pagina 32 scrittura dello straniero, il francese, i segni dell'alienazione e del futuro divorzio di generazioni di scrittori/scriventi con la loro cultura originaria e col loro popolo. In un interessante tentativo di elaborare una nuova scrittura poetica che possa rendere conto di una esperienza drammatica e insieme esaltante, combinando tradizione e modernità, passato e futuro, fedeltà e impegno, quasi tutti i marocchini, ma anche algerini come Mahamed Dib, Kateb Yacine, Assia Djebar, Malek Alloula, Nabile Farès ... e tra i tunisini, purtroppo, soltanto Adelwahab Mebbed, in quanto poeti maghrebini, stanno innescando tutto un discorso - un testo che viaggia - per recuperare un senso, il senso di ciò che Khatibi ha definito «pensare ad altro», nel quale il pensiero del «noi» è una concatenazione storica che tesse ed è tessuta dall'uomo. «Nulla ci viene dato come una grazia, neppure la nostra Saggi tradizione» dice Khatibi. Inizia allora il viaggio anche attraverso le città (Meddeb; Tahar Ben Jelloun) dove bisogna «leggere, decifrare, ascoltare ... » il rumore, il canto, indovinarne «il labirinto o la scrittura delle onde ... decifrare la scrittura delle migrazioni prime. Ritorno all'originalità alA/al per mezzo dell'identità plurima che si desta. Bisogna percorrere lo spazio e il tempo per strappare al linguaggio 'alcune perifrasi'». Le letterature maghrebine, in conclusione, non sono che una riscrittura di spazi geografici e storici che colma, mediante una lettura del già vissuto, del già conosciuto, una «identità-differenza», manifestarla e non soltanto dirla: ecco in un certo senso quanto rivendica il poeta maghrebino. Tanto più lo scarto rispetto allo straniero costituisce una differenza, suppone l'ambiguità cosciente e assunta dalla scrittura, tanto più i testi, garantiti da una lucidità inaudita, Alfabeta 108 manifestano il luogo di enunciazione del loro dire e la stesura di una storia plurima. Lo spazio maghrebino è anzitutto lo spazio d'origine, quale che sia il luogo in cui oggi vivono questi poeti, e il testo non è altro che ciò che si pone in un reale grezzo rispetto a una norma di rappresentazione che fa esplodere il discorso sociale in tutti i suoi valori culturali e tradizionali: questo testo scrive il popolo, il gruppo, l'identità e, ascoltando la terra e il tempo, «la poesia», che, scrive Tahar Ben Jelloun «è la mano del sole e del cielo delle patrie gravide. Il mare parla e l'onda si rovescia nella mano del bambino che strappa il velo [... ]. La poesia chiama la stella e l'urgenza del futuro». Traduzione di Enrico Lotti tervistaaBen J elloun ' E uscito di recente, pubblicato da Einaudi, Creature di sabbia primo romanzo tradotto in Italia di Tahar Ben Jelloun: scrittore marocchino, di lingua francese, premiato con uno dei più importanti riconoscimenti internazionali, il Goncourt, per il suo ultimo libro, La nuit sacrée. Einaudi se ne è già accaparrati i diritti, e ora accoglie l'autore nella sua Torino, lo offre alla critica e al pubblico. Scampati ai microfoni, avidi, e ai flash dei fotografi, ci si ritrova tra amici, la sera, in una casa ai piedi della collina, più attenti al barolo d'annata e a scoprire i legami sottili che uniscono la gastronomia del Maghreb, di Piemonte e di Francia. Si fatica a ricordare lo scrittore di successo, lo studioso di sociologia; si scruta invano lo sguardo vivissimo, limpido, per scorgervi un'ombra dell' Enfant de Sable. Un romanzo strano, una casa a più entrate e insieme un «deserto»: il «libro segreto» di Ahmed-Zahra, nato donna in una società arcaica e violenta, allevato come uomo dal padre, per sfuggire alla maledizione e vergogna che lo condannavano a una progenie di femmine. Nel personaggio lacerato da un'identità doppia, ignoto a se stesso, si adombra forse la personalità déchrirée di Jelloun uomo e scrittore, così intimamente africano e a un tempo francese. «Invece è una storia inventata, inverosimile, non un'autobiografia», precisa l'autore sottraendosi malvolentieri, ma amabilmente, al convivio. «È una sorta di parabola, densa di simboli e suggestioni fantastiche; al massimo rivela un'identità culturale, non certo sessuale. La mia vita non c'entra: la Francia è stata una fatalità, più che una fuga, una missione, una scelta: retaggio di un bilinguismo scolastico in cui il francese era predominante, forse destino per chi, come me, è nato in un paese che ha visto per oltre cinquant'anni una presenza straniera». Monica Mondo: Non si sente straziato, diviso, infelice di essere arabo e scrivere in francese? . Ben Jelloun: I contrasti personali sono ad altro livello, semmai, uguali per tutti, e riguardano le necessarie ambiguità sociali, culturali, metafisiche. Come rispondere veramente al - Chi sono? - Da studente era per me una domanda pressante: e amavo Spinoza, che invitava ogni essere a perseverare nel proprio essere, e Nietzsche, per la rivolta nel suo essere e del suo essere uomo, al di là delle situazioni particolari. Mondo: Il suo scrivere è allora slegato dai vincoli della realtà, del contingente? Vi si trovano il romanziere e il sociologo, e le sue pagine osano la denuncia, l'indagine su un mondo e le sve urgenze, contraddizioA cura di Monica Mondo ni. È più importante quest'aspetto di testimonianza o la finzione, in letteratura? Jelloun: La testimonianza è utile, buona per fare della storia. della sociologia; ho scritto saggi sul razzismo. sull'immigrazione, sulla condizione femminile, ma nei romanzi mi interessa inventare delle storie, creare personaggi, vivere con loro, una seconda vita che traspare dalla pagina scritta. Romanzo è immaginario, fantasia, sogno, benché l'invenzione non discenda dal cielo, l'immaginazione sia terrena, radicata nella realtà e nel suo quotidiano. Mondo: È stato citato Borges come ispiratore, modello per i temi e i modi di un narratore «fantastico». Proprio Borges traspare come personaggio nelle ultime pagine di Creature di sabbia. Jelloun: Ho resistito a lungo, prima di leggerlo: poi è stata una resa, la comprensione di molte cose, l'apertura di una strada, di possibilità. È più forte la presenza di Borges che non delle storie ascoltate nella mia infanzia, conservate nella memoria· della tradizione. Sono radici che riconosco, che vedo nella vita di tutti i giorni, della gente, ma non ne sono un attore, non le ho respirate o subite. La mia educazione è stata li POIICI VOUPSARlE tous /es oirs d 20A. Tutte le sere alle 8 la polizia è in onda semplice, assolutamente non intellettuale: ma la tradizione orale non è la mia infanzia. Mi hanno raccontato poche favole, da piccolo; era io cantastorie a me stesso, bambino solo, malato, inventore di personaggi e di trame ritagliate nel cielo, spiando le nuvole e le loro forme. Questa è la mia tradizione. Mondo: E un confronto, un'affinità con gli scrittori del Maghreb? Jelloun: Sono molti, e migliori di me; li ammiro, ma non li considero modelli, maestri. Uno scrittore è qualcuno che legge gli altri perché bisogna, per se stessi, per interesse, ma non ho questa attitudine a essere imbeccato, riverente davanti ad altri. Mondo: Che cosa preserva della civiltà araba, della sua cultura? Jelloun: La gente. I paesaggi. I paesaggi umani. Il popolo di questa terra è favoloso, e io non faccio che osservare, ascoltare il Marocco e i marocchini. Passeggio per le strade, e ho imparato a guardare, a vivere con la gente, con le sue storie. Non sono storie intellettuali, non hanno riferimenti nella Storia o nei libri, ma nei vicoli, nelle medino in cui ho giocato da piccolo. Mondo: Una realtà da voler «attraversare con un'orda di parole. E le parole sono pericolose». È la frase che introduce la Nota del curatore di Creature di sabbia. Quale il rischio, la sfida? Jelloun: Sì, le parole sono capaci di tradire sentimenti e pensieri, sono più forti delle , azioni; se utilizzate senza riflettere possono snaturare ogni messaggio. Ogni parola è carica di una propria storia, densa di simboli. Io cerco di utilizzare questa pregnanza, che dice, significa qualcosa. Mondo: Il linguaggio viene scardinato, «trattato» in tutte le sue potenzialità, anche non abituali; il traduttore italiano, Egi Volterrani, conferma la difficoltà estrema.. di rendere l'ambiguità di ogni significato, lo sforzo di ricostruire la frase in successione, parola per parola, senza snaturarne il senso, frenando e indirizzando la loro «orda». Ben Jelloun ha alle spalle una decina di romanzi, ma ancor prima dei versi, e si nota. Jelloun: La poesia è la via per cui ho cominciato a scrivere, e la poesia è lavorare sul posto delle parole in una frase. Non sono un'esteta della parola, non le uso perché sono graziose; non mi preme tanto il loro suono, la musica, quanto il senso preciso: ogni parola deve essere lì e non altrove. Il giorno in cui si sa dove mettere le parole è il giorno in cui si è capaci veramente di scrivere. Mondo: E si può raccoglierne la sfida, «ben consapevoli dei rischi», praticarne l'affascinante e perdonabilissima «arroganza».
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