Alfabeta - anno X - n. 109 - giugno 1988

Alfabeta 109 Cfr Discorso amoroso e pratica del transfert Federico Vercellone L ' Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica ha organizzato, nel corso di quest'anno accademico, in collaborazione con il Dipartimento di Ermeneutica dell'Università di Torino, un seminario dedicato al tema Discorso amoroso e pratica del transfert. L'iniziativa, avviatasi l'ottobre scorso, si è articolata in cinque incontri nel corso dei quali filosofi e psicoanalisti si sono interrogati sul tema dell'amore e della pratica del transfert sulla base di alcuni intinerari-guida; si tratta: 1. della «clinica in quanto cura», 2. dell'etica come dimensione radicale della cura, 3. dell'«ermeneutica intesa come percorso metodologico». Il seminario risponde a un'esigenza teorica sollevata da Gianni Vattimo, il quale, nel corso di un recente convegno, aveva affermato che «la psicoanalisi, nonostante o forse proprio a causa del gran parlare di sessualità, non ha una teoria dell'amore», e suggerito che forse la «vera teoria dell'amore della psicoanalisi è la teoria del transfert e del contro-transfert». Questa ipotesi è stata verificata e discussa nel corso di un ampio dibattito al quale hanno partecipato terapeuti come Fabrizio Gambini, Claudio Grasso, Diego Napolitani, Sergio Finzi, Massimo Ammaniti, Contardo Calligaris, Giampaolo Lai, Mario Trevi, uno storico come Luisa Passerini, e filosofi quali Gianni Vattimo, Pier Aldo Rovatti, Maurizio Ferraris. Al centro della discussione si è imposto - come era prevedibile data la natura della questione - il tema dell'alterità nel suo significato psicoanalitico ed etico-filosofico. In particolare si trattava di cogliere i motivi per i quali una pratica emancipativa come quella della psicoanalisi, fondata sull'amore (sul transfert) finisca per condurre a una sorta di oggettivazione dell'alterità. Si tratta di un tema sul ra, secondo Rovatti, attraverso il richiamo al pensiero di Lévinas - l'esperienza etica, ma è ancora questa irriducibilità del tu che guida Diego Napolitani e gli fa contrapporre, con linguaggio metaforico, il transfert visto come una «costa fatta di sagome precise», al discorso amoroso, non formalizzato e in questo senso paragonabile a una «costa fatta di dune». Ed è in questo stesso contesto che Gianni Vattimo ha parlato della pratica analitica nei termini di una dissoluzione della nozione di comunità (nelle sue ascendenze organicistiche à la Tonnies) di un'esaltazione delle differenze. Da questo punto di vista la psicoanalisi viene a configurarsi non come un «lavoro di decrittazione della necessità», ma come «un lavoro sulla contingenza», secondo un punto di vista che prende profondamente le distanze non solo dal modello epistemologico che si annuncia negli scritti freudiani, ma più in generale è proprio di una vastissima parte della tradizione filosofica e di quella delle scienze umane. Discorso amoroso e pratica del transfert Seminario a cura dell'Istituto di Psicoterapia pasicoanalitica e del Dipartimento di Ermeneutica dell'Università di Torino quale il pensiero filosofico con- j ~ temporaneo, (e in particolare l'er- _ 0 ,_ ·:.1 meneutica) si è ampiamente sof- ? ...,, 1 ./ fermato. Basti pensare, a questo 1 proposito, alle prese di posizione t" _,,/ di Habermas e di Gadamer sulla '· -- questione, laddove il primo vede nell'oggettivazione propria dell'esperienza psicoanalitica la premessa per il ricostituirsi della trasparenza comunicativa, mentre il secondo la classifica come un modello di dialogo sostanzialmente inautentico in quanto si fonda sulla posizione impari dei due interlocutori. Paradossalmente le due posizioni, sia pure così lontane fra loro, recano un significativo punto in comune; presuppongono un'universalità comunicativa che si impone al di là delle contingenze, dell'accidentalità rappresentata dalla soggettività empirica, psicologica. Uno dei risultati più significativi di questo seminario può essere identificato in un rovesciamento di questo atteggiamento di una natura ancora sostanzialmente metafisica che richiama coppie concettuali profondamente radicate nella tradizione filosofica, come sostanza/accidente, essenza/apparenza. In molte delle relazioni si è come configurata - sulla base di riferimenti storico-teorici talvolta lontani fra loro - una sorta di irriducibilità dell'altro, del tu. È su questa base che si configuMalaparte europeo Valerio Morpurgo e apita spesso di raggiungere luoghi abbastanza consueti, con spazi già prefigurati nel catalogo della mente. Non coincidono quasi mai con quelli rimossi dell'abitudine o dei previlegio (nel presagio dell'arte). Succede poi che, al loro avvistamento, ne siamo in qualche misura sommersi: con apoteosi dei sentimenti dello spazio e del tempo e col presente che polarizza l'accedere dentro una pre e post-storia. La percezione romanzesca è quella di una o due immagini centrali che, con blitz segnaletico forse .involontario (nel senso focalizzante del punctus di Barthes), ti hanno catturato una prima volta. E di cui, in seguito, non riuscirai più a liberarti. Chi arriva a Prato, con percorso autostradale, si affaccia su di una vasta pianura caoticamente urbanizzata. Se l'emblema complessivo è quello di un grande lanificio-unico, il paesaggio, tra pini e ulivi superstiti, evoca vagamente la California. Qua e là emergono, infatti, le volumetrie discrete ma «ardite» di qualche ridente edificio bancario, di un tribunale tribale o di un museo d'arte moderna up to date. Ma alle sue spalle, dove il paesaggio è intatto, si segnalano montagne brulle e fatali in qualche misura premonitrici. Lassù, in una sorta di Wahalla italico-toscano, è sepolto Malaparte. E Malaparte incombe su questi luoghi - volenti o nolenti - e ti dà il benvenuto. Si dà il caso, poi, che ci si avvicini.alla città toscana come è capitato a me lo scorso novembre, nell'occasione di un significativo convegno organizzato nel trentesimo anniversario della morte: la percezione diffusa di questo ombrello malapartiano (con senso dell'infinito, dell'oceanico e di formicolio del quotidiano) non mi è sembrata soltanto un ragionevole occhiello preliminare. Tema del convegno, un Malaparte europeo in parte liberato proprio da questa ingombrante auratica traccia ma, ancor di più, dalla scontata fodera culturale ordita di arcitalianità, fremente e maledetta. Il ribaltamento critico, con revisione dell'immagine complessiva, al di fuori di giudizi cristallizzati nel tempo, è stato reso possibile attraverso diversi contributi tra i quali cito quelli di Gianni Grana (coordinatore del conve- ~ Particolari scelti da Courbet, 1968 \ l gno), Maria Antonietta Macciocchi, Anna Panicali e Morena Pagliai. Livia Draghici ha fatto poi il punto sul complesso versante bibliografico (traduzioni in 19 lingue compreso l'albanese). Grana, in particolare, si è battuto contro l'omologazione del «personaggio», riduttivo e non recuperabile alla dignità di una certa storia verticale che previlegia il conformismo e le pregiudiziali «cristiano-borghesi» della critica militante. Scrittore europeo, dunque, anziché «camaleonte» della vita pubblica italiana: aperto sullo spazio della modernità come dramma dell'Europa disgregata e in crisi - tra razionalità e ritorno alle radici - per la doppiezza intrinseca del moderno. Una crisi che, secondo Anna Panipagina 21 cali, Malaparte metaforizza con linguaggio teatralizzato e coinvolto nell'oralità. Dentro libri che sono come una piazza, che è poi metafora secentesca del brusio, del formicolio del quotidiano con trionfo del frammento. Ma paesaggi come una piazza, catturati con obiettivo fatale e indagatore, sono anche quelli del Cristo proibito (1951), film-paesaggio con scrittura coevo, non a caso, con l'Europa dei silenzi della borghesia di Rossellini. Opportunamente presentato a Prato, questo film «maledetto» ripropone la lettura di un'Europa (la Toscana del secondo dopoguerra) che si nega all'affermazione razionale sublimandosi mediante l'ipotesi di un ritorno alle origini (con metaforica ascesa al calvario) della religio controriformistica. La scrittura complessivamente non è sobria e si comprende il disagio che provoco al suo apparire, analogo allo sconcerto che vi fu, per analoghe tangenti, per l'Europa di Rossellini. Ma quello che sorprende in questo - unico - film di Malaparte è soprattutto l'originalità del cinema come linguaggio e come tecnica (l'uso della camera). Vi sono indubbi riferimenti al cinema espressionista tedesco ma anche «sorprendenti» anticipazioni del cinema di Pasolini e, ancora, di Wenders. Il paesaggio toscano, remoto e metafisico, si direbbe paradossalmente proprio quello stordito dal suono delle campane pasoliniane della religione del mio tempo ... E, allo stesso tempo, gli abitatori di queste terre virili e negate alla gioia, i figli di quelli che La Rochelle aveva immaginato vigili e col fucile a tracolla sui bastioni dell'Europa in crisi. E sono quei jeunes paysans robustes et d'une simplicité inexpugnable qui étonnent les esprits délicats dans [es villes d'Occident. Quanto al riferimento a Wenders e alla sua tecnica di avvicinamento al soggetto per mezzo della ripresa aerea, quale squarcio simbolico di una lettura fotogrammetrica dell'anima europea (e del mondo) dentro tappe successive di svelamento dei nodi più interni del dramma, lo si ritrova nella lunga e complessa sequenza d'inizio del Cristo. Ma proprio la metafora della camera con un «angelo» indagatore dotato di obiettivo previlegiato (l'elicottero, il carrello del piano-sequenza ... ) mi ha fatto balenare, mi sia consentita la digressione, quei recenti ingombranti angeli (soit disant zavattiniani) del quasi insopportabile Il cielo sopra Berlino. Per nulla affini, a mio avviso, alla tortuosa, indiretta e fa tale premonizione iconica dell'Angelus Novus di Klee, come crede invece, con riferimento a Benjamin, Alessandro Dal Lago nella sua recensione su «A.lfabeta», n. 104. Ma, ora, vorrei tornare per un momento, abbandonata la camera, alla connotazione di quei luoghi fisici cui ho già accennato e che (con epopea del luogo sopraelevato, intersezione tra cielo e terra) emergono quasi sempre in salita nel «teatro» malapartiano: nella scrittura, come nel cinema e nel paesaggio delle dimore terrene ed estreme ... Sul versante novecentista della «sacralità» vi è chiaro riscontro coi luoghi celebrativi della salita nel rituale dannunziano: «[... ] se vuoi, sali verso le Arche e verso la Nave[ ... )» così D'Annunzio a Giovanni Comisso in una lettera-invito per il Vittoriale, con l'inevitabile e sinistra promessa degli «undici colpi di cannone in gloCollana 'Quaderni di Humanitas' Alberto Pesce Oltre lo schermo Registi incontroluce Presentazione di Gianni Rondolino Rossellini - Visconti Antonioni - Pasolini Fellini - V. e P.Taviani Olmi - Tati Huston - Bunuel Rocha - Wajda lchikawa - Dreyer Bergman - Tarkovskij Bresson - Cavalier "...un insiemedi ritratti sfaccettati e coloriti, somiglianti e accattivanti attraverso ai quali passa un pezzo di storia del cinema" (dalla Presentazione). pp. 164 con 1O ili. f.t., L. 16.000 -- Morcelliana Via G Rosd 7 1 251 21 Bresc 1d Collana..Classicidel ridere.. direttada R. Bonchio K. Capek LAGUERRA DELLESALAMANDRE J. K. Jerome APPUNTDI IROMANZO E. A. Poe STRAVAGANZE E. Scarfoglio ILPROCESSDOIFRINE E. De Queir6s ILMANDARINO M. deCervantes NOVELLPEICARESCHE W.M.Thackeray IL LIBRODEGLISNOB J. Swift I VIAGGDI IGULLIVER Il'f e Petrov LEDODICISEDIE R. Fucini TIPICHESPARISCONO

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