Alfabeta - anno X - n. 108 - maggio 1988

Alfa beta I 08 tico e all'istituzione mentre la continuità non importa che ci sia, non vale di più, può darsi e può non darsi, fra compagni.) Ma leggiamo con più cura per capire meglio. Siamo nel 1974, Fortini sviscera un aforisma di Kraus: «L'uomo erotico concede alla donna chiunque al quale non la concederebbe». Fortini lo svolge e lo spiega, anzitutto, traducendolo così: «L'uomo erotico, con proprio godimento, concede alla donna quello o quei tipi di uomini che sente in qualche modo inferiori a sé, e quindi alla donna, e che combatterebbe se si presentassero invece come rivali». E spiega che tale situazione è frequente nella vita e anche nella letteratura, quando la terza persona non si pone alla pari con la prima o seconda persona del rapporto; ma ne è separata da un «dislivello» o sociale o culturale, o di età, di esperienza, di classe: è un'ingenua, una lavandaia, un giardiniere, un adolescente; è poi «sedotto». In Laclos, in Proust, ancora in Lawrence, ecc. In questo caso estesissimo, dagli adultèri flaubertiani alle complicità del romanzo nero e della cronaca di malavita o di alta società - in questo caso di amour à trois diretto o indiretto, il fatto che il terzo non sia posto come pari semplifica tutto, nella tradizione «borghese» anteriore della vita interindividuale e amorosa. A poco a poco Fortini ci porta a rovesciare l'acuta e fulminea frase di Kraus di mezzo secolo fa; e tuttavia non ci porta a nessun esclusivismo; così: «L'uomo erotico concede alla donna chiunque perché non sta a lui concederla a nessuno e nessuno ha da concedere o da essere concesso, ma ognuno ha da scegliersi nei propri desideri, ognuno ha da decidere di essere quel che vuol essere» (p. 77). Ecco questo è già tendenzialmente il modo di pensare di oggi; è diventata matura una parità di scelte, quali che variamente siano; ci sono solo gli stereotipi istituzionali, oppure le autenticità: che sono difficili, e gli stili di vita. È dunque avvenuto intanto un certo mutamento di struttura, nel senso di Braudel: che in uno scritto famoso ha precisato come il movimento del 68 sconfitto politicamente abbia però colpito il sentimento vecchio del dovere, sostituendolo col principio della felicità individuale: che non è semplice, ma pone un problema etico nuovo col suo disordine che non è di eccesso, ma di altro ritmo. Né di felicità tanto si tratta, a me pare, quanto di verifica di se stessi: con rifiuto del condizionamento, quanto è possibile, con rottura della convenzione comportamentale. Sì, certo, è stato il movimento del 68, anticonsumista e con proprie esigenze di altri bisogni, valori, consumi, ad agitare tutto ciò. Il principio di felicità (o di piacere in senso freudiano) comporta difficoltà, ma nuove: e dà un 'autentica «differenza» alla donna, con una sua diversa scelta di stile, nell'atteggiamento proprio, nell'esperienza; mentre ciò prima era non giusto, sia seguendo il proposito di emancipazione - proprio delle classi alte o intellettuali - sia rompendo la tradizione ma solo per una parità di nuovi «diritti». Le grandi scelte di linea politica Veniamo ora a discutere di linea. Più brevemente possibile rendiamo chiaro, leggendo e commentando Fortini, le diversità di strategia politica che si sono confrontate e contrastate (talora riunendosi per alleanza e difesa) nel decennio vivo e terribile. Si fa un salto indietro: lo scritto è infatti del 1962; si comincia infatti allora; e al 68 è premessa - o sottostà come fiume inte~no - una lunga preparazione, quale sempre corre nei moti dal 1789 in poi (e anzi è essa, elaborazione continua, che conta, mentre gli eventi esterni, che in parte ne derivano, talora la disperdono). Fortini ci dà una chiave fulminea in una lettera a Raniero Panzieri. Chiede «prove» su una situazione che altri ritiene matura per un processo di mutamento radicalizzato. E sempre sarà così per dieci e più anni: ci sono delle analisi che accelerano (poi fuggendo in avanti) la carica critica di organizzazione e lotta e altre che tengono fermi i principi di analisi. Fortini: «Ma, diciamolo chiaro, la sola garanzia può venire dalla rilevazione di indici non controvertibili, dalla verifica della premessa maggiore: l'esistenza di un dato grado di tensione anticapitalistica e la sua traducibilità in prospettiva politica». E aggiunge infine: «So bene che, in assenza di tali prove, mi precipiterei, egualmente, con affannosa debolezza, verso le vostre 'volontà buone', verso il nostro moralismo, insomma verso la nostra sconfitta». Con ciò, Fortini si riserva: si preferisce poeta che «cappellano», non vuol credersi «nella rivoluzione» quando si è solo «nella storia» ... Ma, soprattutto, solleva una obiezione teorica precisissima, relativa al rapporto fra masse e avanguardie, fra proletariato e gruppuscoli, fra base e organizzazione, che è precisione propria del materialismo teorico (dialettico). E siamo in una fase - dal 1962 in poi - dove tale rapporto è (in Cina) posto come mobile, quale è nella teoria stessa di Lenin, non bloccato dal partito-Stato, né svuotato dalla fede nella spontaneità o dal teoricismo assoluto. Per capire bene questa obiezione, che condividiamo, dinanzi ai più acuti amici del tempo dei «Quaderni rossi», ricostruiamo il grande dibattito, seguendo qui le valutazioni di un altro teorico, Eleonora Fiorani (cfr. J/ respiro de/l'Occidente, in La scienza tra filosofia e storia in Italia nel • Novecento, Roma, Presidenza del Consiglio, 1987). Sul soggettivismo attivistico che è proprio della posizione di Panzieri e di altri teorici operaisti, dice Eleonora Fiorani: «Secondo l'affermazione centrale di Raniero Panzieri, 'i rapporti di produzione sono dentro le forze produttive' e 'queste sono state plasmate dal capitale' [... ] È una presa di A più voci posizione polemica, rispetto a una tradizione che più che ·economicista' mi sembra giusto dire 'produttivistica' del movimento operaio. In tale tradizione si è infatti identificato il socialismo con lo sviluppo delle forze produttive non già nel senso di una prospettiva di eliminazione del lavoro superfluo, con le tappe verso il comunismo, ma nel senso di un'espansione indefinita del macchinismo e dell'etica del lavoro. Rispetto a questo stravolgimento, che si è dato processualmente in modo quasi insensibile o via via necessitato da motivi impellenti di ogni ordine, si è mossa come teoricamente attiva la critica di Panzieri, assai stimolante per una riconsiderazione materialistica reale del processo produttivo e della lotta di classe. Tuttavia da un..punto di vista di rigore teorico il punto citato è paradossale: e nel migliore dei casi si pone come rappresentazione non mediata del/'esperienza operaia, (corsivo nostro). Non mediata vuol dire qui: non complessiva ma sorgente dalla base operaia, autenticata dal quotidiano operaio con la sua verifica e però non misurata con l'analisi di tutti i livelli». E ancora scrive la Fiorani: «La nuova sinistra, particolarmente di matrice operaista, considera allora che la contraddizione classica tra forze produttive e rapporti di produzione è insoddisfacente per l'analisi del capitalismo attuale e in sede disciplinare specifica. (O, più estensivamente, la ritiene sbagliata, quasi solo una metafora, come Colletti dice a proposito delle categorie di struttura e sovrastruttura.) Mi pare di dare così una spiegazione storiografica soddisfacente, benché minima, di questo nodo della esperienza della sinistra italiana» (pp. 614-615). e Poco oltre, in questo scritto magistrale, la Fiorani passa a considerare con ogni limpidità il quesito importantissimo che è l'argomento specifico della sua riflessione: se si dia un «uso capitalistico della scienza» (tesi classica) o un «incorporamento» della scienza nel capitale (tesi operaista nella nuova sinistra, che è di tipo sociologico). E vuole discutere entrambe, e lo stesso rapporto fra ricerca scientifica e tecnologia, in un presente ancora più problematico qual è l'oggi con base spoliticizzata sempre più. Torniamo al vecchio punto. È ben chiaro che se la via rivoluzionaria è in uno sviluppo al cui interno si compatta uno strato operaio di fabbrica, che ha un buon rapporto con intellettuali-politici, si tratta di una via. E se essa è basista ed emergente da ogni strato, con le teste immerse nella prassi operaia, e teoriciste insieme, è un'altra via: che può sognare (come e più della prima). L'accelerazione di processi ben finalizzati, nella moderna entropia, è un sogno infatti! Essenziale è l'obiezione di Fortini, che è pure una scelta dell'interlocutore. Si chiarisce in ciò il punto più difficile e interessante della storia di movimento disperso che ci precede, dopo la storia di partito comunista bloccato (già fra le tesi di Roma del 1923 e quelle di Lione del 1926 con una «sinistra che si fa centro», e che oltre è centrista, tanto più dopo l'esilio e carcere e la grande Resistenza, nel 19451948, quando in Italia sono mischiati e confusi «partito» e «fronte» con influenti cattolici, e lo sviluppo puramente produttivistico diviene vincente). pagina 5 j Certo è venuto innovatore dal 68 il «rifiuto della delega»: il basismo, la verifica dei mandati rappresentativi, i delegati intercambiabili, le assemblee per i comitati dovunque: una ipotesi di democrazia diretta. E dentro essa, tuttavia, i problemi di linea - oggi seppelliti nella nostra tensione inutile di eticità senza più nessuna analisi - sono quelli che abbiamo toccati qui. La posizione di Fortini che è di «marxismo critico» (attento a rendere utili gli apporti anche di teorici di altre correnti, con un filo di continuità anche «bolscevica» e un filo di aggiornamento), registra da una parte la differenziazione dell'operaismo, e dall'altra è critica verso il «revisionismo» presso Togliatti e il centrismo interno del PCI, in termini che poi confluiscono nel «Manifesto», fuori partito, in un'attenzione «maoista» ai problemi dei popoli del terzo mondo e alle loro culture. E a questa posizione sono connessi, e relativamente contrastanti, gli indirizzi maggiori di leninismo (in Italia proveniente da Bordiga) e di operaismo (con matrice presso Cook e Pomnekook, nel movimento operaio olandese, ecc. ecc.), già detti. Per completare l'insieme dei riferimenti intorno a Fortini nel periodo fra 1965 (data di rivolta nel campus di Berkeley) e settanta operavano inoltre in Italia i comitati di base operaia, il situazionismo inventivo, le formazioni di «avanguardia operaia» e quindi di «democrazia proletaria» con vicinanza alla base, studentesca e richiamo al gramsciano autentico e attivo ancora nel PCI del 1945nel nostro passato che è diviso da noi, o come remoto. •

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