Alfabeta - anno X - n. 108 - maggio 1988

Alfabeto 108 a mantenere l'indecidibilità tra natura e artificio, tra locale e globale, tra arti o singolarità e scienze o universalità. Per questo motivo invita a non ridurre il possibile a pura creazione del soggetto, a non dissolvere le cose nel linguaggio, il fare nel dire. Per evitare il ritorno mascherato dell'idealismo e della metafisica del soggetto è necessaria una dislocazione. Dislocazione del logos, abbandono del linguaggio come modalità unica del pensare. Derrida percorre da tempo questa strada con una frantumata iniziativa di spaziatura all'interno del testo del logos, dietro il quale non si riconosce alcun senso. Serres ci esorta, in aggiunta, a ritornare verso la materialità indefinibile, la complessità irriducibile della nostra massa aperta - nei sensi e nell'eros - ma non direzionata. A tal fine, la philosophie des corps mélés ha richiesto un'operazione continua di slittamento, della quale lo stesso Serres è consapevole. E nella mimesi della scrittura balzachiana, che mima a sua volta la storia di Sarrasine e di Zambinella,' si concretizza la figura dell'ermafrodito: Hermes e Afrodite si ritrovano nella pienezza dell'inclusione, in quell'evento di simmetria non simmetrica chiamato enantiomorfismo. Escludere le esclusioni, rendere compatibili tutte le perfezioni, nel surplus dell'invenzione, è insieme un'esigenza etica (l'inclusione esclude il dominio), un'opzione estetica (l'arte trasuda nella sovrabbondanza), una certezza gnoseologica (fornita dalla miscela nuova delle «scienze del complesso»). Una filosofia ancora sconosciuta, che annodi le confluenze multiple tra scienze, religioni, arti, letterature, potrebbe annunciare la fecondità dell'irenismo. I nostri corpi, iscritti nell'alterità di Hermes e Afrodite, nel mito archetipico dell'androgino primigenio, rinviano tuttavia alla neutralità della morte, legame comune a tutte le arti, suprema castrazione. E dalla morte, miscela indefinita e originaria, si separano. Questa evidenza antropologica sulla genesi di ogni valore dalla morte, che Serres ricava da Balzac (e che permea il successivo Statues), pone indiscutibilmente la morte all'origine della nostra umanità. Ogni opera singolare o collettiva, ogni corpo vivente è epifania, resurrezione tanto rara quanto meravigliosa. La morte nucleare collettiva, che ci attanaglia in una morsa senza speranza, può tramutarsi allora in una resurrezione senza precedenti, o in una catastrofe. La morte si spande, fluttuante, ineffabile: dinanzi alla fuga dell'armonia musicale, presente in tutte le opere, in tutti gli esseri, compare il gelo della scultura, del corpo che si fa pietra. Queste due arti fondamentali - musica e scultura - sono dominate e prodotte comunque e dovunque dalla morte. Lo slittamento profondo che, in questa nuova filosofia, ha condotto Serres da Hermes a Ermafrodito, tramite Hestia, è ora motivato ancor più nettamente dalla negazione Note (1) Questo scritto è permeato di riferimenti impliciti e diffusi alla produzione serresiana, e in particolare alle due opere più recenti: L'Hermaphrodite. Sarrasine sculpteur, Paris, Flammarion, 1987e Statues, Le second livre des fondations, Paris, Ed. F. Bourin, 1987. Per evitare appesantimenti mi sono tuttavia astenuto dai rinviipuntuali e dalle citazioni; non intendevo peraltro svolgere in questa sede una disamina critica dei testi. (2) Indico questa data in quanto segna la conclusione del ciclo dei cinque volumidi Hermès. A partire dal 1982mi sembra di ravvisare l'iniziodi una seconda fase nella riflessioneserresiana, marcata dai cinque «libri fondativi»: Genèse, Paris, Grasset, I 982 (di prossima pubblicazione presso il melangolo di Genova); Rome. Le livre des fondations, Paris, Grasset, 1983; Les Cinq Sens, Paris, Grasset, 1985; L'Hermaphrodite, cit. e Statues, cit. Un volumetto più marcatamente autobiografico, che andrebbe letto con più attenzione, ma che esula dal percorso «fondativo», è Détachement. Apologue, Paris, Flammarion, 1983. Il presente riferimento bibliograficoconcerne soltanto le opere in volume. (3) Mi sento in dovere di richiamare gli interventi con i quali mi misuro, tutti presentati nei fascicolidi «Alfabeta» n. 100(settembre 187),n. 101(ottobre 1987),n. 102(novembre 1987),n. 103(dicembre 1987): Jabès, assenza di Dio, a cura di A. Folin; C. Formenti, Saggi della facile utopia della traduzione, dal definitivo distacco dall'ipotesi (ancora criticista) di un primato dell'orizzonte della comunicazione. È sempre più evidente che i nostri giudizi sono orientati da pre-giudizi, dalla collocazione casuale dei nostri corpi tra le fluttuazioni del mondo. Di questi corpi fissati nel silenzio della «cosa» scrive ancora Serres in Statues, additando - a mio avviso - una voragine di presenza che sfugge a ogni significazione. Il logos, ma anche il mito o la metafora, sono ancora troppo intrisi di metafisica, non colgono la pesantezza della massa: mythos e logos - non dimentichiamolo - sono talmente affini da rinviare - nella lingua della nostra cultura occidentale, nella lingua greca - alla stessa etimologia. Il peso del~ cose e il corpo degli eventi sfuggono a Sisifo e a Prometeo, ma anche a Platone (chora) e ad Aristotele (materia prima). E gli stessi sensi, così riccamente ostentati ne Les cinq sens, non fondano nessun empirismo. Il senso dei sensi e il senso dell'eros occultano sì la dinamica costitutiva della morte, ma non implicano alcuna fondazione, né empiristica né psicoanalitica. Sensi ed eros sono certo principi vitali, ma - sparsi nelle più riposte contingenze - non consentono alcuna definizione, dell'oggetto o del soggetto: sono necessità locali senza rilevanza globale. La «cosa», la statua, la massa, il cadavere, la mummia non accolgono nessuna logica del concetto, non rispondono a nessuna strategia di simulazione. Fatto e vissuto si miscelano casualmente, ma senza cesure. nel magma delle circostanze, al di fuori dei giudizi e della razionalità precostituita. Nella discesa agli Inferi Serres ritrova quel silenzio sommo che non concede più spazi alla menzogna. Niente di più lontano quindi dalla valorizzazione costruttivista, dall'esaltazione della simulazione creativa o della menzogna artificiale. Non è illusorio sostenere che la pagina scritta sia una «cosa» che resiste ostinata all'invasione soffice dell'elettronico. Non è illusorio rinviare alla «cosa» come al quid irrapresentabile, consistente ma non oggettuale (e tanto meno oggettivo), disseminato nel caos, nel baratro puro. Qualcosa che permane - forse ancora per poco - in un mondo che sa mutare le masse in segni. Se la «cosa» è anche sim-bolo, essa non partecipa tuttavia dell'ultima trasformazione, non supera la soglia che ne farebbe un segno senza referenza dell'universo semiotico, mantiene ancora la sua atopicità androgina, nella quale la realtà si fa miracolo di bellezza (come nel quadro de La belle noiseuse). 5 D i null'altro si parla in Statues, con quella ridondanza che non va quindi scambiata per prolissità, ma che va intesa insieme come una convinta negazione del valore ermeneutico e riproduttivo del linguaggio e la disperata e impossibile ricerca di una compiuta aderenza alla «co a» stessa. E la filosofia dei corpi mélés, qui ripropoCustodire il caso (fascicolon. 100,pp. 24-25e 30-31);C. Formenti, Politeismo e disincanto (fascicolon. 101,pp. 6-7); P.A. Rovatti, La ragione e il pudore; M. Perniola, Il forte sentire di Carlo Michelstaedter; C. Formenti, Il libro e fa macchina; P. Ricoeur, Che cos'è un testo?; M. Ferraris, Scrittura secondo l'ermeneutica (fascicolo n. 102,pp. 5, 24-25, 1-11,X-XI e ~I-XII); G. Franck, L'atopia di Reffa (fascicolo n. 103, pp. 12-13).E mia intenzione far trasparire in tal modo lo spirito di un confronto che anima le pagine di questa rivista, pur nella consapevolezzache le tesi qui discussesono state esposte con ben altro spessore in numerose pubblicazioni. La breve citazione da Michelstaedter è tratta dall'intervento di Perniola. (4) L'Hermaphrodite riscrive la novella di Balzac Sarrasine (1830) ed esige quindi una lettura preliminare della novella stessa, secondo una procedura messa in atto anche da Barthes (cfr. S/Z, Paris, Seuil, 1970,tr. it. di L. Lonzi, Torino, Einaudi 1973).La specularità tra S (Sarrasine) e Z (Zambinella) è motivo introdotto in chiave semiologicada Barthes e ripreso da Serres. Si tratta di una specularità che rimanda al gioco di alternanze narrative presente nella novella imperniato sulla vicenda dello scultore Sarrasine che pietrifica in una statua la bellezza femminiledell'«evirato cantore» Zambinella, ma che viene ucciso dopo la terribile scoperta. Non è in alcun modo possibile sintetizzare la complessitàdi segmenti narrativi intessuta nella novella, e tanto meno si può riassumere la riLa Francia val bene un weekend, votate Pompidou pagina 29 sta come forma del mélange tra scienze esatte e umane, non tende soltanto all'asserzione di una «nuova alleanza», ma implica soprattutto la riconciliazione tra sapere razionale ed etica. Un legame, una re-ligio, un luogo intermedio di nozioni miste e pacificate, popolato non da individui o individualismi, ma esclusivamente dal «noi», silenzioso, senza nome, a un tempo soggetto e oggetto. Da ciò consegue l'interesse per la miscela morte-vita, preliminare rispetto ad ogni filosofia del soggetto o della conoscenza. Hermes trova infine Hestia, l'erranza si trasforma in immobilità: emerge l'ermafrodito, mostro universale dell'Eros, termine delle erranze e fondamento del sapere. Sulla miscela originaria si esercita una modalità del pensare che precede il linguaggio: la scultura e la musica (la moglie di Lot e Orfeo, il duro e il dolce) rinviano direttamente al nesso cruciale tra locale e globale, motore segreto della nostra scepsi, come fossero pensieri allo stato nascente - fluttuanti negli interstizi, tanto cari a Valéry, tra sonno e veglia. Se il passaggio dal locale al globale è riconoscibile, con Serres, nel movimento retrogrado che restituisce - nella meravigliosa densità delle arti - la presunta globalità delle scienze alla loro origine locale e contingente, alla loro antropologia parziale, ciò avviene perché scultura e musica non manipolano linguaggi, non sono pure performances, ma cozzano con le «cose», da esse provengono e verso di esse si dirigono. Allo stesso modo in cui dal caos originario scaturisce quel fascio di virtualità che orienta l'ordine della vita stessa, svolgentesi a partire dai primi scarti e attraverso sempre più rigide selezioni, verso la necessità puntuale dello stesso caos originario (ora chiamato morte). Nulla può ostacolare o rallentare il senso di questi piccoli flussi che divengono corpi, soltanto la rarità densa delle arti, il perfetto rigore delle scienze, e quella relazione universale che - unica - concerne negli uomini sia il locale che il globale, da noi chiamata eros. Qual è, in definitiva, il luogo della filosofia? La filosofia non ha luogo: è scienza, è arte, eros, re-ligio, sfugge al discorso e si trasforma sempre più insistentemente in iniziativa di vita, con la quale tentiamo di sollevare il macigno della nostra irriducibile cosalità, più vicini ai balbettii incostanti di Sisifo che non alla cocciuta previdenza di Prometeo. Non cerchiamo la filosofia negli scritti, nei luoghi a essa deputati; cerchiamola, forse, nel capolavoro, nella sua eccedenza rispetto a ogni possibile riconoscimento. Cerchiamola varcando la porta degli Inferi, colmando il ciclo del tempo, della storia, delle scienze, inabissandoci in quella Sicilia che - a detta di Serres - vede, da Empodocle a Majorana, vita e sapere mescolarsi lealmente. Forse, la filosofia rimarrà senza più parole, ma si leggerà ugualmente, si coglierà nelle vite eccedenti, nei capolavori viventi, in pochi corpi indecifrabili. E la materialità sarà, infine, risorta. Forse, più probabilmente, essa non avrà più luogo. scrittura serresiana. Invito tuttavia il lettore interessato a soffermarsi sulla vertigine abissale messa in mostra nell'inquietante Chronologie proposta da Serres. Non mi sembra il luogo adatto per produrre anche soltanto una bibliografia ragionata degli scritti di Derrida. Possono fungere da ottima introduzione i fascicolidi «Nuova Corrente» Jacques Derrida o la lezione di calcolo, a cura di S. Agosti, XXVIII (1981), n. 84, e Decostruzione tra filosofia e letteratura, a cura di M. Ferraris e S. Rosso, XXXI (1984), n. 93-94. (5) Genèse, assumendo a pre-testo un'altra affascinante novella balzachiana (Le chef-d'oeuvre inconnu, del 1832,tr. it. di C. Montella e L. Merlini, Firenze, Passigli, 1983),esalta lo strano quadro del diabolico maestro Frenhofer intitolato La belle noiseuse, che presenta la punta di un piede nudo che emerge da un caos di colori. Anche in questo caso ogni riassunto della novella sarebbe vano. Mi sia concessosuggellarequesta filosofiaandrogina del mélange con una citazioneparmenidea: «Quando l'uomo e la donna mischiano insieme i semi di Venere, / la forza che si forma nelle vene da sangue diverso/ plasma, se ben si equilibra nella fusione, corpi ben costruiti. / Ché se mischiatosiil seme le forze fannocontrasto/ e non arrivano a fondersi nel corpomescolato, crudelmente/ tormenteranno ilsessodel nato col dupliceseme».Cfr. / Presocratici, introduzione, trad. e note di A. Pasquinelli, Torino, Einaudi, 19802,p. 240.

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