Alfabeta - anno X - n. 109 - giugno 1988

A{fabeta 109 • - . - - - I pacchetti di Alfabeta pagina 13 J auss e Bourdieu. Pierre Bourdieu La parola e il potere Traduzione di Silvana Massari Napoli, Guida editori, 1988 pp. 199, lire 22.000 Hans Robert Jauss Estetica della ricezione A cura di Antonello Giugliano Introduzione di Anna Mattei Traduzione di Antonello Giugliano Napoli, Guida editori, 1988 pp. 148, lire 20.000 L a cultura della parola rappresenta il luogo dove si esercita il potere della critica, dove il presente si coniuga con il passato, dove si costituiscono le regole della creazione, dell'invenzione. Ma la parola è anche lo strumento attraverso il quale l'interprete entra in contatto con l'opera, con gli artefatti, con il mondo delle altre rappresentazioni: ricevere un messaggio, capirne il significato e trasferirlo nel proprio dizionario o respingerlo come estraneo alla (propria) tradizione, al proprio linguaggio è un'esperienza quotidiana, comune a tutti, ma soprattutto è il centro intorno al quale si organizza ogni attività di tipo estetico. Il potere di qualsiasi interpretazione si appoggia sul potere della parola; e la capacità di comprensione della parola degli altri consiste nel sapere mettere tra sé e il mondo esterno (perché anche le parole degli altri sono parte del mondo esterno) dei canali di comunicazione, degli strumenti naturali rispetto ai contenuti di quella esperienza culturale particolare. Questo e altri sono gli argomenti analizzati in due saggi usciti recentemente; Hans Robert Jauss, il fondatore della Scuola di Costanza, con il ~uo Estetica della ricezione, e Pierre Bourdieu, sociologo al Collège de France, con il recente La parola e il potere. Gli approcci teorici sono diversi: il primo più attento all'economia degli scambi linguistici e al rapporto tra linguaggio e potere simbolico, il secondo indagando soprattutto sulla produzione letteraria, più vicino alla problematica dell'interpretazione del soggetto come momento decisivo per la produzione del valore estetico dell'opera: «Il senso di un'opera si costituisce sempre di nuovo, come momento di un processo in cui devono venire mediati sempre due orizzonti: l'orizzonte dell'aspettazione (o codice primario) che l'opera prescrive e l'orizzonte dell'esperienza (o codice secondario), che il ricevente introduce. I due orizzonti dell'effetto e della ricezione, distinti l'uno dall'altro, per conoscere in che modo nel processo dell'esperienza· letteraria si intreccino le strutture di incidenza dell'opera d'arte e le norme estetiche dei suoi interpreti, costituisce l'esigenza metodologica posta dall'estetica della ricezione alla interpretazione scientifica» (Jauss, p. 136). Anche Pierre Bourdieu, sviluppando la sua analisi dall'affermazione di de Saus-· sure, nel Cours de linguistique générale, per cui «la natura sociale della lingua è una delle sue caratteristiche interne», sotto.linea che è necessario rimettere in circolazione nel dibattito culturale ma, in particolar modo, nella pratica sociale degli scambi linguistici, le condizioni sociali di produzione e di uso dei modelli interpretativi. Nel caso specifico della storia dell'arte e della letteratura, «l'importazione di un metodo di analisi, che presuppone la neutralizzazione delle funzioni, non ha fatto altro che consacrare il modo di apprendimento dell'opera d'arte preteso in ogni epoca dall'intenditore, e cioè la disposizione pura e puramente interna, priva di ogni riferimento riduttore all'esterno. È così che la semiologia letteraria, come il mulino da preghiera (nella religione buddhista è una sorAldo Col netti ta di cilindro che contiene vari rotoli di carta sui quali sono scritte formule sacre) in un altro campo, ha portato il culto dell'opera d'arte a un più alto grado di razionalità, senza modificarne le funzioni». (Bourdieu, p. 7). La socialità di ogni soggetto interpretante fa parte, anch'essa, della storia interna della lingua; come, d'altro canto, fa parte del valore estetico di un artefatto artistico l'insieme delle interpretazioni, «da ciò consegue che l'opera d'arte non è un fatto compiuto e chiuso in se stesso, ma un fenomeno, un'azione sociale, soggetta alla variazione della storia» (Introd. di Anna Mattei). Come è indicato in nota alle riflessioni della curatrice del volume di Jauss, ma come anche direttamente è presente nel testo del filosofo tedesco, le affinità e i rimandi al saggio di Umberto Eco del 1962, Opera aperta, sono forti, riprendendo, sul piano teorico, le ragioni estetiche di un'esperienza artistica precedente di qualche anno: l'arte cine.tica e il concetto di Random-Kunst, ovvero «un'arte nella quale intervengono elementi casuali, quali vengono impiegati nella tecnica cibernetica per la costruzione di macchine che, avvicinandosi alla funzione della coscienza, riproducono decisioni volontarie» (G. Dorfles, Simbolo comunicazione consumo, p. 55). Ecco, l'emergere del ruolo del soggetto, la sua capacità di andare sempre oltre il limite della socialità precostituita e quindi essere in grado di parlare dell'antico senza disperdersi nell'antichità come insieme di valori già costituiti, tutto questo rappresenta, in un certo senso, la scommessa di una zione ma, nello stesso tempo, rappresentante le ~~ndizioni sociali della sua produzione. «E chiaro che l'opposizione tra l'Eigentlichkeit, cioè l'autenticità, e I' Uneigentlichkeit, l'inautenticità, modi cardinali dell'esserci, come dice Heidegger, non è altro che una forma particolare e particolarmente sottile dell'opposizione tra l'élite e le masse [... ] Occorrerebbe mostrare in questo passaggio mille volte commentato, i luoghi comuni dell'aristocraticismo universitario, nutrito di topoi sull'agorà, antitesi della scholé, tempo libero - e - scuola, l'orrore per la statistica (è il tema della medietà) simbolo di tutte le operazioni di livellamento che minacciano la persona ( qui designata Dasein) [... ] (p. 145). I 1 soggetto qui non può parlare se non in perfetta armonia con la forma nella quale il discorso si è organizzato; per cui la parola ha il potere di scegliere il proprio interprete, e se qualcuno tenta di tradurre le parole in un linguaggio comune non viene preso in considerazione perché il discorso filosofico impone le norme della sua ricezione: infatti «non si considera una frase quale la vera crisi dell'abitare consiste nel fatto che i mortali sono sempre ancora in cerca dell'essenza dell'abitare, che essi devono anzittutto imparare ad abitare (Heidegger) come si considererebbè una frase del linguaggio comune quale la crisi dell'alloggio si aggrava. La messa in forma, che impone al profano una distanza rispettosa, protegge il testo dalla trivializzazione, come dice Heidegger, destinandolo a una lettura interna, nel duplice senso Scorcio dello studio di Duchamp a New York, 1912-1918 modernità, che non sia frantumata né da una razionalità metastorica né da una esaltazione di una teoria dell'interpretazione nella quale dovrebbe frantumarsi il mondo, la storia. Il saggio di Pierre Bourdieu specialmente nel capitolo Censura e messa informa, dedicato in modo particolare allo studio delle forme del discorso filosofico di Heidegger, smaschera il ruolo, apparentemente vero nella sua autonomia dal mondo, del linguaggio specialistico: «È attraverso l'inserimento nel sistema della lingua filosofica che si realizza la negazione del senso originario, quello che la parola, resa tabù, prende in riferimento al sistema della lingua comune e che, ufficialmente rigettato fuori del sistema evidente, seguita ad avere un'esistenza sotterranea [... ] Mettere in forma è di per sé mettere in guardia: è atto che, in virtù della sua superiorità, esprime la distanza sovrana tra sé e tutte le determinazioni, soprattutto quando si stratta di concetti in ismo, che riducono l'unicità irriducibile di un pensiero all'uniformità di una classe logica» (p. 143 e sgg.). Il linguaggio di Heidegger è messo in una forma alta, limitante ogni possibile negadi lettura rinchiusa nei limiti del testo stesso e di lettura riservata a un gruppo chiuso di professionisti» (p. 158). È solo un esempio e non vuole essere interpretato, né nel saggio di Bourdieu né nell'intenzioni di chi scrive, una lettura «alla Luckacs» di Heidegger; si sottolinea giustamente che il potere della parola, destoricizzata e dematerializzata, può produrre significati che vanno al di là dell'intenzioni, sia del produttore di senso sia dell'interprete esterno al senso interno dell'opera stessa. «La filosofia di Heidegger è certamente il primo e il più compiuto dei ready made filosofici, opere fatte per essere interpretate e fatte dall'interpretazione»: così Bourdieu conclude il suo discorso su Heidegger e, nello stesso modo, pur all'interno di un altro orizzonte culturale ma sempre complementare al discorso del francese, riflette Jauss, quando pone l'esigenza di un sorta di rientro del soggetto, dell'interprete, non come parte di un sistema chiuso dell'arte, ma in quanto testimonianza di nuove, inattese aperture sul mondo delle rappresentazioni verbali e visive. Jauss, chiedendosi qual è la funzione dell'esperienza estetica all'interno del e rispetto al mondo linguisticamente preordinato, scrive giustamente, mettendo.in primo piano il ruolo fondamentale dei significati storici di qualunque testo, che «la trasposizione della situazione linguistica più antica in quella attuale chiude l'abisso tra passato e presente solo quando il testo passato viene interpretato nel suo significato per noi, il che non avviene più sul piano linguistico, bensì deve accadere sul piano del senso dei testi» (p. 89). Referenzialità storica, attenzione alla struttura linguistica dell'opera, analisi composta delle tradizioni verbali e visive operanti nello stesso testo: queste e altre tappe di avvicinamento fanno parte di alcuni approcci culturali all'opera, ma non sono sufficienti per far parlare totalmente il testo. La teoria della ricezione di Jauss cerca di leggere l'opera d'arte come un'esperienza che non si presenti più secondo una dimensione «auratica», ma che interagisca, non solo sul piano dell'ascolto, ma anche su .quello del valore estetico, con l'interprete; interprete che è sempre costituito più che dall'individuo, dalla storia, dal gusto, dalle capacità di sentire di quel momento particolare. Solo così è possibile reinventare non solo l'interpretazione di un'opera, ma anche lo stesso testo, che diventa così una costellazione di significati aperti: «Mentre la storiografia pragmatica e l'antropologia sociale devono per lo più lavorare con testimonianze, che per noi restano mute, in quanto esse non erano intese né per un più tardo lettore né per un osservatore esterno, le manifestazioni dell'arte rinviano oltre la situazione storica e sociale della loro origine anche quando esse devono servire primariamente a scopi rituali o ideologici» (Jauss, p. 147). Né Jauss né Bourdieu, nonostante alcuni punti di vista parzialmente diversi, vogliono mettere tra parentesi le matrici storiche e materiali dell'opera, del testo, del linguaggio: desiderano svelare che dietro la parola e l'immagine c'è maggior ricchezza di quanto appaia alla luce delle tradizionali storie letterarie, della tradizionale e consueta collocazione gararchica e normalizzante. Solo così si esplicita la componente ideologica di un testo, di un'opera; come scrive Bourdieu, «comprendere significa anche capire le mezze parole e leggere tra le righe, operando in modo pratico le associazioni e le sostituzioni linguistiche che il produttore ha inizialmente operato» (p. 166). Ma comprendere significa anche, come scriveva San Tommaso, quidquid recipitur, recipitur ad modun recipientis: «A questo assioma per il quale l'estetica della ricezione può fare appello perfino all'autorità di San Tommaso, si contrappongono le categorie tradizionali, ancora sostanzialistiche, di fonte, influsso, modello, fortuna postuma, eredità culturale [... ] Intesa in tal modo, la comunicazione letteraria presuppone sempre parzialità e selezione da·parte della letteratura recipiente» (Jauss, p. 143). Il momento attivo dell'interpretazione non deve però ridursi a un libero gioco di interpretazioni che non tengano conto, in quanto patrimonio storico, delle categorie tradizionali, così come le definisce Jauss. Altrimenti ci troveremmo ancora a operare all'interno di una censura e di una messa in forma che ci impedisce di capire, costringendoci a subire una «violenza propriamente simbolica» come unica possibilità di lettura formale ed esclusivamente interna all'opera: il che consente di trattare la lingua od ogni altro rapporto simbolico come finalità senza fine. La circolarità interna sterilizza il valore estetico di ogni produzione simbolica.

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