I pagina 12 I pàcchetti di Alfabeta Tabucchi, Fo Barbaro Antonio Tabucchi Il gioco del rovescio Milano, Feltrinelli, 1988 pp. 174, lire 18.000 Mario Fortunato Luoghi naturali Torino, Einaudi, 1988 pp. 150, lire 10.000 Paolo Barbaro Diario a due Venezia, Marsilio, 1988 pp. 201, lire 20.000 U no dei minimalisti statunitensi, Bret Easton Ellis, ha trovato, due o tre anni fa, un titolo assai azzeccato per designare uno stato d'animo che rischia ormai di costituire una specie di coinè omogenea, di qua e di là dell'Atlantico: Less than zero. Poco importa che in realtà (come mi avveniva di notare in uno di questi «pacchetti») il giovane autore nordamericano fosse del tutto infedele rispetto al suo titolo emblematico, e al contrario infarcisse l'opera corrispondente con fatti sensazionali; tanto che il cinema non ha mancato di accorgersene, e di trarne un film altrettanto a effetto. Ma era nato comunque un termine felice per designare un ricorso sistematico alla «sottoconservazione», alla tranche de vie fatta di niente, costituita per aiutare una coscienza a disperdersi nel vuoto, a liquefarsi quasi sotto i nostri occhi; anche se altri dovevano rivelarsi ben più abili di Easton Ellis nel condurre un simile gioco al limite. Tra questi altri, un posto di tutto rilievo internazionale, in testa a un'antologia ideale che forse, prima o poi, si vorrà dedicare a una simile sindrome del «meno di zero», spetta senza dubbio al nostro Antonio Tabucchi, e al suo laboratorio alquanto misterioso in cui, a dire il vero, riesce difficile sorprendere la linea di confine tra nuove creazioni o invece riproposte, recuperi. Per esempio, i racconti del Gioco del rovescio appartengono quasi tutti agli anni 19781981, e uscirono già nelle Silerchie del Saggiatore. E anche il recente Filo dell'orizzonte veniva dai cassetti, più che dal tavolo di una stesura diretta. Poco importano tuttavia questi aspetti di cronologia interna; resta il fatto che Tabucchi dimostra di aver trovato ormai una misura aurea nel racconto, ovvero in un segmento operativo che corrisponde esattamente al tempo e allo spazio necessari per farci assistere come allo squagliamento di un iceberg. Un grumo di esistenza ci viene incontro, compatto e tetragono, per poi sciogliersi progressivamente, fino a un totale disfacimento. Le azioni sono tutte al passato, rispetto a questo nucleo di esistenza allo stato puro, e vengono stancamente evocate, un pò' di sotterfugio, quanto basta per intendere i precedenti della «storia»,· ma poi dimenticate, lasciate sullo sfondo, dato che, inutile dirlo, questi racconti sono altrettanti resoconti di «passioni», di stati affettivi, a loro volta versati nel nulla e din-. tomi. L'unica variante potrebbe consistere in un vezzo ad ambientare queste «storie di ordinaria inesistenza» in un passato coloniale, cui Tabucchi è indotto anche sulla scorta della sua qualifica professionale di «lusitanista», di studioso di letteratura portoghese, il che fra l'altro lo sprona a ricalcare le orme di grandi maestri del dramma psicologico posto in fondali esotici, da Renato Barilli Conrad a Foster; ma anche in questi casi lo scrittore di oggi sembra intervenire con un ruolo di riduttore: come fosse armato di un pantografo chiamato non già a ingrandire, bensì a miniaturizzare. E comunque, i fatti devono rimanere fuori quadro. Si veda il racconto Teatro, collocato appunto in un Mozambico anni trenta, luogo d'arrivo di rottami dai «vecchi parapetti» europei, fra cui un ex-attore inglese shakespeariano che recita ogni sera, quasi solo per se stesso, in un monologo assurdo, brani del grande drammaturgo. Naturalmente, l'autore non ci dice quale sia stato l'evento crudele che ha costretto quell'attore all'esilio: resta il suo farneticare, come di una pila che si viene scaricando. .. ······ ... ·-:::::;::::;; Ji~H~iHH~H~ i·mmrnmm LJ~H~HH~~~H :ìli!i!!lIiIiI\!~! ..;:::'!::::::::::::: : ••1••••••••••••••• ::::t:::::::::::: Copertina e sovraccoperta per Young Cherry Trees Secured against Hares 1946 Ma i capolavori di Tabucchi sono situati nell'oggi, in un fondale di benessere standardizzato in cui qualche voce si confessa (con le forme attuali dell'intervista, della telefonata, in alternativa alla lettera o alla pagina di diario). Squisito il racconto / pomeriggi del sabato, dove una famigliola si stringe nella difesa a oltranza di un buon livello di vita borghese, minacciato dalla prematura scomparsa del capofamiglia. Tutto sarebbe routine, affettuosa e malinconica, se non accadesse che il pater familias si dà a frequentare i superstiti, entrando nella loro vita «alla pari». O meglio, apparendo ad alcuni membri, e non ad altri, e così creando un dislivello tra chi dialoga col fantasma, e chi no. Ma tutta la realtà di Tabucchi si pone sulla soglia tra ì fatti fisici e i prolungamenti metapsichici, tra presenza e assenza. Come avviene anche in Voci, dove una protagonista in apparenza abbastanza forte adempie al compito di rispondere col «telefono amico», cercando di recuperare gli aspiranti suicidi; ma, negli intervalli, essa dialoga a sua volta con un proprio fantasma, ovvero sente delle voci, passa dall'altra parte del muro, senza che il passaggio sia segnato con una precisa linea di demarcazione. Di sicuro i lettori stentano ad avvertire il punto preciso in cui questa viene varcata, e d'improvviso si trovano immersi nel passato, nella riproposta di vecchie esperienze, come in un disco rimasto bloccato senza andare né avanti né indietro. Tipico in tal senso il breve racconto Il gatto dello Cheshire, in cui il protagonista va a un impossibile appuntamento ferroviario fissatogli anni prima. Tutto ciò, come risulta chiaro da valutazioni implicite ed esplicite, è squisito, magistralmente condotto, ma rischia anche un effetto da capolinea, da zero assoluto, anche nel senso fisico del concetto, che indica il punto in cui l'agitazione molecolare si arresta interamente. E anche qui in effetti l'azione è sempre più remota, la passione domina sovrana, si allarga a pozza, rischia il ristagno. Mario Fortunato, alla sua opera prima in narrativa, Luoghi naturali ( dopo un volume di poesie) si iscrive ancregli nel club del «meno di zero» confermandone il carattere di coinè pressoché inevitabile. E anzi in qualche modo egli ne ribadisce polemicamente lo statuto «naturale», come recita il titolo del libro, come se ormai questo sostare «tra presenza e assenza» corrispondesse a una nuova naturalezza psichica. Davvero la «normalizzazione» degli stati psichici «altri», cui mi sono tanto spesso richiamato in passato, ha fatto una lunga strada, giungendo a vincere la partita. Qua e là nel volume trovo, espresse dai protagonisti (che in realtà sarebbe meglio chiamare non-agonisti), calzanti dichiarazioni come le seguenti:«[ ... ] sconfinare in una sorta di territorio intermedio fra l'esistenza e la cessazione di me stesso» (p. 58), «[... ] il suo corpo era rimasto come sospeso, né vivo né morto» (p. 138). I l censimento di tali stati di ordinaria o naturale alienazione è presto fatto: malattia mentale, autismo, omosessualità, magari con relativa minaccia di AIDS; e soprattutto, «male di vivere», cupio dissolvi. La scrittura di Fortunato è meno raffinata di quella di Tabucchi, ma più solida, meglio assestata al «grado zero»· del livello neutro; e anche forse le sequenze sono mediamente più larghe, come se ci fosse in lui una volontà residua di costruzione; per questo verso egli è più vicino ali' «internazionale» del minimalismo, ovvero di uno stile iper-oggettivo, quasi behaviorista. O in altre parole Fortunato tende a proporre blocchi di esistenza abbastanza estesi e consistenti, il che però fa nascere il problema di «tagliarli» con qualche effetto architettonico; invece per il momento questi blocchi si presentano, talora, alquanto informi; sembra quasi che l'autore non sappia bene come uscirne, in quale punto della traiettoria sospendere la registrazione. Ma certo è difficile operare tagli, cesure in una simile materia, che si caratterizza proprio per il suo diffondersi e dissolversi nell'inazione. E dunque non c'è catastrofe, finale a sorpresa, che possa offrire una chiusura drammatica alle singole «storie». Del resto, Fortunato non vuole neppure individualizzarle, ma le considera come altrettanti referti di un unico processo di liquefazione, sorpreso e saggiato su campioni diversi; inevitabilmente le singole parabole si assomigliano tra loro, fino a confondersi. È come se accompagnassimo un unico personaggio medusaceo, in una serie di peripezie che vanno calmandosi, man mano che si avvicinano allo zero assoluto. D'altra parte, ammettiamolo, il ricorso a motivi grossi d'azione, d'intrigo, è sempre un bel rischio, se almeno non si ha il coraggio di capovolgere la clessidra e di puntare su un intrigo elaborato, compiaciuto di un suo carattere sofisticato; ma allora si dovrebbe marciare verso esiti alla Eco, o alla Roberto Pazzi. Alfabeta 109 ato, L'opera di Paolo Barbaro, Diario a due, che fa seguito a numerosi altri romanzi del medesimo autore, sembrerebbe incamminata a giocare qualche carta strutturale, ma strada facendo si accorge dei pericoli, e allora si rifugia anch'essa nell'approdo «minimale», quietista, ritrovando situazioni non molto diverse da quelle che abbiamo appena saggiato presso gli altri due narratori. La «storia» si fonda sull'incontro tra un «laico» e una suora; la marcia di avvicinamento reciproco dei due è affidata alla formula dell'epistolario, il che però già contribuisce a interiorizzare entrambe le esistenze. L'occasione è data da un convento fatiscente, nei pressi di Padova, che quindi chiede un molto prosaico intervento di ristrutturazione a opera di un'impeccabile e funzionale impresa di alto bordo, la quale a sua volta si affida a solerti e «mondani» funzionari, tra cui il protagonista, il geometra Dario. Dall'altra parte sta suor Adriana, madre superiora del convento da restaurare. A questo punto Barbaro rischierebbe la facile china della love story, magari nobilitata dal lancio di un messaggio di laicizzazione: suor Adriana cede all'amore per il geometra, umano e coi piedi per terra, gettando l'abito monacale alle ortiche e dandosi a un'attività assistenziale, impostata su criteri efficientisti; o viceversa, potrebbe essere il partner a subire una crisi religiosa e a raggiungerla ... Solo a pensarci, però, avvertiamo quanto simili esiti restino impossibili, insopportabili, quanto sia più opportuno che l'autore imbocchi la via dell'azzeramento. Dario e Adriana, invece di convergere e di incontrarsi, entrano in un processo di dissolvenza parallela, avviandosi verso un annullamento, ciascuno a suo modo. Dario ha alle spalle un matrimonio fallito, non certo confortato dai figli, ormai adulti e indifferenti verso il genitore, che non trova sufficiente compenso neppure nel lavoro. Né osa «agire», trasformare la passione in azione, nei confronti della madre superiora. Gli resta allora da giocare soltanto la parte del malato immaginario, che si lascia internare in un ospedale, proprio per non dover decidere più nulla, per essere agito dagli altri, avviato più celermente verso il nulla. Suor Adriana, a sua volta, ha preso l'abito monacale non per vocazione, ma per necessità, essendosi trovata orfana. Ne potrebbe venire uno spaccato di indagine sociale, che per fortuna Barbaro ci risparmia. Potrebbe esserci l'esito attivo e dinamico, già accennato sopra, di una suora in panni moderni che sfrutta le ricchezze delle opere pie e dell'ordine monastico cui appartiene, intraprendendo un programma assistenziale vigoroso e non conformista. Adriana tenta questa strada, ma ne è ben presto respinta; e del resto un simile attivismo non fa al caso suo, cosl come non le si addice neppure la fuga d'amore col modesto geometra. Le rimane allora soltanto la dissolvenza «meno che zero»: rinuncerà al rango di superiora, andrà a servire in tutta umiltà i minorati del Cottolengo, anch'essa afferrata nel gorgo del cupio dissolvi. Ed ecco che allora anche le due vite parallele di Barbaro rientrano nello stato finale di inerzia cui appartengono, costitutivamente, quelle di Tabucchi e di Fortunato. Il margine «romanzesco» che possedevano in partenza si è consumato ben prestq, o comunque non ha potuto evitare il processo entropico.
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