pagina 16 Analizzando / tre linguaggi dei Grimm, fiaba altresì di attendibile derivazione orientale - in cui ritroviamo le due colombe bianche di Cenerentola - egli suggerisce che «gli uccelli simboleggiano le aspirazioni superiori dell'Io e l'ideale dell'Io». Essi darebbero voce o aspetto a una proiezione trascendentale, piuttosto che a una tradizione immanentistica; si pensi alla colomba biblica o all'iconografia cristiana dello Spirito e dell'anima. Da manifestazione del sé, la verità (quella di sant' Agostino o del poeta mistico persiano al-Hallaj, per intendersi) torna a essere una costruzione del «suI pacchetti di Alfabeta per-io», magari a propria immagine e somiglianza, nel suo sforzo di sublimazione e dominio sull'Es inconscio. La misura del dissidio con la concezione junghiana trapela da questa divergenza. Effettivamente il «sé» di Jung, che si realizza personalmente e storicamente, viene a porsi a metà strada fra l'Es regressivo freudiano e l'atman indeterminato della speculazione indiana, ovvero della tramissione favolistica orientale, sia pure volgarizzata e occidentalizzata. Da quest'ultimo, con una punta di nostalgia, prende a sua volta le distanze la von Franz: «L'accento non è più messo sulla realizzazione spirituale, misticamente tesa verso l'Assoluto, ma sulla realizzazione umana. [... ] Ciò fa del rapporto con l'inconscio un evento umano sempre vivo e privo di quella unilateralità tipica dell'esperienza spirituale estatica». Usando gli stessi termini della questione, si può replicare che certe fiabe appaiono forma e veicolo in cui - attraverso la «saggezza orientale» - si camuffa e resiste una religosità immanentistica naturale, oppressa da un monoteismo trascendente eccessivo, dicotomico e conflittuale: perfino quando esso indossa uniAlfabeta 108 lateralmente - come da noi - vesti laiche. Un confronto con la visione occidentale moderna può allora contribuire a un ripensamento del mondo senza soluzione di continuità fra inconscio personale e naturale, riducendo le occasioni di fratture traumatiche con la coscienza della realtà. Note ( 1) Cfr. li verbo degli Uccelli, a cura di Carlo Saccone, Milano, SE, 1986. (2) Firenze-Milano, Sansoni-Accademia, 1968. Le citazioni da Kashefi e Sa' di sono riprese dallo stesso basilare testo. Filosoficattolici Dario Antiseri Gloria o miseria della metafisica cattolica italiana? Roma, Armando editore, 1987 pp. 198, lire 18.000 Perché la metafisica è necessaria per la scienza e dannosa per la fede Brescia, Queriniana, 1980 pp. 168, lire 12.000 Verso una teoria non-giustificazionistica della ragione in Metamorfosi. Dalla verità al senso della verità Roma-Bari, Laterza, 1986 pp. 111-133 AA.VV. Il pensiero debole Milano, Feltrinelli, 1983 pp. 262, lire 18.000 Umberto Eco L'irrazionale ieri e oggi «Alfabeta», n. 101, 1987 N onostante il dibattito filosofico recente e meno recente abbia messo in chiara luce come la ragione non possa esibire alcun posto archimedeo o, diversamente, che non si dà alcun fondamento ultimo, ci sono in giro ancora molti «filosofi» che si immaginano di essere degli dei in terra, capaci di generare cose «divine» quali le metafisiche assolute, valide per l'eternità, inconfutabili- sono, in.particolare, i cosiddetti «metafisici classici», gli esponenti della metafisica cattolica italiana. Dario Antiseri, nauseato (a quanto pare) della loro protervia e arroganza, finalmente rompe con gli indugi e con un piglio più marxiano che popperiano - il titolo è allusivo e volutamente retorico - denuncia con rigore e passione civile tutta la miseria di questi pensatori. Dal mq_mentoche a questioni, domande e argomentazioni già presentate e sviluppate in Perché la metafisica è necessaria per la scienza e dannosa per lafede, i metafisici cattolici (tra· questi anche suoi illustri colleghi) hanno fatto orecchie da mercanti e hanno risposto più con «esclamazioni» che con «vere e proprie critiche», e, spesso, senza nemmeno «distinguere tra critica e censura» (p. 178), egli - pur se consapevole che «chi si sente addosso il complesso del duce - dai Tomisti agli Hegeliani e ai Neomarxisti - respingerà la posizione di Kant e parlerà, in contesti diversi, di 'veleno kantiano', così come respingerà la posizione analitica a favore di quei sofismi delle proprie passioni che sono le metafisiche con pretese assolutistiche» (p. 102) - riprende e rilancia le sue critiche ad personam: Gustavo Bontadini, Marino Gentile e i loro discepoli e seguaci (Evandro Agazzi, Enrico Berti e altri). Facendo propria la lezione di Pascal, Kant e Kierkegaard (i quali hanno osato credere non solo non avendo costruito una metafisica cognitiva, ma addirittura negandola o magari disprezzandola) e, insieme, di Wittgenstein, Popper e di W. Bartley (i quali hanno insegnato quanto illusoria sia la ricerca di un fondamento indistruttibile nella scienza, nell'etica, nella politica, nella metafisica e nella religione) e convinto che la fede non dipende e non si fonda né sul1 'astronomia tolemaica né su quella copernicana, né sulla biologia di Lamarck né su quella di Darwin, né sulla filosofia di Aristotele né su quella di San Tommaso e, innanzitutto, che «una fede si testimonia, non si impone né si dimostra» (pp. 102-3), sferra il suo attacco contro la «grande presunzione di fondo» che anima i cosiddetti «metafisici classici»: sul piano teoretico, di essere i salvatori del Salvatore - «che la fede cristiana sia qualcosa che proprio non si regga senza le loro brevi ma inconfutabili dimostrazioni di metafisica cognitiva», «che è la ragione a salvare la fede, a renderla plausibile, accettabile», e, che l'esistenza di Dio è dimostrabile razionalmente; e sul piano culturale, di avere in Italia il monopolio della filosofia cattolica (p. 9). • A «spazzar via» (p. 9) la loro arroganza e la loro illusione di monopolio sulla filosofia cattolica italiana, Antiseri anzitutto ricorda la posizione e l'opera di Enrico Castelli (pp. 154-5) e, al contempo, «gli importanti contributi di Del Noce sul problema dell'ateismo» (p. 9) e, poi, presenta in «dialettica» contrapposizione (pp. 47-88) le riflessioni che, sul rapporto ragione-fede, sono state proposte da filosofi cattolici estranei alla «metafisica classica», come Vittorio Mathieu, Gianfranco Morra, Armando Rigabello, Pietro Prini, Luigi Pareyson e Massimo Baldini, o da scienziati cattolici, come il matematico Ennio De Giorgi e i fisici Giovanni M. Prosperi e Nicolò Dallaporta; o, ancora, da teologi come don Luigi Giussani. Ciò che egli si propone di fare, però, non è tanto ribadire o spostare i confini di una vecchia polemica, quanto piutt06-to impostare lo status di una controversia ben diversa, più seria, feconda. Per Antiseri, infatti, «il contrasto essenziale e decisivo non sta - come si attardano ancora a credere, per esempio, Evandro Agazzi o Luigi Lombardi Vallauri - nella lotta tra razionalismo ( concepito come fede nella forza della ragione) e fideismo (inteso come sfiducia nella ragione e abbandono alla cieca volontà)», ma tra falso razionalismo e vero razionalismo o, più chiaramente e senza equivoci, tra una prospettiva giustificazionistica e una prospettiva non-giustificazinnistica della ragione (p. 12). «L'immagine giustificazionistica o fondamentalistica della ragione (o razionalità), scrive Antiseri, può venir espressa - pur sommariamente e supersemplificando la storia delle idee - affermando che: si è razionali nella scienza quando si è in grado di dimostrare la verità di una teoria (o, comunque, la maggior probabilità di una legge universale); si è razionali nell'etica allorché si è capaci di fondare razionalmente - e in maniera valida per tutti - valori presunti universali ed assoluti; si è razionali in metafisica solo se si riesce ad argomentare a favore e a fondare teorie vere, incontrovertibilmente vere (sull'uomo, sullo sviluppo della storia, l'esistenza o meno di Dio, ecc.); si è razionali in politica quando si è in grado di giustificare razionalmente la validità delle concezioni proposte, per esempio, di chi è al potere o di chi questo potere dovrebbe assumere; si è razionali in materia religiosa quando qualcuno è, per esempio, in grado di fondare razionalmente la plausibilità di una fede. Questo, dunque, è il nocciolo teorico dell'immagine giustificazionistica della ragione o, se si vuole, del pensiero forte: la razionalità si identifica con il reperimento di un fundamentum inconcussum per quel che si afferma nella scienza o nella metafisica o di quanto si propone nell'etica o nella politica» (pp. 141-2). E, chiaramente, non è altro che l'immagine che la tradizione occidentale (nella sua versione dominante, quella platonico-cristiana) ha avuto della ragione umana o della razionalità: quella di una ragione fondante. ~ immagine non-giustificazionistica della ragione, invece, è quella che si è andata delineando sempre più e meglio - attraverso un duro lavoro di critica delle pretese della ragione pura/fondante - come quella ragione che è divenuta finalmente consapevole dei suoi limiti e sa che non può fondare nulla, ma che può criticare tutto: è, detto brevemente, la ragione di Kant, o meglio e più precisamente, di Nietzsche, prima di essere - come vuole Antiseri - di Popper e di W. Bartley, in particolare. Ad ogni modo, così stando le cose, da questa prospettiva non-giustificazionistica si comprende bene quale capovolgimento di fronte si produca e come la polemica di Antiseri con i «metafisici classici» muti radicalmente; e, anche, come Antiseri - forte della sua lunga attenzione al lavoro svolto dagli analisti del linguaggio, dagli epistemologi e specialmente dai razionalisti critici (Popper, prima di tutto) e del suo lucido impegno a muovere Verso una teoria nongiustificazionistica della ragione (cfr. Metamorfosi. Dalla verità al senso della verità, pp. 111-133)- non abbia difficoltà alcuna a trarne tutte le conseguenze. In sintesi. Dato che «a fondamento della credenza fondata sta la credenza infondata» (Wittgenstein), sia la concezione della ragione dei giustificazionisti sia la concezione della ragione dei non-giustificazionisti risultano entrambe frutto di una scelta irrazionale, sono entrambe fedi. Tutti siamo fideisti: «La realtà, scrive Antiseri, è che, comunque la questione venga rigirata, dal fideismo non si esce. Il fideismo è una condizione umana» (p. 141). Ora, se questo è vero, la differenza - ed è una differenza decisiva del tutto a favore del fideista che ha una concezione non-giustificazionistica della ragione - non è più, giustamente, tra razionalismo e fideismo, ma tra fideismo dogmatico e fideismo critico: lo scontro è tra due progetti di fondo «centrati su di un uso differente della ragione» (p. 115). E, a questo punto, la stoccata finale. Con una «mossa» molto simile a quella di Nietzsche contro i saggissimi - décadents (a riguardo, mi sia consentito, cfr. F. La Sala, Nietzsche, «Columbus novus», «La Critica Sociologica», n. 78, 1986, pp. 30-56), Antiseri ha buon gioco a dimostrare che i giustificazionisti non solo non sanno ragionare (non sono affatto i pensatori forti, che pretendono di essere) ma - e la cosa rinvia l'una all'altra in un circolo ideo-logico viziato - non sono ancora nemmeno usciti «dallo stato di minorità» (Kant). Infatti, se «il non-giustificazionista sa che la scienza non dà e non può dare certezze; sa che i valori ultimi non si fondano razionalmente; sa che la stessa ragione scientifica si aggancia, in ultima istanza, a valori logicamente ingiustificati; sa che il potere politico di un uomo, di un ceto, di una razza o di una classe è una volontà che ama mettere la maschera della ragione; sa che le teorie metafisiche (sull'uomo, l'universo, la storia, la morale, lo stato, ecc.) sono costrutti umani, immersi nella storia, e in quanto tali criticabili e rimpiazzabili; sa che di fronte a una proposta di fede quel che è decisivo è. alla fin fine, l'opzione» (p. 12), tutte queste cose - e si tratta delle cose più importanti, scrive Antiseri - il giustificazionista (ateo o teista) non le sa e usa male la ragione (p. 13). Gli (pseudo-)razionalisti cattolici, in particolare, facendo un uso sintetico - ma Kant, si chiede Antiseri, è davvero passato invano nella storia della filosofia? - dei principi della ragione (principio di noncontraddizione, principio di ragion sufficiente, principio di causalità, ecc.), danno corso alle loro presunte dimostrazioni del meta-empirico e dell'esistenza di Dio (pp. 17-44), e, su queste basi, erigono le loro altrettante presunte incontrovertibili metafisiche. Dal sentirsi poi - ritenendosi «segretari-consiglieri dell'Assoluto» - autorizzati a «insegnare a ciascuno la strada obbli-
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