Alfabeto 108 • Marie-Louise von Franz L'individuazione nella fiaba Trad. Renato Oliva e Giuliano Caposio Torino, Bollati-Boringhieri, 1987 pp. 220, lire 26.000 Favole del mondo arabo A cura di Inea Bushnaq Trad. Fulvio Foresti Milano, Arcana, 1987 pp. 306, lire 25.000 Antiche fiabe persiane • A cura di Silvana Livoti e Fazlolah Hejazi Milano, Arcana, 1987 pp. 212, lire 25.000 Bruno Bettelheim Il mondo incantato Trad. Andrea D'Anna Milano, Feltrinelli, 1987' pp. 312, lire 26.000 I n un «fioretto» narrato nelle Memorie biografiche dei santi del poeta e novellatore persiano Farid al-Din 'Attar (1136-1230), un sufi incontra un cane sul suo cammino e gli cede il passo. Interrogato dai discepoli, spiega che l'umile animale gli ha parlato nella «lingua dell'estasi». Non importa qui il contenuto sapienziale del discorso, bensì con quale naturalezza l'autore c'introduce nel fiabesco. In virtù dello stato estatico, la percezione della realtà è alterata. Questa si trasfigura e comincia a dialogare col senso interiore dell'iniziato. La verità altrimenti ineffabile si fa strada e si organizza in una struttura apparentemente ingenua di simboli, semplici formule narrative, parabole ... Nel saggio L'individuazione nella fiaba Marie-Louise von Franz, allieva di Jung, prova ad accostare tale verità al sé archetipico junghiano. «La via d'iniziazione dello sciamano, la ricerca dell'eroe e la via interiore del mistico» tendono a risalire a questo nucleo profondo della personalità da ciò che in superficie è diviso e disperso: ragione sottile del titolo. Si sa del resto l'importanza che Cari Gustav Jung attribuiva alle fiabe in quanto deposito di materiali archetipici, utili allo psicoterapeuta per meglio interpretare i sogni di un paziente che abbiano carattere impersonale, e in generale nella sua teoria del processo di «individuazione del sé». Convinta pertanto che le fiabe stiano all'inconscio collettivo all'incirca come i sogni a quello personale, e nella scia della complementarietà fra pensiero occidentale e visione orientale del mondo pure intuita dal maestro, la specialista spazia dalla fiaba popolare spagnola li pappagallo bianco alla raccolta Il libro del pappagallo di Ziya Nakhshebi, rielaborazione persiana del XVI secolo di antico originale sanscrito. Ella conclude che «il pappagallo ben si presta alla proiezione di voce dell'inconscio» e che «rappresenta qualcosa di simile al misterioso narratore di sogni che c'è in ognuno di noi». Così come per Cenerentola - di cui Bruno Bettelheim riferisce di una trascrizione cinese del IX secolo a.C. ! - Il pappagallo bianco non è in effetti altro che una variante di una delle più diffuse fiabe di origine orientale: dall'Asia all'Europa e al NordAfrica, dalle Mille e una notte ai fratelli Grimm, a noi nota tramite l'adattamento teatrale settecentesco L'auge/fin Be/verde di Carlo Gozzi e le Fiabe italiane di Italo Calvino. Fatto sta che nelle Favole del mondo arabo, tradotte dalla ricercatrice palestinese Inea Bushnaq, compare un esemplare egiziano analogo, in cui il ruolo del pappagallo ovvero dell' «uccello belverde» è assunto da un usignolo, come deducibile dal I pacchetti di Alfabeta Fiabe esotiche Pino Bla one titolo L'usignolo che parlava. La peculiarità del pappagallo non è perciò esclusiva. Sulla scorta del prologo a Il libro del pappagallo e di altri esempi non solo strettamente orientali, la stessa von Franz annota: «Entrambi gli uccelli annunciano qualcosa che non proviene da loro e rivelano la verità: parole e canto non sgorgano dunque daWio, ma da un altrove più profondo». Identica funzione de Il pappagallo bianco e L'usignolo che parlava si trova comunque affidata a due colombe bianche in Cenerentola dei Grimm e a un gallo in Il pesciolino rosso e lo zoccoletto d'oro, versione irachena di Cenerentola nella raccolta della Bushnaq. Essi acquistano la favella o pronunciano frasi decisive in una circostanza precisa: per agevolare il riconoscimento e la riabilitazione di protagonisti perseguitati, diseredati o calunniati; quindi al fine di ristabilire verità e giustizia, quasi strumenti di una superiore non meglio identificata provvidenza. Invece l'uccello de Il libro del pappagallo ha funzione soprattutto affabulatrice e vagamente moralisfuggire o. allontanare da sé la morte. Non molto diversamente che nella storia cardinale del Decamerone di Boccaccio, nel narratore a sua volta narrato il suo «essere per la morte» si proietta da pretesto per la narrazione a fondamento sia pure reattivo e orientamento della narratività. Meno fortunato o scaltro il coprotagonista della Storia del marito e del pappagallo, compresa nella Storia del pescatore, uno dei cicli più complessi delle Mille e una notte e non a caso di origine indo-iranica. Quello finisce ucciso poiché ingiustamente sospettato di non aver riferito il vero. L'empia uccisione prefigura quella del medico filosofo Duban nel racconto immediatamente successivo e complementare, il cui finale esoterico a sorpresa non ha mancato di influenzare il romanzo poliziesco europeo, fino a un suggestivo passo de Il nome della rosa di Umberto Eco. Ma la fiaba persiana più bella ed emblematica riportata dalla von Franz è Il segreto del bagno Badgerd, pervenutaci anonima. Qui un poeta penetra nel Castello del Nulstica in una cornice genericamente erotica. Esso vi è definito «soglia dei pensieri strani e meravigliosi», ma pure «fonte della parola», il. che rimanda - come si vedrà qui avanti - alla vecchia idea semitica che la creazione continua a iscriversi nel mondo attraverso il linguaggio, sia verbo profetico sia sacra scrittura. HRLT·E la, con dentro a guardia il solito pappagallo vociferante e dal potere pietrificante, e statue in forma di idoli. Solo al poeta è dato colpire il volatile con una· freccia d'oro, concentrandosi a occhi chiusi. Subito le statue riprendono vita di esseri umani, e al posto dell'uccello compare uno splendido diamante. A L 'EXPULSION DI NOS CAMRRADES ETRRNGERS La funzione oracolare appare pertanto estensibile ad altri volatili, preferibilmente bianchi (ma non è bianca anche la balena del noto romanzo di Melville?): colore ambiguo, poiché presume in genere un aspetto oscuro e inquietante rimasto celato o rimosso oltre la soglia della coscienza. Infatti, Il pappagallo bianco possiede anche la facoltà di pietrificare chi non sa avvicinarlo con la cautela di particolari istruzioni; le colombe dei Grimm infliggono la crudele punizione dell'accecamento alle sorellastre malvage (e perfino Cennerentola di Giambattista Basile non è esente da colpa omicida). Universo magico e gratificante ma chiuso, «foresta di simboli» speculare dell'inconscio, la fiaba insiste nel cercare una soluzione al centro del labirinto anziché una via d'uscita come nel mito greco, al punto da poter ritenere empia l'uccisione del Minotauro - o della Gorgone - e attribuirne il carattere mostruoso a nostra imperizia o colpa. Parafrasando Nietzsche, non vi è consumato fino in fondo l'atto sacrificale e catartico della «nascita della tragedia»; il numinoso serba o recupera intera la sua carica, laddove altrove il Logos, multilato di ogni terribilità, rischia paradossalmente di eclissarsi nel silenzio di un cosmo inanimato. Tuttavia nemmeno il pappagallo è esente da pericoli. Raccontatori fittizi di fiabe o novelle, sia il volatile de Il libro del pappagallo sia il personaggio di Shahrazad nelle Mille e una notte (dove Sindbad il Marinaio nell'Isola dei Simboli s'imbatte nel grande uccello Runk) lo fanno in realtà per Tornano alla mente i versi dell'Apologo della perla nella celebre raccolta Il roseto di Sa'di, dove una goccia di pioggia si perde nel mare per ritrovarsi in una conchiglia sotto l'aspetto di perla: «Bussò alla porta del Nulla, e trovò l'Essere». Si paragoni peraltro con la dottrina buddhista, per cui lo stadio ultimo della perfezione è la soppressione perfino del sé, e con l'esercizio di tiro al bersaglio con l'arco, una delle pratiche ascetiche dei monaci Zen. I n un'altra fiaba intitolata Il giardiniere e l'usignolo, nella raccolta I bagliori del Canopo di Huseyn Va'ez Kashefi, ennesimo rifacimento persiano nel XV secolo del famoso Panciatantra indiano, si legge: «Il folle usignolo sciolse, simile a pappagallo, la lingua e disse: [... ] 'Se hai fatto passare un altro significato entro la tua immaginazione, dammi notizia di ciò che hai nel fondo del cuore'». Il significato, filtrato dall'immaginazione, sorge «nel fondo del cuore» del giardiniere, e l'usignolo o pappagallo, o altro simile che sia, non fa ovviamente che prestargli voce («folli di Dio» vengono appellati in ambiente· popolare islamico i dervisci che si presume abbiano raggiunto lo stato «entusiasmico» o estatico). Più ancora che trattarsi della voce dell'inconscio (o - perché no? - della «coscienza» nel grillo parlante de Le avventure di Pinocchio), è come dire, con concetti vedantici induisti, che l'atman, il piccolo «sé» dell'uomo, può arrivare o tornare a comunicare col «grande sé», i~ mapagina 15 hat atman del mondo, previo il raggiungimento dell'estasi e la dissimulazione dell'io individuale, principale ostacolo· che si frappone: in una dinamica di ribaltamento, assimilazione e annichilimento, che i buddhisti con sottile distinzione chiamano anche anatman o «non sé» (obiettivo ultimo l' «estinzione» del nirvana; cfr. l'equivalente arabo fana' o il cupio dissolvi dei nostri mistici). È ancora 'Attar a fornirci la chiave interpretativa, di cui pure la von Franz prende atto. Nel poema intitolato appunto Il linguaggio degli uccelli1 uno stormo vola alla ricerca del loro re Simurg, metafora trasparente della divinità. Al termine le celesti creature si trovano di fronte a un grande specchio, in cui rimirano finalmente se stesse, finché la loro immagine svanisce «come ombra al sole». Va da sé che chi non si è davvero spogliato del proprio io non scopre che il mero nulla e ne rimane «pietrificato», per cui gli uccelli di 'Attar vengono più volte sconsigliati di proseguire il viaggio, accontentandosi della loro fede. A questo punto, l'avveduto redattore musulmano de I bagliori di Canopo avverte il rischio di panteismo e, nella conclusione della favoletta sopra citata,. mette prudentemente le mani avanti. Premiato della sua generosità per aver liberato l'uccellino con lo svelamento di un tesoro, il giardiniere viene assalito da un ultimo dubbio: «O rosignolo! Strana cosa è che tu veda un'anfora piena d'oro sotterra e la rete sopra la terra non hai saputo vedere!». E quello chiarisce, in maniera poco congrua che tradisce l'impaccio dell'autore: «Quando il decreto divino discende, all'occhio visivo non rimane più luce, e a nulla giovano prudenza e saggezza!» Così la storia ha lieto fine, ristabilito il primato della divina trascendenza. Più ancora che della realtà fenomenica, il favolista sembra preoccupato di eventuali violazioni della verità rivelata. L'estensore de Il libro del pappagallo liquida la questione fin dal prologo in versi, con paradossale identificazione e formale omaggio all'ortodossia religiosa: «Maometto l'eletto. / Lui, l'uccello parlante / Che sapeva d'annunciare verità non sue; / Lui, l'usignolo dal cui becco uscìano /Della rivelazione le pure melodie». Ma perché tanta ansia di esorcizzare il pappagallo delle favole? Acutamente commenta la von Franz: «Tutte le sacre scritture che si fondano su una verità rivelata una volta per tutte sono per ciò stesso minacciate da quel che di negativo il pappagallo rappresenta e quindi dalla conseguente pietrificazione». Se ce ne fosse ancora bisogno, in La letteratura persiana2 l'eminente iranista Alessandro Bausani chiarisce come il «linguaggio degli uccelli» sia in effetti la lingua esoterica, citando il grande Jalal al-Din Rumi, seguace di 'Attar nel XIII secolo: «In un dialogo col suo cuore il poeta gli dice: 'O uccello, parla la lingua degli uccelli; io so capirne il cifrato messaggio'». Sull'utilità di tale finzione e i rischi di tale conoscenza, valgano gli apologhi intitolati Il consiglio mimato e Il linguaggio degli animali in Antiche fiabe persiane, personaggi rispettivamente un altro pappagallo e un gallo comunicanti. Essi sono tradotti dal Poema spirituale di Rumi, che la prefatrice dell'antologia Elisabetta Paltrinieri definisce «una ricerca di Dio attuata attraverso la conoscenza dell'Io profondo dell'uomo»: relazione che lo stesso Jung del resto rilevava nella riflessione induista, affine a quella del sufismo persiano. Fedele alla lezione di Freud, l'ottica di Bettelheim in Il mondo incantato. Uso, importanza e significati delle fiabe appare significativamente ribaltata.
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