Alfabeta - anno X - n. 109 - giugno 1988

- 3 Alfabeta 109 I pacchetti di Alfabeta Ileo Alberto Abruzzese Metafore della pubblicità Genova, costa & nolan, 1988 pp. 123, lire 15.000 Il corpo elettronico Firenze, La Nuova Italia, 1988 pp. 102, lire 12.000 Archeologie dell'immaginario Napoli, Liguori, 1988 pp. 96, lire 12.000 Luigi Caramiello, Il medium nucleare Roma, Edizioni Lavoro, 1987 pp. 226, lire 20.000 L ' analisi dei processi di irreggimentazione, controllo e disciplinamento del corpo è al centro delle teorie critiche della moderna società industriale, da Marx ai francofortesi, sino a Foucault, e ha contribuito potentemente allo sviluppo della problematica della «alienazione». Se la nozione di alienazione ci appare oggi sempre più sfocata e problematica è perché l'immaginario tardomoderno, specchio di una società terziarizzata, informatizzata, mediatizzata, si fonda sull'energetica della comunicazione assai più che sull'economia e sulla meccanica dei corpi. Il pensiero critico si fonda sulla possibilità di dissipare la «falsa coscienza», mettendo a nudo l'essenza materiale del dominio industriale come dominio sul lavoro vivo. A mano a mano che la forma del dominio diviene più astratta, e non si incorpora più nella macchina bensì nel codice, sino a determinare tutto l'orizzonte del linguaggio sociale, diviene problematico affermare l'autonomia di un pensiero «altro», negativo. Nei lavori di Jean Baudrillard questo scacco appare in tutta la sua radicalità: privo di referenti materiali, il pensiero critico divora se stesso, diviene nichilismo puro; diventa «critica dell'economia politica del segno», la marxiana critica dell'economia politica finisce per descrivere gli effetti di fascinazione del sistema dei media, al quale può solo più augurare la catastrofe dell'implosione del senso, dell'effetto massa, di un ironico dominio degli oggetti. L'analisi della transizione alla società postindustriale come alienazione di secondo grado (Baudrillard arriva al quinto!), dalla meccanizzazione del corpo alla sua immaginarizzazione, ripropone vecchie metafore, continua a privilegiare il modello economico, il modello della macchina, non si interroga sul nuovo statuto simbolico del corpo. È viceversa da questo interrogativo che muovono alcuni recenti saggi di Alberto Abruzzese, invitandoci ad abbandonare la problematica dell'alienazione e a esplorare le possibilità di un corpo «esploso»; di una macchina comunicativa che va ormai analizzata come organismo artificiale in cui convergono, confliggono e si integrano sensibilità, tecnologie e bisogni. Si tratta di tre libri che possono essere letti in s~quenza, come stazioni di un unico percorso. Archeologie dell'immaginario, pubblicato dall'editore Liguori, analizza alcune tappe significative del processo costitutivo dell'industria culturale fra fine Ottocento e primo Novecento. In particolare, viene messo in luce come l'incontro fra avanguardie letterarie, artistiche e intellettuali da un Iato e sviluppo tecnologico e industriale dall'altro, incontro mediato dalle nascenti industrie cinematografica, pubblicitaria e dell'editoria di massa, abbia generato miti, simboli, sensibilità, linguaggi e bisogni che non rispecchiavano i rapporti sociali esistenti (ancora caratterizzati da un inestricabile intreccio fra modernità e tradizione), ma anticipavano le tendenze «decostruttive» della tarda modernità: «La scoperta o riscoperta del passato non deve servire a conservare ma a trasformare anzi a sapere trasformare, quindi a trovare i modi più opportuni e produttivi per negare la tradizione, per tradurla nel presente, per deformarla» (come dire: sul piano culturale il modernismo nasce già postmoderno!) Se si guarda alla contaminru!:ionefra «alta» e «bassa» cultura già in opera nel primo Novecento con gli occhi dell'antropologia piuttosto che con quelli della critica, appare evidente come la posta in palio di fenomeni quali l'esaltazione della moda e del lusso, della velocificazione, il culto del corpo, il superomismo, ecc. non fosse la reazione (o la rimozione) di fronte al rischio dell'alienazione, della meccanizzazione dei corpi (rischio ancora limitato in un processo produttivo in larga misura artigianale), ma la sfida di una soggettività protesa allo sviluppo di nuove potenzialità, sensibilità, di un corpo «in gara con la catastrofe, in gara con i mondi artificiali». L'ultima definizione appartiene al secondo dei testi esaminati (Il corpo elettronico, La Nuova Italia), nel quale Abruzzese discute il dispiegamento avvenuto del sistema dei media. Con la televisione la potenza del mezzo tecnico ha raggiunto (e superato!) la potenza dell'immaginario. Se nella prima metà del secolo l'incorporazione della creatività e dell'intelligenza sociali nell'industria culturale ha trasformato l'assetto del territorio, destrutturando il volto monumentale della città che diviene metro- .. esploso in un territorio industriale che lo ha potenziato, che ne ha esteso territorialmente le funzioni, il corpo individuale diviene ora «corpo elettronico». L'immaginario sociale non è più una dimensione separata: «Oggi per immaginario si intende l'insieme dei modi in cui si vive un determinato ambiente. Il corpo entra in campo insieme all'attività della mente». Di fronte a questa sfida il pensiero oscilla fra repulsione e fascinazione: fascinazione per la potenza del mezzo tecnico, ancora pensato come straordinario sviluppo delle forze produttive, repulsione per i contenuti che esso veicola, ancora pensati attraverso la categoria dell'alienazione. Da un lato si enfatizza la potenza, dall'altro si enfatizzano i suoi rischi e la necessità di un loro controllo politico. Unà tensione che raggiunge l'apice nell'analisi del fenomeno pubblicitario. E ntriamo così nel vivo dell'argomento del terzo libro di Abruzzese: Metafore della pubblicità, da poco in libreria per i tipi delle edizioni costa & nolan. Secondo Abruzzese, occorre superare il punto di vista che assume il messaggio pubblicitario come disturbo, come «rumore» della comunicazione. Un'ottica che, da un lato, denuncia la proliferazione degli spot televisivi e delle pagine pubblicitarie su riviste e giornali come intollerabile interferenza, colonizzazione che i testi dei differenti ambiti narrativi e informativi subiscono da parte dell'interesse economico, dall'altro paventa l'implosione del senso, la contaminazione formale e contenutistica, estetica ed etica, che il linScacchiera tascabile, 1961-1964 poli, spazio astratto dei segni, intensità, differenze, ora la loro incorporazione nei media elettronici consente di penetrare lo spazio privato. Lo spazio-tempo individuale, già rifugio di un corpo sottratto alle suggestioni e ai ritmi della fabbrica e del territorio metropolitano, restituito alla «naturalità» dei rapporti domestici, diviene il cuore stesso della mutazione. Ora è la totalità del mondo «esterno» che viene informata dall'immaginario che si produce nell' «interno», nel privato. Dalla finzione letteraria e dallo spazio monumentale, la mitopoiesi emigra nello spazio astratto della metropoli (dove i suoi «testi» subiscono una prima destrutturazione, vengono esposti a contaminazioni di ogni tipo fra differenti generi), e infine nel vissuto quotidiano del singolo consumatore. Un vissuto quotidiano che non può più essere compreso prescindendo dalla sua interazione con l'immagine elettronica. Già guaggio pubblicitario induce in tutta la semiosfera. Si tratta tuttavia di accuse inconciliabili: se si ammette che la potenza espressiva del linguaggio pubblicitario tende a connotare quest'ultimo come una sorta di metanarrazione, come un genere che sintetizza e potenzia le tendenze connaturate alle nuove tecnologie della comunicazione (assenza del referente, trasfigurazione di tutti i linguaggi e le tradizioni culturali che vengono assorbiti non per conservarli ma per contaminarli e superarli, ecc), non è possibile riflettere sul fenomeno tenendo ferme le tradizionali coppie oppositive del pensiero critico (forma-contenuto, valore di scambio-valore d'uso, realtà-simulazione). Occorre invece analizzare la specificità culturale, sociale, politica, antropologica di questa nuova forma espressiva, e soprattutto, occorre prendere atto,.del suo progressivo autonomizzarsi dalle finalità economiche. pagina 11 Occorre capire se, e in quale misura, questa mutazione del linguaggio non configuri anche una via di fuga, una prospettiva rispetto a cui «l'alienazione si fa unica possibilità di intelligenza, presenza, sapere». Non si tratta di fare l'apologia dei media e della pubblicità; al contrario: è proprio assumendo come irreversibile questa nuova frontiera della mitopoiesi che si possono sviluppare adeguati strumenti di riflessione e intervento politico. Ciò costringerebbe oltretutto la cultura di sinistra a misurarsi finalmente sul terreno strategico della produzione simbolica. La pubblicità non è la punta di diamante di un processo di secolarizzazione e di laicizzazione che configura un uso strumentale e degradato del mito a puri fini di profitto, è l'ambito culturale in cui vanno prendendo forma le figure di un immaginario che procede per catastrofi (catastrofe del senso, della percezione, della tradizione, del corpo); è, anche, il luogo in cui vanno ricomponendosi i frammenti individualizzati e privatizzati di una nuova ritualità sociale. «L'antropologia culturale ha commesso [... ] l'errore di vedere[ ... ] l'abbandono del sacro e la sua progressiva ghettizzazione istituzionale e folklorica, e non anche il progressivo slittamento e le progressive mutazioni dei rituali sacri in quelli profani, avvenute senza tuttavia provocare la riduzione delle originarie caratteristiche di eccesso, gratuità, scambio simbolico, religiosità, travestimento e conflitto, regolamentazione e trasgressione». Da questa microfisica della mitopoiesi nasce l'evidenza del carattere dell'immaginario tardomoderno come immaginario di una catastrofe già avvenuta, della fine del senso storico, del corpo esploso nel presente. Dall'esplosione del corpo individuale a quella del corpo sociale: questo approccio interpretativo è stato applicato da un giovane sociologo all'immaginario nucleare (Gigi Caramiello, Il medium nucleare). La catastrofe nucleare non è una minaccia: è un evento che si è già prodotto; da Hiroshima a Chernobyl la realtà nucleare ha introdotto per la prima volta nella storia dell'umanità la possibilità concreta di un'estinzione di massa della specie. A partire da questo evento nulla può più essere pensato in termini tradizionali: politica, storia, cultura, vita quotidiana sono interamente immerse nell'orizzonte di una fine irreversibile, senza memoria né riscatto. È per questo che la dialettica marxiana della «seconda natura» si rovescia nella coscienza che la tecnica non è più concepibile come strumento, come valore d'uso, che il suo sviluppo autonomo configura una minaccia che viene dai prodotti stessi del nostro agire sociale. È per questo che i nuovi movimenti scelgono il presente come propria dimensione temporale, cercano una via di uscita rispetto a un futuro inimmaginabile. È per questo, infine, che il conflitto non deve più avvenire attorno all'interrogativo: chi controlla la tecnica? Ma deve piuttosto svilupparsi sulla domanda: quali sono le forme simboliche che ci permettono di dare senso alla nostra esperienza in un mondo nuclearizzato? La via del disarmo non è praticabile se continueremo a considerare il nucleare come un'arma, solo infinitamente più potente di altre, essa può forse divenire meno utopistica se sapremo cogliere le radici della fascinazione del medium nucleare: non arma ma, seguendo l'insegnamento di Bataille, estrema e terribile frontiera del lusso, di una dépense, di uno spreco produttivo che legittima simbolicamente lo spaventoso potere di una casta.

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