Alfabeta - anno X - n. 108 - maggio 1988

pagina 4 A più voci Alfabeta 1081 Taccuini Perunhaiku Poesie premiate dalla giuria del primo Concorso per un haiku in lingua italiana o latina A farsi vento ventaglio ad ala immota il falco ruota e non vediamo come invecchia un sasso da un'estate all'altra. Silent omnia nivea prima luce fruor quiete Sul monte il pesco Se vi penetra il corvo festa di fiori! Nicola Ciola, Napoli Jolanda Quinti, Roma Tiziana Buonfiglio, Roma Luigi Manzi, Roma La vecchia serpe il vino dei tini tinge di luna. L'oscuro talento dei bracchi inventa il salto della lepre nel fuoco dell'autunno Un nido ormai vuoto tra i rami scarni si riempie di neve. In mezzo al grano il berretto più rosso è quello di un ladro. Argo Suglia, Roma Felice Ballero, Genova Alfonso Canteruccio, Roma Luigi Manzi, Roma Nota Quasi tutti gli autori scelti dalla giuria, di cui hanno fatto parte Silvio d'Arco Avalle, Edoardo Sanguineti, Sono Uchida, Carla Vasio, hanno in qualche modo a che fare con la letteratura. E la «spontaneità» del haiku? Non esiste, naturalmente, se la si ponga al di qua dell'elaborazione di scrittura. In Giappone esiste una pratica intellettuale completamente diversa dalla nostra. Quasi tutti sono in grado di scrivere un haiku corretto: in occasione del compleanno dell'Imperatore vengono mandate al palazzo migliaia di poesie composte su un tema prestabilito. D'altra parte l'opera ha una sua vita e presenza indipendente dall'autore: nelle riunioni di poesia si svolge un complesso rituale affinché sia cancellata qualsiasi traccia che porti a una attribuzione; ma già i poeti erranti del XVII e del XVIII secolo abbandonavano lungo la strada foglietti con poesie che altri viandanti avrebbero raccolto. Al Concorso promosso in Italia da alcuni poeti giapponesi lo scorso anno sono arrivati circa 5.000 componimenti poetici, che _Temi. Nel 68 spesso non tenevano neppure conto della matrice stabilita. Un risultato che ha stupito gli stessi promotori. Che sia una risposta al giusto intervento di Maria Corti su Repubblica del 17 dicembre? Perché se ci saranno migliaia di poeti spontanei che vengono allo scoperto, forse si comincerà a distinguere fra lo sfogo del cuore e il mestiere di letterato, mentre i trafficanti in poesia perderanno quegli spazi intermedi ed equivoci nei quali operano. Carla Vasio cuniaforismi A priamo, leggiamo il grande passaggio del cambiamento mancato con la «nuova sinistra» (per correggere profondamente le lacune, gli errori, le stupidità che la ricorrenza ventennale produce). Il periodo è lungo: andiamo dal 1962 alla prima metà buona dei sessanta. Per i gio.vaniche vogliono ricostruire quel tempo - su cui si cerca di confonderli - i libri ci sono; e lo studio occorre perché ci sono tutti i problemi al punto. Gli intellettuali Fra i libri, riviste e giornali dell'epoca, ce ne sono anche miei; io svolgo e commento qui tre aforismi di Fortini in Questioni di frontiera (Einaudi, 1977). Il filosofo o saggista è Franco Fortini; poeta, in altri libri; e qui, autore di prose fra le maggiori del secolo. È un Campanella, un Machiavelli di «!storie» di oggi. Ciò va detto con ogni semplicità. Egli pare solo un moralista, che tocca cioè con etica verbalistica e con sapienza gnomica cose di meditazione comune; talora si può sospettarlo di retorica, perché svolge un 'analisi raziocinante in forme di equilibrio sintattico, e quasi oratorio, comunicazionale e didattico, piuttosto che con ellissi o con propria elaborazione teorica pura. Ma è questo il suo stile aforistico e filosofico. E se Nietzsche non si sente dietro, col suo timbro invasivo e sfalsante, si sente Adorno a tratti, e molte altre frequentazioni e compagnie. Tocchiamo con mano anzitutto, immergendoci nell'epoca poi spezzata (Scritti di politica e letteratura, 1965-1977), la differenza posta tra ruolo e funzione degli intellettuali. Sembra intempestiva e certo è tale, ma torna precisa. Degli intellettuali Fortini segnala come ipotesi e previsione la «dissoluzione in un ceto di attività terziarie», dove essi si esercitano accanto al «verbalismo generalizzato» della mistificazione culturale di massa. Ecco, è già avvenuto, è l'oggi. Era inoltre prevista, l'altro ieri, e sbagliata, degli stessi intellettuali «la scomparsa», come un «dover essere» in una situazione di nuova società. Esplicitamente Fortini dice: «Io che parlo sono un intellettuale di formazione borghese, anzi piccolo-borghese, cresciuto in un tempo e un luogo in cui gli intellettuali come casta avevano ancora la possibilità di far coincidere il proprio ruolo con la propria funzione, in cui cioè la mistificazione da essi subita e quella esercitata, relativamente equilibrandosi, lasciavano spazio per attività gobbe, ma, in quanto gobbe, ben fatte». (Questa citazione mi sembra esemplare del timbro di Fortini.) Egli quindi impreca a quanti parlano sempre di prassi sociale «quasi questa consistesse solo nel distribuire volanti- ... Francesco Leonetti ni davanti alle fabbriche e picchiarsi con i questurini» ... Oh come pare quel periodo di anni un sogno! Siamo nel 1971. Oggi di nuovo vorremmo dire a tutti gli intellettuali seduti: che occorre il volantinaggio ... Oggi ritornerebbe giusto e buono. E quanto allora si è sprecato! E così Fortini replica: «Non si stia lì a colpevolizzarsi in perpetuo con l'immagine della pratica militante». Giunge a contrapporre la funzione al ruolo. Afferma insostituibile la funzione intellettuale di approfondimento specifico e di precisione professionale «nell'atto stesso in cui si nega il ruolo dei portatori specializzati di questa funzione, ossia degli intellettuali». Che il suicidio degli intellettuali ci sia, dice, per entrare come eguali nella base generale degli uomini, un giorno: purché, per ora, nell'attuale situazione di potere venga esaltata la funzione: e nel senso che così si esalti la funzione di precisione e approfondimento in tutti. Perfettissimo; retorico, ma tagliente: avversario del «casino», consapevole delle tappe difficili «verso il comunismo», allora e sempre. E aggiunge che l'intellettuale «non ha da vergognarsi della sua specializzazione e del privilegio esplicito (capacità di fare qualcosa meglio di chi non la sa fare) ma solo dei privilegi impliciti che ne trae o che la società gli conferisce (collocazione dell'individuo in una gerarchia di poteri invece che di una funzione in una gerarchia di valori)». Siamo nel 1971. Fortini contraddice il disordine di superficie, per andare a quello radicalizzato, rovesciante. Non gli va bene la semplice pratica rivoluzionaria ragionata con cui, presto, si riteneva di rendere attivisti i più vari strati sociali e mestieri e servizi. E a questo livello andiamo subito d'accordo con Fortini, anche se a noi, per esempio, una festa piace non formalizzata, e in lui sentiamo qualche pedanteria ... Non c'è pedanteria, c'è rigore. A un altro livello Fortini, qui come in altri luoghi del suo libro dell'epoca, lrn qualche ritegno dubbioso, in termini non espliciti ma netti, verso ogni scelta di chi, intellettuali di estrazione, rapidamente più o meno si renda «quadro politico», dirigente, responsabile di compiti organizzativi con salario operaio, propagandista, attaccante. Chi ha visto in quel tempo la straordinaria, complicata, spumeggiante, incredibile mescolanza e turbolenza di passaggi da compito a compito sa che tutto ciò è un bene, è un portento del «nuovo nella strada», anche se prevalgono i tappi sulla schiuma ... E dunque Fortini non ci convince; ma ascoltiamolo. Egli arriva a parlare di un «conflitto fra intellettuali-politici e politici-intellettuali» che «ha segnato (anche di sangue) gli ultimi secoli». E ci ricorda come è precisamente decisivo nella modernità un confronto oggi dimenticato, quello fra i Lenin e i Maiakowskij, i Bretone i Trotzkij, ecc. Oggi non c'è pm passione per i problemi dei dissidenti che hanno stravinto: e, anzi, vale la pena di rammentare che l'organizzazione comporta sacrifici, e soccombenti, ma senza di essa forse tutto è inutile ... Ci interessano però tutte le contraddizioni «secondarie»: questa che Fortini dice; quella fra gli operai e gli intellettuali, che è autentica così nella storia strana dei partiti comunisti come in quella del sessanta-settanta, decidendo - sotto il più chiaro flusso - le scommesse e le tensioni sull'orlo del «militare» ... E però Fortini ripiglia noi con un vero tuono di parole - insieme oracolari e illuministe, singolarissime sue, aforistiche - e ci travolge verso una verità insieme: «ma non c'è altra via» e «ognuno scelga il suo posto, la realtà farà la sua giustizia, la grotta del monaco non sarà, alla fine, più protetta né più pericolosa di quanto sia la barricata del combattente, non sappiamo quali parole morranno e quali vivranno, non resta che tenersi alla breve zona certa di doveri ancora illuminati». Un dibattito interno acutissimo è svelato qui. Fortini contraddice Sartre (che ha scelto il suicidio e cioè la militanza politica, tout court, il farsi quadro o punta politica, anche nella teoria, che diviene azione teorica politica). Questo dibattito pare austero e scostante: riguarda solo l'atteggiamento nel lavoro intellettuale. Dell'altro, del politico, diremo fra poco. Qui, intanto, ci serve oggi, pur non essendo d'accordo in tutto con Fortini, porre in evidenza quale giusta domanda egli ha portato: non discendere nel magma per ora ... •Inutilmente. I rapporti di amore Ciò si salda subito con una trattazione di problemi di libero amore. Che giunge a quest'altra conclusione stupenda «il desiderio del proprio nell'altrui piacere e dall'altrui promozione nella propria - il cosiddetto amore - passa [... ] attraverso l'aggregazione tendenziale, a una coppia autentica, di sempre più numerosi e diversi esseri, in una condizione di parità, di autonomia e di rischio». Qui non c'è facile libertà sessuale secondo Reich - che urta sia in una esistenza attua- •le di soggetti traumatici sia in un'esigenza più piena o più pura. S'intravvede piuttosto la comune, il gruppo sociale autentico, la nuova società, la comunicazione sincera o «contatto» con contraddizioni nuove, le forme embrionali di collettivismo di base: non per confusione, ma per continua scelta di reciprocità. Quali talora si sono - in anticipo - date nelle situazioni del periodo di «nuova sinistra». (E sono state lette come mode, costumi di liceità, abusi del variabile: invece rompono gli aspetti della «coppia» che sono relativi al codice gene-

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