Alfabeta - anno X - n. 108 - maggio 1988

* Quattroidee diunMondo Fulvio Abbate Qual è il tempo del progetto di una mostra? Ecco il mio rompicapo. Rifletto sulle idee di una mostra che ho in mente, e intanto le strade della chiarezza sono interrotte. Le soluzioni si sono allontanate e mi è impossibile praticare persino la progressione alfabetica degli umori che partecipano a questa scommessa. Le strade, come ho già detto, se ne sono andate. Eppure un'antica attitudine razionale vorrebbe che continuassi a concepire quest'impegno intellettuale come un segmento continuo di pensiero, senza scosse o trasalimenti, senza crepacci e dubbi. Ma adesso ogni buon senso filologico è insufficiente a delimitare il perimetro linguistico e utopico delle opere che mi tengono compagnia. * Parlo di una mostra che possiede in sé una coscienza critica. Una propria gittata progettuale. Penso i dati tecnici e organizzativi che la riguardano e la renderanno reale, ossia visibile. Ogni mostra possiede un corpo concreto: le opere, il catalogo, l'invito ... Quest'ultimo ritaglio di cartoncino ne comunicherà la venuta al mondo. Ma so anche che nella mostra si trovano gli arti immaginari, cioè la traccia, la corsa, i vettori di un pensiero: il precipitato delle idee che ciascun artista desidera mettere in causa. * Ogni mostra, allo stesso modo di un individuo in carne e ossa, può avere un destino, così come corre il rischio di smarrirsi nel silenzio dello spettacolo quotidiano, nella doxa. Ovviamente mi riferisco a un risultato critico che evidenzi il carattere dialettico e l'urgenza storica di ciascuna opera. Penso a una mostra che parli ai «vedenti». Ma chi sono i vedenti? Ecco il primo segnale esterno che si costituisce come elemento diaristico e romanzesco all'interno della crescita del mio progetto. Dei «vedenti» mi ha parlato Alighiero Boetti. «È quella scritta che ho fatto immergendo il dito nel gesso bagnato, I Vedenti. Li guardavo alla Tv in una trasmissione sui ciechi che parlavano dei vedenti. Dopo un po' mi ha stupito il fatto che io ero vedente», racconta il mio amico Alighiero. Ecco, rispetto al progetto di queste quattro idee di Mondo cerco di pormi così, cerco di veder chiaro, ricordandomi che le strade della certezza sono ancora, ai miei occhi, interrotte. * Evidentemente il mio progetto di mostra fa i conti con ciò che ho detto e tracciato nel passato, nel mio passato di critico d'arte. E le mostre degli anni scorsi mi guardano, adesso, con la durezza delle sorelle maggiori, mi minacciano con grandi occhi severi da sculture sumeriche: le stesse sculture, gli stessi occhi che Keaton tenta di lacerare in effigie nel Film scritto per lui da Beckett. .. Toti Garra/fa (Palermo) Mimmo Grillo (Roma) Come Keaton-Beckett cammino rasente al muro per schivare gli occhi che mi osservano, e forse tento soltanto di sottrarmi alle domande ovvie: Dove stai corrt!ndo? Dove corre il mondo? In realtà la macchina critica di cui mi sono servito in passato è la stessa che oggi mi conduce sui crepacci di nuove idee. Nel romanzo delle mie mostre già realizzate, fra l'altro, trovo il blu di Yves Klein: deci,i di esporlo a «La Salita», a Roma, nell'aprile («aprile dolce dormire») del 1985, assienlL' ;1idipinti del mio amico Ettorino Sordini e di Mariano Rossano. Antonio Capaccio, Rocco Salvia. Trovo anche un taccuino di chine inedite di Piero Ma 11Lonid, isegni eseguiti in fretta nel 1960: linee e ultracorpi di parenti, acromi graffiati e titoli come Piero è scoppiato! Insomma parlo di un tracciato chiaro dell'avventura artistica del contemporaneo, un discorso che si è sviluppato scegliendo il problema in luogo dello stile, la riflessione e la corsa. Il titolo di questa mostra è in sé autosufficiente: Quattro idee di Mondo. È un titolo algebrico, desiderante, frammentario e decisamente irrisolvibile se non utopicamente. È infine politico. Sceglie il frammento di un dicorso sui modi e i sentimenti del vedere e fare la storia, allo stesso modo di questo scritto nel quale il pensiero si deposita in forma di schegge incomplete. Mi dico: è naturale, il pensiero che cerca se stesso non può essere chiaro, e anche il suo corpo è parziale. Non so dire neppure quando il romanzo e l'idea di questa mostra hanno avuto inizio. Ricordo soltanto l'umore e il sentimento che storicamente hanno cominciato a suggerirne la necessità. * Quattro idee di un Mondo si compone attraverso i lavori di Toti Garraffa, Mimmo Grillo, Premiata Ditta, Bettina Werner. È una scelta di disparità progettuale. Le opere si differenziano per indole e bersaglio, per colore e suono. Qui il romanzo della critica incontra nuovi fatti, nuove telefonate, nuove trattative con gli artisti, i galleristi, gli amici poeti milanesi, e romani, e infine i giorni che si affrettano a smentire le chiarezze minute raggiunte in precedenza. Sono ancora certo che il nodo centrale della mostra è la questione del Moderno? O piuttosto le quattro idee si dirigono verso l'esclusiva chiarezza del presente? E domani saranno - come lo sono già - altrove? Sul problema del Moderno ricordo di aver pensato a lungo durante un viaggio di lavoro a Genova. Passeggiavo con Mariano, Antonio e Rocco nei viali del cimitero di Staglieno; e prendevo intanto appunti mentalmente, in seguito ho scritto: «La pittura deve assumere oggi il ruolo del discorso complesso, deve anche dimenticare se stessa per divenire la punta più avanzata del fare visivo». Pensavo ancora una volta a qualcosa che dialetticamente rispondesse al mediocre valore di molte esperienze pittoriche odierne. Toti Garraffa è un artista palermitano quarantenne. Tetralogia della rivoluzione è il titolo complessivo del suo ciclo di opere in questione nella mostra. La tecnica non è strettamente pittorica, se pure alcuni lavori sono stati concepiti per la bidimensionalità. Garraffa predilige, schwittersianamente, una strumentazione formale e costruttiva dei materiali più svariati. Il risultato è comunque prossimo al concetto di installazione. I «capitoli» dell'intero ciclo sono così scanditi: Costruzione, Diversità, Todos corno un hombre solo, Lenin e Trotskij, Amedeo Bordiga. Garraffa, per telefono, mi ricorda che solo in parte l'omaggio a Bordiga è compreso nell'opera, e aggiunge: «Tutti noi sappiamo che Bordiga non ha fatto la rivoluzione». Così Garraffa colloquia con i referenti poetici e storici che costituiscono il tracciato linguistico del suo modo di concepire l'espressione artistica.

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