Alfabeta - anno X - n. 109 - giugno 1988

pagina 2 Le immagini di questo numero La non-arte di Q uando un artista interviene radicalmente nel sistema dell'arte, non solo provoca trasformazioni sostanziali nella stessa attività creativa, ma trasferisce i suoi risultati al di fuori della disciplina per diventare, attraverso il suo operare e soprattutto il suo pensare, un punto di riferimento per tutte le altre esperienze conoscitive. Dopo Duchamp non è possibile pensare né giudicare il sistema degli oggetti dell'uomo, gli artefatti, come se nulla fosse successo, come se esistesse una netta demarcazione tra oggetti artistici e oggetti utilitaristici, tra funzione estetica e funzione semantica. La rivoluzione di Duchamp, a cent'anni dalla sua nascita, è stata soprattutto linguistica, all'insegna di un totale rovesciamento della ritualità dell'opera d'arte: Non è possibile giudicare Duchamp soltanto all'interno della storia dell'arte: è altrove, nei nostri linguaggi, nel nostro modo d'intendere le relazioni con gli oggetti più comuni, anche nel nostro modo di produrre significati per il mondo, che è rintracciabile l'eredità di questo straordinario manipolatore di concetti più che di cose. Perché, scrive Hegel, «trovare nomi è facile, ma ben altra cosa è pensare per concetti»: gli artisti, spesse volte, inventano nuovi nominalismi entro i quali poi progettano l'opera. È raro, invece, trovare qualcuno che con le cose, pensa per concetti, sradicando l'oggetto dai suoi nominalismi più tradizionali per introdurlo, non in un'altra serie di significati, ma nella pura e infinita possibilità di un gioco libero da convenzioni e da definizioni aprioristiche; proprio per questa ragione hanno f atto bene l'Accademia di Brera e la sua direttrice Donatella Palazzo/i, in collaborazione con il comune di Milano e il gruppo GFT di Torino, a dedicare una mostra, nella Sala Napoleonica del Palazzo di Brera, a Marcel Duchamp, la Sposa... e i Ready made. Hanno fatto bene perché in un periodo di grandi conformismi formalistici, presentare un artista che prima riflette e poi, sedimenta l'intuizione in un oggetto che ci restituisce in parte il suo pensiero, costituisce una scelta culturale che va al di là del- /' occasione del centenario. La mostra, curata da Arturo Schwarz, indica, attraverso 92 opere (tutti i Ready made e le opere preparatorie per la realizzazione del Grande Vetro) che la via della ricerca artistica non può mai fare a meno del controllo dei processi mentali; pena, come accade spesso nell'arte di questi ultimi anni, l'abbandono della funzione centrale di ogni processo creativo: essere, a sua volta, occasione di altri itinerari creativi, di altre esperienze intellettuali. Anche l'allestimento della mostra, progettata da Pier Luigi Cerri, mette in risalto questa doppia anima di Duchamp: essere, contemporaneamente, dentro e fuori l'arte, perché ogni sua azione, ogni sua opera contiene l'ambiguità tipica di un linguaggio che vuole porsi al di fuori di ogni convenzione linguistica. Nessuno può dire ciò che è arte e ciò che non è arte, ma tutti possono riflettere sul non-senso di una rappresentazione che si origina e si sviluppa sul piano della realtà, per poi presentarsi ancora, come realtà, ma al di là della realtà e Paolo Pullega così via: come giustamente scrive Filiberto Menna, «in realtà Duchamp se ne rende conto e la sua estrema sottigliezza intellettuale consiste appunto nel porsi in bilico, come uno spericolato giocoliere, sul filo che divide ciò che appartiene ali'arte (e al linguaggio) da ciò che appartiene ali'esistenza reale: dopo di lui non è più possibile mettere i baffi alle Gioconde, ma solo prenderle a martellate». Le opere preparatorie per il Grande Vetro sono la testimonianza che Duchamp progettava, anticipava e cercava di anticipare l'evento finale, ma poi lasciava alla casualità degli avvenimenti, esterni al processo creativo, d'intervenire nell'opera: questo accadde quando lasciò per circa un anno e mezzo l'enorme lastra di vetro esposta alla polvere di New York, per dare al quadro «un certo qual carattere pittoresco, come aveva progettato», (Hans Richter). La casualità si ripresenta anche quando il quadro su vetro venne considerato finito. Infatti, durante il trasporto a Brooklyn per una mostra, «il vetro s'incrinò in modo tale che le sue figure sembravano come attraversate da una rete di sottili fenditure. La leggenda vuole che Duchamp abbia in precedenza sognato queste incrinature quali poi apparvero nel quadro!» (H. Richter). Lasciamo da parte queste letture di tipo irrazionalistico; noi crediamo che sia molto più importante analizzare il metodo progettuale di Duchamp, non chiuso, ma sempre aperto e ricettivo a qualsiasi casualità; il tutto, però, all'interno di un modello teorico che, comunque, controlla e riassorbe anche le solleciProve d'artista tazioni più imprevedibili. La distanza tra il sogno di Duchamp e l'evento, il vetro rotto, può anche ridursi a zero ma ciò non permette né aiuta una lettura dell'opera che vada al di là della cronaca: fondamentale è la sensibilità creativa di Duchamp, sensibile anche verso ciò che appartiene per tradizione alla non-artte. Questo è Duchamp: l'imprevedibile si trasforma in norma, in nuova tradizione, mentre la tradizione e i valori consolidati diventano il simbolo della non-ragionevolezza. Il pensiero assurge a opera d'arte mentre gli oggetti si presentano come occasioni, esperienze di riflessiòni artistiche: è sufficiente nominare artisticamente un oggetto, qualsiasi oggetto, perché esso si trasformi in opera d'arte. Al di là dell'influenza di Duchamp sia sull'arte pop, sia su/- New-Dada e il Concettualismo, è necessario ribadire che lo scolabottiglie, anche per lo stesso artista francese, non è un'opera d'arte per sempre, in sé e per sé: non esiste più lo scolabottiglie originale di Duchamp. «Perché .quello che doveva emergere dalla presentazione dello scolabottiglie come arte era la sua mancanza di esclusività: un qualsiasi scolabottiglie vale quello su cui Duchamp fece la sua operazione, un qualsiasi orinatoio vale quello esposto nella mostra di New York nel 1917» (E. Migliorini); siamo al di fuori del- /' arte. Ma proprio per questa ragione è necessario analizzare Duchamp con tutte quelle discipline che hanno posto al centro delle proprie riflessioni il rapporto tra essere e pensiero, tra mente e corpo; io credo che Duchamp sia stato, almeno fino a ora, un patrimoSommario Toni Robertini Demetrio Stratos pagine 7-8 Il buon uso della realtà Alfabeta 109 Giugno 1988 Giovanni Falaschi Donne arabe in poesia pagine 36-37 4./fabeta 109 nio troppo esclusivo della storia e della critica d'arte: bisogna andare oltre /'artisticità. Come scrive lo stesso Duchamp, «la scelta di ready-made non era mai dettata da un senso di godimento estetico. La scelta era fatta in base a una reazione ottica di assoluta indifferenza che prescindeva completamente dal buono e dal cattivo gusto... insomma in uno stato di completa anestesia... Ben presto compresi il pericolo di un ripetersi indiscriminato di questo tipo di espressione e decisi di limitare a un certo numero per anno la produzione di ready-made. Mi rendevo ben conto a quel tempo che, ancor più per lo spettatore che per l'artista, l'arte è un mezzo per autointossicarsi, e volevo preservare i miei ready-mades da una simile profanazione». Marce/ Duchamp è consapevole che l'arte ha in sé la possibilità di diventare un potente mezzo d'intossicazione ma, contemporaneamente, offre a tutti noi la possibilità di diventare artisti perché è sufficiente pensarlo per esserlo; e insieme, decide di limitare la produzione di ready-made perché, forse, crede ancora nel/'arte. Anche se poi la maggior parte della sua vita la trascorreràgiocando a scacchi: l'enigma Duchamp rimane tale e la mostra, soprattutto per i giovani delle accademie e non, presenta con grande chiarezza il percorso paradigmatico, non di" un artista tra gli altri, ma dell'arte in quanto tale. Che cos'è l'arte? Ciascuno potrà interpretare liberamente l'opera di Duchamp, senza dimenticare, però, che prima di creare è necessario pensare. Aldo Colonetti Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico Luigi Ferrari Lo scrittore vestito da donna pagine 8-9 (La realtà in cui viviamo, di H. Blumemberg; Contra dogmaticos, di L. Nanni) pagina 16 Sebastiano carta A cura di Claudia Salaris pagine 38-39 Mensile di informazione culturale Pubbliche relazioni: Monica Palla A più voci Informazione culturale pagina 3 Mang Ke pagina 4 Sergio Manghi . L'argilla e la mente pagina 5 Antonello Sciacchitano Elogio del matriarcato pagina 6 Antonio Porta Il romanzo di Raboni pagine 6-7 Avviso ai collaboratori Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) gli articoli non devono superare i limiti di lunghezza indicati per le singole sezioni (3-4 cartelle per A più voci; 5 cartelle per / pacchetti di Alfabeto; 2-3 cartelle per Cfr; 10-15 Flavio Cuniberto Sul Geist pagina 9 I pacchetti di Alfabeta Carlo Fonnenti Il corpo esploso (Metafore della pubblicità, li corpo elettronico, Archeologia dell'immaginario, di A. Abruzzese; li medium nucleare, di L. Caramiello) pagina 11 Renato Barilli Tabucchi, Fortunato, Barbaro (li gioco del rovescio, di A. Tabucchi; Luoghi naturali, di M. Fortunato; Diario a due, di P. Barbaro) pagina 12 Aldo Colonetti Jauss e Bourdieu (La parola e il potere, di P. Bourdieu; Estetica della ricezione, di H.R. 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Tutti gli articoli inviati alla redazioLe immagini di questo numero La non-arte di Marcel Duchamp di Aldo Colonetti In copertina: disegno di Andrea Pedrazzini ne vengono esaminati, ma la rivista si compone prevalentemente di collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per «Alfabeta» è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - della cooperativa Alfabeto Direzione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella Redazione: Aldo Colonetti, Alessandro Dal Lago, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti Art direction e produzione: Gianni Sassi Cooperativa Nuova Intrapresa Grafica: Marco Santini Antonella Baccarin Editing: Luisa Cortese Edizioni Caposile s.r.l. in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. 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