Alfabeta - anno X - n. 107 - aprile 1988

pogina 38 Prove d'artista Alfabeta 107 arioLaCava Volava la farfalletta attorno al lumino nella gran casa solitaria. La luce l'attirò, ed ella, correndole incontro·, con le ali la spense. Prende un fiammifero Carmelo, e accende il lumino. La farfalletta era là ancora, posata sul marmo. Vuole salvarle la vita Carmelo, le sfiora con le dita le ali. Ma la farfalletta si dibatte, si libera. Travolta dalla luce, di nuovo esce all'incontro. Avvicinatasi troppo, spegne il lumino, cadendo affoga nella cera disciolta. Invano Carmelo, accesa la luce, tenta di liberarla! Il suo povero corpo, con le ali piegate, rimane incrostato di cera, un'ombra di esso si vede nel liquido che di nuovo si forma. Inutile stare a pensare, bene certo svestirsi, mettersi a letto, riposare nel sonno il cuore agitato. Il capo del paese passeggia nel mezzo della strada. Deve farsi pazientemente di lato alla scampanellata d'una bicicletta. Riconosce nel ciclista colui al quale ha negato ciò che gli spettava, e apostrofa argutamente: - È il vostro diritto, - per fare sentire il peso della sua autorità, che si piega soltanto alle piccolezze che non contano. Gli esattori pegnorano, i creditori vendono all'asta, le annate, colpite dalla siccità, volgono al peggio. Di un immenso patrimonio, non resta ora che poco. Ci sono figliuole grandi in casa, e nessuno le vuole. Ma non per questo si scompone Federico, che pur ha una professione e potrebbe sfruttarla. Seduto sulla poltrona ingrassa; e tutto il giorno, solo, davanti alla scacchiera, contento, studia le più belle combinazioni del gioco. Veniva nelle sere dell'inverno piovoso il vecchio amico cavaliere a tenerci compagnia. Si sedeva davanti al braciere. e si scaldava per alcun poco le mani. Poi raccontava le strane avventure della sua bella vita, piena di gioie e di dolori. Raccontava inesausto e noi, coi familiari attorno, pendevamo dalla sue labbra, coi grandi occhi sbarrati fissi su di lui. Biancone era diventato capo dei comunisti nel tranquillo paese di C. E allora si era sentito in dovere di avvertire i compagni, fra l'altro, a non seguire i funerali dei ricchi che muoiono. Visitavamo l'ospedale degli ammalati di cancro. Ci accompagnava un nostro cugino, medico. Gli ammalati erano coricati e seduti sul letto. Non parlavano, non si lamentavano. Guardavano solo, distratti. - Com'è che non gridano dal grande dolore che hanno? - domandammo. - Non avrebber_o nessuno che li ascoltasse, - rispose il cugino. La giovane Peppina, vestita di nero, a piedi nudi, china sulla tomba della madre, implorava: - O madre, madre, io grido, io piango e mi dispero e tu non mi ascolti? Le mie grida alte non arrivano fino a te? E le senti, e non mi dici nulla? Non vedi come sono ridotta? Non vedi quanto soffro? Come poter stare lontana da te? E tu non fai nulla? Non fai nulla per venire fino a me? La tua volontà e la mia nulla, dunque, possono? Sono inutili tanti lamenti? E perché, madre mia, colla forza del tuo e del mio cuore non vinci il nemico che ti tiene chiusa? Che nemico è questo che non può essere vinto da nessuno? Oh lo so! Io parlo e ti dico: «Alzati», come se pensassi che tu lo potessi fare! Ahi! Ahi! La dragonessa brutta t'ha rapita, lei, lei fu, e tu non volevi, non volevi abbandonare la figlia, e non hai potuto! Nulla hai potuto e nulla puoi, e tu lo sapevi, o madre, e, desolata piangevi! Nota Mario La Cava è nato nel 1908a Bovalino, paese della costa ionica calabrese. Dopo una permanenza, per completare i suoi studi, in Toscana, a cavallo tra le due guerre, non si è mai mosso dalla sua terra d"origine. Oggi, sulla soglia degli ottant'anni, versa in gravi condizionidi salute. Recentemente, dopo l'intervento, dalle pagine dei giornali, di scrittori e critici (Walter Pedullà, Leonardo Sciascia, MirellaSerri, Corrado Stajano tra gli altri) è stato assegnato a La Cava il vitaliziodello Stato previsto dalla cosiddetta legge Bacchelli. Ma al di là di queste brevi notizie di cronaca, ciò che più stupisce è l'attuale disinteresse, anche editoriale, verso l'opera di questo scrittore, a suo tempo stimato da Bo, Montale, Vittorini. L"orizzonteletterario di Mario La Cava ha come punto di riferimento costante una grande tensione narrativa, che informa prepotentemente tutta la sua opera. Questa vocazionealla narrazione si realizza in più modi, a seconda dei generi di scrittura adottati. Il primo è il racconto breve, a volte brevissimo, che dai Caralleri (opera d'esordio, sulla quale tornerò oltre) si trasferisce, quasi invariato, in altri testi, È il caso dei Colloqui con Antonuzza, del 1954.Si tratta di singoli episodi che hanno come argomento e stimolo narrativo una bambina, figliadi contadini, con la quale l'io narrante dialoga, facendolaa lungo parlare, descrivendoal lettore, semplicemente,quale è il suo modo di vedere e di giudicare le cose, e il mondo intero. A tale scopo, la scrittura si riduce ad una decisa essenzialità, che raggiunge risultato di grande fascino: nelle riflessioni di Antonuzza, tutto l'universo è qualcosa di sempre nuovo, inedito. «mai visto prima». II mondo che La Cava pone sempre al centro della sua Ietteratu~ ra, un mondo - la Calabria - mai inteso come semplice realtà «reNon è generale Esposito, né maresciallo o appuntato; mai lo è stato. Pure, il genio strategico lo ha lo·stesso e la sua vita trascorre placidamente tra brillanti visioni di ferro e di fuoco. Ogni angolo della sua casa, ogni scorciatoia del suo villaggio e le colline e i monti all'intorno, sono per lui mirabili posti per piazzare cannoni e mitragliatrici contro un immaginario nemico. Già le circostanze lo favoriscono, già egli è stratega valoroso che porta il suo popolo alla vittoria. Ammiratore della strategia germanica, entusiasta dello spirito strategico che soprattutto in quel paese per miracolo divino ha dato finora così grandi prove di sé, non ha parole sufficienti di lode. Ben ne conosce l'ingranaggio, ben ne ha adottato il linguaggio: i giornali sono il suo pane quotidiano, e le descrizioni delle battaglie avvenute sono il suo vangelo: segna col lapis i punti salienti, scrive pensieri sui margini. L'esercito schierato a cuneo nel territorio nemico è ottimo per l'attacco: debole per la difesa. L'attacco da tre lati, il famoso attacco da tre Iati, è infallibile. Esempi passati e recenti nella storia non mancano; uno sterminato campo di riflessioni si svolge dinanzi. Magnifico, quando il nemico è stretto in una morsa o quando la manovra è stata aggirante, con velocità fulminea; Io stratega valente avanza, muovendo le sue truppe a tenaglia. Certo Esposito non analizza solo le battaglie avvenute, per trarre occasione di studio o per acquistare motivo di compiacimento; egli è bravo nel fare previsioni sul futuro. Dice quel che farà il tal generale e quello che farà il tal altro; immagina i progressi della scienza in proposito. Dal perfezionamento dei mezzi dipende anche il mutamento della strategia: bisogna essere accorti e pensarci per tempo; ed egli alla notizia di nuovi ritrovati di distruzione, sussulta di gioia come non può quando apprende c~e qualche vittoria dell'uomo sulla natura è stata ottenuta. La ragione è che il cannone è la massima conquista che la scienza ha potuto creare, e ogni oggetto, ogni meccanismo è messo in riferimento ad esso, per avere valore; perfino i libri acquistano pregio dal paese dove sa che l'arte strategica è meglio in onore. Uomo pacifico e mite, non batte ciglio alla distruzione di piccòli e nobili paesi da parte di altri più grandi e più forti, né si accorge degli spettacoli di disperato eroismo: se c'è stato valore, maggiore avrà dovuto essere da parte del vincitore il talento strategico! Uomo pauroso, ringrazia Dio d'essere vissuto in epoche di grandi battaglie; il Signore, nella sua bontà, gli farà la grazia di ulteriori strategiche imprese; il Signore, nella sua sapienza, gli consentirà ancora una vita felice! Un capo di stato·gridava: - Abbiamo le armi, sono moderne, sono magnifiche! E quanto s'è speso! Miliardi e miliardi! Nessuno l'ha fatto - Buona ragione per adoperarle! - disse Francesco. Avevano finito di amarsi. Ed allora sposarono. Giacomo immaginò di uccidersi in circostanze tali da infamare presso l'opinione pubblica il padre, che gli era nemico. Promise che Io avrebbe fatto, e lo fece. Il morto era in casa. Ed i parenti più stretti, per vincere il sonno della veglia, tutta la notte stettero a cavalcioni della cassa, sul coperchio di essa giocarono a éarte. Giulietta ha fame, ha sete, non ne può più, poverina, proprio nella stessa vostra casa dove viene a trovarvi. Presto, per carità! Datele qualcosa se non la volete vedere cadere per terra! Non vi siete accorti come si dimena sulla gionale», ma al contrario portato sulla pagina per la sua matrice originaria, che lo colloca davvero al di là del tempo e della storia, apparirà, intatto, anche nel libro successivo, Le memorie del vecchio maresciallo, pubblicato da Einaudi nel 1958.Qui, è la suggestione del racconto orale a manifestarsi come fonte di sviluppo espressivo: è appunto la consapevolezza di quanto, in un mondo culturalmente così arcaico, isolato, la vita e la voce di uno diventi la vita e la voce di tutti, antropologia collettiva, mito. La seconda spinta stilistica che definisce l'opera dello scrittore calabrese è la tendenza ad una costruzione narrativa più ampia e articolata del racconto: il romanzo. Qui, la situazione prima descritta si modifica.sensibilmente.Nel momento in cui, cioè, l'argomento da raccontare, altrove caratterizzato da una sorta di immobilità fuori del tempo, si organizza in più numerosi livelli, esigendo una dimensione testuale - la romanzesca - dove al contrario le insidie dell'intreccio devono introdurre, in quel mondo, la storia, molte cose devono cambiare. È per questo che i romanzi di La Cava, a cominciare da Mimi Cafiero (Parenti, 1959), a Vita di Stefano (Sciascia, 1962), fino a Una storia d'amore (Einaudi, 1973), / falli di Casignana (Einaudi 1974), La ragazza del vicolo oscuro (Editori Riuniti, 1977)presentano invariabilmente un progressivoavvicinarsiai contrasti di cui è fatta la storia, e che diventa intreccio, si tratti della personale vicenda di un proprietario terriero passionale e morboso, di un giovane sconfitto, di una vicenda amorosa dal triste epilogo, della rivolta in seguito repressa di alcuni contadini contro i latifondisti, della finale rovina di una giovane che esce, per necessità, dal suo mondo d'origine. Ritorno al La Cava scrittore di racconti, e in particolare dei sedia, come sbadiglia, come allarga le gambe, come si stiracchia e si contorce? Non capite le sue allusioni, non sentite nemmeno quando ve lo dice e ve lo ripete chiaro? Forse che la sua sofferenza è cosa da nulla? Forse che ella scherza? Via, non siate di sasso! Non la fate aspettare di più! Un po' di pane e marmellata o formaggio o peperoni o patate le basterà: tutto sarà buono per riempirle la pancia ... Ecco Giulietta contenta. Guardatela come piglia il piatto con le mani, come affonda la testa, come divora, come sporca all'intorno. Non vi diverte vedere la perfezione del suo stomaco, la prontezza delle sue mascelle, la sicurezza dei suoi denti, la lucidità dei suoi occhi? Mangia come in casa sua Giulietta. E perché dovrebbe avere soggezione? Non è la prima del quinto ginnasio, non è la figlia del vostro medico? E chi vi ha detto che è una ragazza arrogante e villana? Come se non lo sapesse, Giulietta, che la golosità è segno d'intemperanza! E che significa ciò? È stupida, per questo? Volete farla ridere! E dunque perché parlate? Toglietele il piatto dalle mani invece, se non volete che faccia brutta fine, fatele largo se vi preme aver salvi i piedi. Lasciatela girare a suo agio per le stanze, guardare dappertutto, aprire il pianoforte, toccare le fotografie, prendere i libri, se non ve la volete veder ballonzolare davanti e mettere il naso nei vostri discorsi! Permettete che strappi i boccioli dei fiori, che li mastichi e li sparga per terra, lasciate che spaventi il gatto, concedete che si dondoli sulla sedia a scorticare la parete, lasciatela insomma sfogare, se volete che se ne vada presto e vi lasci in pace. - Ciao ciao, - dice Giulietta, senza guardarvi. Salta gli scalini a due a due, si spenzola dalla ringhiera, si arrampica sulle colonnine degli angoli, esce infine colla vostra bicicletta di cui avete bisogno. Eccola che rincorre i ragazzi per le strade, eccola che li sfida e li ingiuria, eccola già di ritorno a prendere d'assalto il vostro portone. Lei era bellissima, il marito grasso e fedele; ma entrambi amavano molto la letteratura. - Come si fa a diventare scrittori? - Bisogna prima leggere. - E che cosa si deve leggere? - Era la prima volta che M.L.C. entrava in quella casa dove molti giovanotti garbati coltivavano l'amicizia del marito. - Avete letto Madame Bovary? È così raro vedere un uccello in volo nei nostri paesi. Grazia lo desiderava e un giorno, aprendo la finestra a vetri, ne vide uno bellissimo, grande quanto un pugno, che s'era infilato nello spazio stretto che c'è con la persiana, per morire. Prima che faccia giorno, il vecchio Piero si sveglia al concerto che fanno nella sua testa gli uccelli del mattino. Possibile? Ci sono ancora gli uccelli? Aspetta l'alba per alzarsi, va alla finestra e l'apre. Ma nessun uccello vola più davanti a lui, nessun canto vicino o lontano si sente, che non sia quello lasciato dalla memoria nella sua mente. L'industria dei sequestri era andata bene; e gli amministratori del paese di B., dove si era concentrato il fiore di tanta intraprendenza, riservavano ai nuovi ricchi i migliori suoli edificatori per i loro palazzi. Li ricavarono dal centro urbano squartato, dalle campagne manomesse, dalle spiagge occupate. Ingegneri e progettisti, privati e pubblici, cooperarono di buon grado al successo dell'operazione. - Non vi abbiamo servito bene? Non abbiamo ingrandito il paese? - dissero al popolo sbigottito. Tratto da Caratteri, Torino, Einaudi, 198(}3 Caratteri. Il volume, pubblicato per la prima volta nel 1939dalla Le Monnier, fu ristampato da Vittorini - con molte aggiunte e varianti - nei «Gettoni» einaudiani nel I954 (l'ultima edizione è del 1980, sempre per Einaudi). Nel risvolto di copertina, così recitava la sua breve presentazione: «Mario La Cava è scrittore formatosi fra il 1930 e il 1940ma rimasto in margine alle correnti letterarie di quegli anni perché apparteneva un po' a tutte e non era propriamente di nessuna. Coltiva un suo genere speciale di brevissimi racconti in cui fonde il gusto per l'imitazione dei classicie Io studio naturalistico del prossimo». La definizione di Vittorini rende sobria ragione di questi testi, testimonianza letteraria di un mondo espressivo originario, e la scrittura, che si fa esemplare, può avere i suoi chiari riferimenti «classici» (primo fra tutti, La Bruyère). Ora, l'originalità di La Cava, e il fascino di queste sue apparentemente dimesse scritture, sta nel fatto che i personaggi, fulmineamente descritti, una volta per sempre, non hanno niente dello spessore psicologico,comunemente inteso. Di loro, al lettore, non interessa nient'altro che quello che dicono, come lo dicono. Nelle poche battute designate a descrivere un contadino, il notabile del paese, la giovane vedova, c'è già tutto, e tutto è già esemplare. Esemplare, giacché la mimesi linguisticascelta da La Cava quando questi personaggi parlano non significaimitazione del loro modo di esprimersi «reale», o, se questo avviene, non sembra davvero interessare il narratore. Ma il narratore sa che il miglior modo di descrivere un personaggio è farlo parlare: e la sua parola riempie la pagina, affascina, descrive un mondo. Rocco Carbone

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