I Alfabeta 108 < J La virtù più elevata è come l'ac- ~ ~ua. Cerca i.lluog.o.più basso, che m genere gh uomm, non amano». Per ripercorrere l'evoluzione più recente della musica contemporanea, questo aforisma di Lao-Tze ci aiuta a evidenziarne alcuni momenti essenziali: dall'accettazione dell'accordo come istante in sé compiuto di Debussy, all'isolamento di una costellazione di suoni e di timbri di Varèse, sino alla pura disposizione nel tempo di «sonoritàeventi» da parte di Cage, il concetto di musica si estende e prolifera dal suono al rumore, dal lineare al non-lineare, dal determinato all'indeterminato; il destino che sigilla i suoi molteplici itinerari elide l'opposizione tra «elevate» ragioni metafisiche o psicologiche e «bassezza» informe della materia sonora. Se l'inserzione dell'opera di Morton Feldman (1926-1987) in tale estrema e feconda linea genealogica rappresenta un compito ineludibile, ci si ingannerebbe nel prevederne l'ostilità verso Webern, desumendola da quella per gli alfieri della serializzazione integrale dei parametri compositivi, applicata per la prima volta da Boulez alla definizione del ritmo e delle dinamiche. Lo stesso Feldman sembra incoraggiare l'ipotesi nel corso dei suoi scritti (Essays, Colonia, Beginners Press, 1985) rivendicando, di fronte alla crescente complessità delle opere «strutturaliste» del secondo dopoguerra, l'urgenza di un'indagine sul suono quale elemento «troppo immenso per essere ignorato». Eppure l'incontro tra Cage e Feldman nel 1949 avviene dinanzi alla condivisa e ammirata stupefazione per Webern; distorsione della sua poetica o sintomo di una diversa interpretazione, estranea a quella accreditata in Europa? Gli esegeti di Webern ansiosi di «generalizzare» l'uso della dodecafonia vi hanno ravvisato, in particolare nelle Variazioni per piano op. 27, l'applicazione alla dimensione del tempo, ovvero alle durate del ritmo e degli stessi silenzi, di uno schema combinatorio paragonabile a quello già elaborato, in maniera del tutto astratta, nell'ambito delle altezze; offrendo al pensiero seriale una suddivisione analitica dei parametri compositivi, uno schema di proporzioni capa~e di sostenere separatamente ciascuna delle dimensioni così liberate. Per Webern in realtà la serializzazione integrale riveste tutt'altro senso che un «livellamento» egualitario dei suoni; mira invece a de-linearizzare la musica, a ottenere una sensibilizzazione radicale per l'istante in cui ciascun suono scaturisce. Il tempo diventa la testimonianza della presenza stessa dei suoni, non l'arido corollario di una griglia, combinatoria che abbia valore decisivo in quanto tale. Ogni blocco sonoro diventa autonomo non come segmento metricamente prestabilito, ma perché la serie permette di trasfigurarlo nell'immagine, nell'icona atemporale di se stesso. La lettura europea di Webern si impone per la sua forza lirica, anti-scientista; come rileva Daniel Charles, parafrasando Gadamer, la Scuola di Vienna trova negli Stati Uniti una decifrazione forse più pregnante che nello strutturalismo, perché l'approccio verso tale tradizione non si esercita nell'approfondimento di un metodo, bensì indagandone l'intima verità, intesa come «tempo della presenza». Già negli anni cinquanta Feldman emancipa le sue opere dai vincoli dell'ordito seriale: tralascia la nozione consueta di «composizione» preferendo «proiettare i suoni nel tempo:>e liberarsi dalle due ideeA più voci pagina 9 j LamiiSicadi orton Feldman Michele Porzio guida dell'avanguardia europea, la memoria storica e la correlazione delle parti nel tutto, in modo che l'ascolto prescinda dalla fossilizzazione di modelli simbolici. Le sue tipiche iterazioni di frammenti o sezioni, pertanto, non sono forme di «puntilismo», ma cadono quando la mente si sofferma su un aggregato sonoro; l'inizio del pezzo è una «ricognizione» - non un motivo - che attira l'attenzione grazie alle ipnotiche ripetizioni. D'altro canto, fin da questo periodo Feldman mantiene una posizione di precisa autonomia da Cage; pur riconoscendogli un influsso senza uguali nella propria formazione poetica, rimane scettico verso la creazione di ogni simbiosi tra politica e arte anche quando aspira alla pura «contaminazione» entro visioni messianiche: «Nono vuole che ognuno sia indignato. Cage vuole che ognuno sia felice. Ambedue sono forme di tirannia, anche se, naturalmente, preferisco quella di Cage. Ma se l'arte deve essere messianica, allora preferisco la mia strada, l'insistenza sul diritto di essere esoterico». Nono giudica la situazione sociale intollerabile e chiede all'arte di cambiarla; Cage, trovando l'arte intollerabile si appella alla situazione sociale e al nostro modo globale di pensare per cambiarla. In entrambi i casi l'artista cerca una salvezza in ciò che valuta «reale»; ma come colmare la distanza tra ciò che è reale e ciò che è metaforico, si chiede Feldman, se l'arte non è che una metafora? Un'analoga ricerca di equilibrio tra le polarità dell'ordine razionalistico e del misticismo anarchico, unita a un'inflessibile concentrazione sulle ragioni primarie della musica, si intuisce nella critica che accomuna polemicamente Boulez e Duchamp: con la scelta di un ready-made, quest'ultimo si preoccupa, non meno del primo che bada alla «costruzione» delle sue opere assai più che al loro risultato fonico, della posizione storica che viene a occupare anziché di quanto in effetti si vede o si ascolta. .. Invece di ribellarsi alla storia, perché così facendo si resta ancora parte di essa, Feldman suggerisce di non sentirsi implicati nel suo processo, ma solo nei suoni stessi: «Il suono non conosce la storia che gli abbiamo attribuito»; ovvero, appropriandosi delle parole di De Kooning, «la storia non mi influenza. Sono io che la influenzo». Nel corso degli Essays le vicende di artisti come De Kooning, Rauschenberg, Pollock, Rothko, Guston, ai quali è legato anche da una profonda amicizia, ricorrono con assiduità quasi maggiore di quelle dei compositori contemporanei: verso la stagione americana dell'informale Feldman sente un'intima consonanza spirituale, avvertendovi il superamento dell'antinomia che opponeva il razionalismo di Mondrian all'irrazionalismo surrealista. Abbraccia la formula di Rauschenberg, che rifiuta un'adesione unilaterale alla vita o all'arte per attenersi a «qualcosa che sta nel mezzo»; applica alla musica la commistione tra materiale e costruzione, tra teoria e realizzazione. Di Pollock ammira l'esuberante metodo di lavoro, il suo sdraiare le tele sul pavimento per dipingerle girandovi attorno, e analogamente appende a un muro dei fogli di carta quadrettata dove ogni foglio rappresenta una struttura ritmica visuale; l'impiego di queste «tele temporali» evita il normale movimento lungo la pagina da sinistra a destra, facendo corrispondere alle linee orizzontali le durate e a quelle verticali la strumentazione della comP.osizione. Ancor meglio che al vitalismo dell'action painting, lo scorrere quieto, concentrato ed esoterico del tempo in Feldman si accorda alla definizione statica dello spazio di Rothko e di Guston; una ricerca sino a quel momento poco sviluppata dalla musica, con le eccezioni eminenti di Satie e delle «sculture galleggianti» di Varèse. Una delle sue opere più celebrate è infatti Rothko Chapel, commissionata per l'inaugurazione di una cappella ecumenica eretta a Houston, da Rothko progettata e decorata. Alla musica di Feldman si suole attribuire l'appartenenza, con Earle Brown e Christian Wolff, alla cosiddetta «scuola di Cage», dimenticando che l'eccessivo accento sull'omogeneità di questo come di analoghi sodalizi del passato tanto è utile in una mappa orientativa di tendenze generali, quanto è foriero di semplificazioni e confusioni per un'indagine specifica: l'indeterminazione delle durate e la notazione tramite grafici, che più l'avvicinano al «maestro», sono per lui metodologie di episodica incidenza; la sua è una scrittura in massima parte accuratamente preordinata, un meticoloso «impressionismo informale» ansioso di affacciarsi, senza mai cedere alla prolissa schematicità di taluni autori «minimalisti», alla bellezza della pura sonorità. Pur consapevole che «liberarsi dalla storia significa liberarsi dal pregiudizio», dissente da due assiomi per Cage fondamentali: che il processo compositivo debba imitare la natura nel suo modo di operare e che tutto ciò che si ascolta sia musica. Laddove çage è l'espressione della sintesi tra il pragmatismo americano e la sapienza metafisica orientale, Feldman incarna l'equidistanza e l'equilibrio - e la lacerazione tormentata - tra Europa e America. Bibliografia M. Feldman, Essays, Colonia, Beginner Press, 1985. «Musik-Konzepte», n. 48-49, edition text+kritik, GmbH, Miinchen, 1986. Numero monografico dedicato a Morton Feldman. Concerto in memoria di Morton Feldman Milano, Università degli Studi 1°dicembre 1987 Era difficile sperare che la recente e prematura scomparsa di Morton Feldman, con John Cage, Earle Brown e Christian Wolff il rappresentante dell'ala più radicale della musica americana dal dopoguerra a oggi, servisse se non altro a risvegliare negli organizzatori di manifestazioni concertistiche uno specifico interesse attorno alla sua figura: le ristrettezze economiche e le carenze di pubblico che colpiscono gli enti musicali milanesi favoriscono i nomi di fama già consolidata e le opere di agevole ricezione. Inoltre il musicista si era spento il 3 settembre, quando la programmazione per l'imminente stagione concertistica è ormai decisa; pareva certo che l'ascolto di sue composizioni, nell'ipotesi più favorevole, sarebbe stata procrastinata di almeno un anno. Lo scrivente e Giovanna Borradori (studiosa di filosofia e in particolare di estetica americana, autrice di un'intervista a Feldman pubblicata in «Musica e Realtà» nell'aprile 1986) hanno perciò deciso di promuovere, come atto doveroso alla sua memoria, un concerto antologico delle opere pianistiche di Feldman, che nel suo catalogo occupano una posizione di primaria importanza. Introdotto da due testimonianze sull'autore di Franco Donatoni e di Borradori, il concerto ha spaziato dagli aforistici brani degli anni cinquanta (Extensions 3, Piano Piece, Three Pieces for Piano, Piano Piece to Philip Guston) al lunghissimo For Bunita Marcus (1985) illuminando lo sviluppo e la continuità sottesi alla sua affascinante e solitaria poetica. Le opere «giovanili» di Feldman segnano la mediazione tra la laconica e iniziatica concentrazione espressiva di Webern e l'indeterminazione delle durate introdotta da Cage; la successione delle sezioni risponde a un principio più timbrico che strutturale. Con For Bunita Marcus si è invece di fronte a un capolavoro che regge il peso di un'insolita estensione temporale (1 ora e 20 minuti!) con sorprendente facilità, grazie alla sapiente e raffinata costruzione della forma e all'approfondimento della dialettica che alterna la variazione alla iterazione. Le musiche di Feldman hanno dinamiche che oscillano dal «piano» al quasi inudibile «pianissimo»; pur disdegnando gesti di esteriore virtuosismo, la loro esecuzione richiede estrema delicatezza di tocco e attenzione alla complessità del ritmo: doti che John Tilbury, il suo più accreditato interprete, ha dimostrato di possedere perfettamente.
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