno il suo stile di canto a quello di Tom Jones, e non senza ragione), poi è la volta dei Ribelli, formazione beat proveniente dall'entourage di Celentano. Pugni chiusi è uno dei loro successi. Gli anni settanta segnano una svolta. Mentre approfondisce i propri studi sulla voce, che sta già conducendo da diversi anni, Stratos, insieme al batterista Giulio Capiozzo, dà vita al progetto degli Area. L'idea è quella di contaminare il rock con sonorità provenienti dal jazz (soprattutto il free). In seguito si aggiungeranno la musica Toni Robertini araba e mediterranea, per creare un mix assolutamente inimitabile, profetico e attuale, che sarebbe rimasto una delle vette più alte mai toccate dal cosiddetto «rock italiano». «Cominciammo a suonare e a provare moltissimo» dirà in un 'intervista del 1977, 1 «parlammo con Mamone, ed ebbe inizio un numero incredibile di tournée, come complesso spalla, con Rod Stewart e i Faces, i Gentle Giant, per raccogliere fischi più che consensi». Ed è proprio così: agli inizi della loro carriera gli Area in un certo senso sconcertano e spaventano il pubblico. I ì tion Radiation Area. Uscito dalla formazione il sax di Busnello, Stratos, Capiozzo, Tavolazzi, Tofani e Fariselli elaborano un sound, se possibile, ancora più radicale. Un sound in cui l'elettronica (intesa innanzitutto come produzione di rumore - dunque anticipando addirittura i Père Ubu) prende decisamente il sopravvento, insieme a una ricerca sull'improvvisazione che sta ormai tagliando i ponti con i «generi» codificati. Lobotomia è il capolavoro del disco: un suono che uccide, che provoca dolore: sintetizzatori lanciati su frequenze altissime, mentre il gruppo, durante il conLa Sposa messa a nudo dagli scapoli, 1912; matita e guazzo Raccolta Cordier & Ekstrom, /ne. New York L'immagine da feddayn del loro primo album, Arbeit Macht Frei (1973) è l'ideale completamento di un sound teso e cattivissimo, in cui le dissonanze e il caos hanno largo spazio. Un album che se la. prende con la mitologia del pop (L'abbattimento dello Zeppelin) e che coniuga la violenza del rock con la spinta iconoclasta del free jazz. Su tutto, la vocalità «araba» di Stratos che raggiunge i migliori risultati in Luglio, agosto, settembre (nero): un primo tentativo di «pop mediterraneo» giocato su tempi dispari, che sarebbe divenuto in seguito il brano di apertura dei concerti della band. Ma il punto più alto del lavoro degli Area è probabilmente il successivo Caucerto, illumina gli ascoltatori con delle torce elettriche, con l'obiettivo di rovesciare il rapporto pubblico/artista. Un'idea di provocazione che la band mutua dal rapporto con gli artisti di Fluxus (una corrente artistica tutt'altro che omogenea: al suo interno personaggi come John Cage, Walter Marchetti, Nam Jum Paik, Tadeusz Kantor, Yoko Ono, Gianni Emilio Simonetti, Juan Hidalgo, tutti comunque accomunati dall'idea di intervenire politicamente in campo artistico). Gianni Sassi, allora art director degli Area e autore dei loro testi con lo pseudonimo di Frankenstein, si incarica di trasferire nel rock alcune delle tematiche di Fluxus, di cui era un esponente. Sicché gli Area divengono cassa di risonanza delle avanguardie storiche, «provocatori» rock, che si confrontano però non col pubblico colto e raffinato delle gallerie d'arte, ma con la marea montante del disagio e della protesta giovanile. L'ambiguità diventa la loro cifra espressiva. Un'ambiguità che mette in circolazione segni e immagini contrastanti: Marilyn Monroe e la radiottività, come nella copertina di Caution. Un'ambiguità non sempre capita: «Stampa Alternativa» accusa gli Area di essere «fascisti». 2. In realtà il movimento giovanile, seppur confusamente, scopre che la straordinaria «potenza del negativo» espressa dagli Area in musica non è altro che la rappresentazione artistica della forza del movimento. Ed è così che gli Area, quasi loro malgrado, divengono il gruppo l<ufficiale» del 77 italiano (con conseguenze tutt'altro che piacevoli sul piano dei guadagni: il gruppo suona quasi sempre a prezzo politico, e spesso gratis poiché, «compagni, l'incasso è andato male» ... ) Crac/ e Are(a)zione, ambedue del 1975, marcano con chiarezza il rapporto tra la band e il movimento giovanile. Il sound è meno aspro che in passato: il desiderio è quello di coniugare Gioia e rivoluzione, come recita il titolo di uno dei brani. L'internazionale, nella versione della band, come ha scritto Mario Luzzato Fegiz, appare oggi come «l'invito alla sinistra, ai burocrati nostrani come ai 'ras' dell'Est, a svecchiarsi, a confrontare corollari corrosi con le istanze di una gioventù che, da Praga a Roma, da Berkeley a Parigi, diventava sempre più insofferente ai dogmi e ai mostri sacri».2 È questa la stagione eroica del movimento italiano. Un movimento i cui luoghi di aggregazione non sono più le manifestazioni «politiche» ma i festival all'aperto che rendono possibile quel nomadismo di marca beat che diventerà una delle caratteristiche del movimento. Parco Lambro, Umbria Jazz, Licola, sono gli appuntamenti che vedono l'aggregazione del nuovo strato giovanile. E gli Area sono sempre in prima fila. Demetrio, con la sua presenza fisica massiccia e imponente, diviene il simbolo del mov~mento, di quell' Elefante bianco di cui canta le gesta. 3. Inutile dire come finì. Tra repressione poliziesca, terrorismo ed eroina il proletariato giovanile si ritrova, nel volgere di una brevissima stagione, disperso, disarmato, sconfitto. Gli artisti più sensibili e
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