/2lfabeta 107 l'Ottocento contribuì con i propri lavori non solo alla scoperta e colonizzazione del continente, ma anche all'edificazione d'una vera cultura e letteratura nazionale. A destra, sorgono invece la Loyola e la Tulane University, centri accademici di rilievo del Sud (Tulane ... quanti ricordi in questo nome: quando, studenti universitari affamati di cose teatrali, sfogliavamo avidi la mitica «TOR», la «Tulane Drama Review» per l'appunto, che oggi - meno romanticamente forse - ha mutato il nome in «The Drama Review»). Arrivo così a Carrolton, grosso sobborgo di New Orleans. Scendo dal vecchio tram e traverso Carrolton Avenue. Stasera cerco il Maple Leaf Bar, cerco musica cajun, e trovo entrambi all'8316 di Oak Street. Il Maple Leaf Bar (nome singolare per un posto famoso soprattuto per la musica cajun: il Maple Leaf Rag è un celebre ragtime di Scott Joplin) è un locale lungo e stretto, diviso in due ambienti disposti parallelamente e comunicanti tramite due ampie porte: da una parte, il bar con il bancone di legno e in fondo i servizi, dall'altra la sala da ballo che termina in una veranda aperta su un giardinetto interno. Pago un paio di dollari all'entrata e sul polso mi timbrano un segno rosso fluoerescente che mi servirà a entrare e uscire liberamente durante la serata. È affollatissimo, il Maple Leaf: la gente indugia anche in strada, bottiglie e lattine di birra in mano. Dentro, le luci sono tenui e irreali, e il timbro sul polso brilla misterioso, quasi iniziatico. La musica riempie ogni angolo e lungo il bancone del bar è quasi impossibile muoversi. Prove d'artista valore: oggi che l'industria è profondamente in crisi, specie nel Texas e nella Louisiana, i giovani tornano indietro, alle paludi e ai fiumiciattoli fangosi. Intanto, dopo The Opelousas Walts, il Maple Leaf è esploso in Cypress lnn Special, e il ballo cajun m'avvolge tumultuoso con la trama complessa di figure che ricordano il valzer, la quadriglia, il boogie-woogie, il roch 'n' roll. È una musica ripetitiva, addirittura ossessiva e a volte anche un po' - come dire? - selvaggia. Ma straordinariamente affascinante. In essa s'intrecciano elementi della tradizione musicale europea ed elementi di quella americana: la country music e soprattutto (nella variante cantata dai neri della Louisiana e detta zydeco) il blues. Inoltre,j due strumentiprincipe del cajun, la fisarmonica e il violino, sostenuti dalla chitarra, dal basso e dalla batteria, conferiscono a questa musica una tonalità fra stridente e sognante, un carattere pagina 37 VII. Dal ponte del battello «Natchez», osservo la costa del gran fiume Mississippi scivolare via bassa e selvosa nel crepuscolo. Abbiamo lasciato New Orleans da mezz'ora circa, abbiamo oltrepassato raffinerie occhieggianti e luminose, costeggiato isolotti. Il pensiero corre subito a Mark Twain, a Huckleberry Finn e a Jim, al mistero del fiume, ai risvegli sulla zattera ... Ma non siamo al confine fra Missouri e Illinois, al mio fianco non c'è uno schiavo fuggiasco e il «Natchez» non è una zattera: e dunque il fascino di quella storia rimane chiuso dentro al testo letterario, com'è giusto che sia. Ma queste acque solenni e mulinanti sotto ai miei occhi mi fanno pensare alla realtà tutta particolare di New Orleans. Perché il dolce dell'acqua del fiume si mescola ormai al salato dell'acqua del mare, e quest'immagine di mescolanza mi appare come il simbolo vero della città. L'atto del mescolare si ripete all'infinito, qui a New Orleans: nel modo in cui i liquori sono aggiunti ai liquori nei cocktail, nel modo in cui il caffè e il latte sono versati dall'alto, dai due bricchi inclinati contemporaneamente, nel café au /ait, nel modo in cui gli ingredienti diversi si fondono nella Jambalaya e nel Gumbo, le due gustose specialità creole, e nei po' boys, i giganteschi panini nati come pasto unico dei poveri ... Così, si mescolano e si sono sempre mescolate le lingue e le culture e le tradizioni e le musiche, e l'Europa e l'Africa e l'America, e gli spagnoli e i francesi e i creoli e i neri e gli yankees e i messicani, e la bamboula e la quadriglia e il blues e il ragtime e il jazz e perfino il cajun, ~ via via via... Non un - irrealizzabile - crogiuolo da cui sarebbe dovuto uscire lo homo novus americanus, bensì tante nuove culture, in parte separate, a volte conflittuali, certo non riconciliate né con il passato né con il presente. Forse proprio questa ricettività e plasticità, quest'esseMa il pubblico del Maple Leaf non è il solito miscuglio di turisti e di curiosi, è gente di qui, della regione che circonda New Orleans. Abbondano le camicie a scacchi, i berretti con visiera, i vestiti ampi e svolazzanti di cotonina stampata, gli scarponi alti con i calzettoni lunghi o le braghe di velluto appena sotto il ginocchio, i corpetti leggermente scollati e i nastri fra i capelli. E quando riesco a raggiungere l'altra sala, stringendo in Evghenij Dybskij, Architettura nel paesaggio, 1985; olio su tela, cm. JOOx130 •re creativamente dentro e fuori l'Europa e l'Africa e mano una bottiglietta ghiacciata di bionda Miller, m'accorgo che le coppie intente a ballare non sono tutte giovani: magri e ossuti signori di una certa età, in jeans e occhiali, volteggiano insieme a coetanee ridenti in camicetta a fiori accanto a teenagers e trentenni. È sabato sera, e sul Maple Leaf e su decine d'altri posti simili sparsi in giro per la Louisiana meridionale è calato dalle paludi e dai fiumiciattoli acquitrinosi per festeggiare il fine-settimana il popolo cajun, quei bayou folks descritti con tanta maestria da Kate Chopin nell'omonima raccolta di racconti uscita nel 1894. Anche i cajuns sono venuti da lontano, a quest'America fatta di viaggi e peregrinazioni. Sono partiti intorno a metà del Seicento, contadini, pescatori, cacciatori di Normandia, Bretagna e Piccardia, e si sono insediati nel Canada, in una regione detta allora Acadie e oggi Nova Scotia. Quando poi, nel Settecento, l'Acadie passò sotto dominio inglese, i suoi abitanti rifiutarono di prender le armi contro la madrepatria nelle guerre anglo-francesi e dovettero far fagotto, iniziando un'altra migrazione interna. S cesero a sud, verso regioni culturalmente e linguisticamente affini, e si stabilirono nella Louisiana meridionale, intorno a New Orleans, Baton Rouge, Lafayette, lungo i 14mila chilometri di bayous del Delta, e rimasero un gruppo chiuso, povero, orgoglioso della propria lingua d'origine contadina, della propria identità, della propria musica. Da Acadiens divennero Acadians e poi cajuns: un'altra delle tante sacche etno-culturali che convivono semi-sconosciute in un'America che non è mai riuscita a essere il tanto celebrato crogiuolo delle razze e delle culture. Hanno continuato a fare i contadini, i pescatori, i cacciatori, a muoversi in piroga fra le barbe e le liane dei cipressi calvi, a vivere nelle case di legno su palafitta, a raccogliersi in occasione delle feste e dei balli (i Fais-Do-Do ), a calare di tanto in tanto sulle cittadine del circondario. Il grande documentarista Robert Flaherty dedicò loro una delle sue opere più famose, Louisiana Story; e qualche anno fa, riprendendo il tema dello scontro fra comunità chiusa ed estranei invadenti che era stato di Un tranquillo week-end di paura di John Boorman, il regista Walter Hill ha creato intorno al popolo cajun, con abilità e una punta di sensazionalismo, una storia inquietante in / guerrieri della palude silenziosa. Per qualche tempo, il boom del petrolio ha suscitato fra i bayous tendenze centrifughe: i giovani abbandonavano i villaggi a favore dei pozzi. Ma l'oro nero ha poi perso di che può essere di scatenata allegria e subito dopo di profonda malinconia. I testi sono elementari e parlano un francese strapazzante e reinventato, pieno di deformazioni e sgrammaticature: «tu» è pronunciato «ti», «il», «i», «des» diviene normalmente «de les», «ou» «et ou», «auras» prende spesso il posto di «autour», «après» seguito dall'infinito indica un'azione in corso, come nell'uso irlandese di «after»; non si contano poi i «donc», «mais», «moi», «oui», usati come interiezioni e semplici riempitivi, i «just» nell'accezione inglese e non in quella francese, le labiali raddoppiate («ambandonner» al posto di «abandonner»), e infine certi significati particolari, come «ma malheureuse» o «pauvre bete» per dire «mia cara», «esperer» per dire «attendere» e «attendre» per dire «sentire». O, chere petite mom, je t'amais,/Je t'ai perdu par roulayer !es grands chemins./Regarde donc quo i j' ai fait avec moi-meme, chere./Moi, je te regret, jolie fille,ff'es mignonne, oui, pour moi,/Oui pour moi, mais j'ai oublié/Mais comme j' ai fait. Dai grandi degli anni venti e trenta che per primi registrarono brani cajun (Joseph Falcon, i Beaux Frères, Amadé Ardoin) agli interpreti d'oggi (i Balfa Bros., Clifton Chenier, lo zydeco Rockin' Depsie, Vin Bruce, Nathan Abshire, Delton Brousard ... ), i cajuns hanno avuto tanti cantori a rallegrare i Fais-do-do e i sabato sera nelle taverne del Delta. Della band che suona stasera ignoro il nome. Ma quando attacca il dolce e bellissimo Valse de 99 Ans capisco che suona davvero bene. A questo punto, sarebbe per me quasi doveroso unirmi a questo ballo che ha contagiato tutti nella sala stretta e lunga di questo bar alla periferia di New Orleans. Ma, in qualche modo, io non sono mai riuscito a venire a patti con il ballo, oscuro oggetto del mio desiderio, agognato e mai conquistato: ci siamo sempre studiati e squadrati a distanza, il ballo e io, e alla fine ha sempre vinto lui, costringendomi a far da tappezzeria. Così, mentre le coppie giovani e anziane s'abbandonano a figure complesse e divertenti, vorrei tanto avvicinarmi alla ragazza dai nastri fra i riccioli biondi e dall'ampia gonna a balze (è senza dubbio la regina della serata e - nella mia fantasia - una diretta discendente degli Acadiens di Bretagna o Piccardia) per chiederle almeno di svelarmi i segreti dei passi cajun. Ma voi sapete bene com'è. Fa caldo, è tardi, e l'ultimo, cigolante tram di St. Charles Avenue m'attende all'angolo di Carrolton per riportarmi indietro, nel Vieux Carré ... l'America, ha attratto a New Orleans tanti scrittori e artisti, ha fatto della città del Delta un piccolo, affascinante laboratorio in cui fasi cruciali nella vita di narratori e poeti si sono decantate e quasi depurate e hanno dato il meglio di sé. Nell'Ottocento, George Washington Cable, Lafcadio Hearn, Kate Chopin: grandi minori, sensibili interpreti del mondo del sud, ma con esso non riconciliati, per l'appunto, in contrasto profondo, fino ad essere costretti alla fuga, al silenzio·,all'esilio. Nel Novecento, uno Sherwood Anderson già celebre e amato/odiato che giunge a New Orleans dal Mid-West, un William Faulkner alle prime armi che abbandona il frustrante impiego all'ufficio postale di Oxford, Mississippi, e comincia a scrivere in una New Orleans che ricomparirà spesso nelle sue opere, un Tennessee Williams che coglie nella lenta decadenza della città una lunghezza d'onda omologa alla propria visione letteraria. E tanti altri ancora, maggiori e minori, fino a nomi recenti come Walker Percy e Richard Ford ... Aveva forse ragione Faulkner, quando - in uno sketch scritto tra il gennaio e il febbraio 1925, quando abitava al 624 di Orleans Alley, oggi Pirates' Alley - diceva di New Orleans: «Una cortigiana, non vecchia eppure non più giovane, che evita la luce del giorno in modo da conservare l'illusione delle glorie passate. Gli specchi nella sua casa sono opachi e le cornici ossidate; tutta la casa è offuscata e splendida per gli anni. Giace reclina graziosamente su una sdraio di scialbo broccato, e tutt'intorno c'è profumo d'incenso, i drappeggi accuratamente disposti in pieghe regolari. Vive in un'atmosfera che rimanda a un'epoca trascorsa o più cortese. Riceve un numero ristretto di persone, che giungono a lei attraverso un crepuscolo senz'età. Non parla molto, ma sembra dominare la conversazione che si svolge in toni sommessi sebbene mai noiosi, artificiali sebbene mai brillanti. E coloro che non sono fra gli eletti sono condannati in eterno a rimaner fuori della sua porta. «New Orleans ... una cortigiana la cui presa è forte sui maturi d'età, al cui fascino i giovani son costretti a rispondere. E tutti coloro che la lasciano, in cerca delle chiome non •castane e non dorate delle vergini e dei loro seni pallidi e gelidi su cui nessun amante è mai spirato, a lei fanno ritorno quando languida sorride da dietro il ventaglio ... «New Orleans». Quando il «Natchez» attracca di nuovo alla banchina davanti a Jackson Square, sta ormai scendendo la mia ultima notte a New Orleans. Parto domani, verso il nord.
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