pagina 36 battuto. Qui avevano luogo le aste degli schiavi (al Maspero's Exchange, dove pare anche che Andrew Jackson si sia incontrato con i famigerati fratelli Lafitte per discutere i piani di difesa della città dagli inglesi, nel 1814), s'incontravano mercanti e piantatori e pirati, si tenevano i grandi balli per cui andava celebre la città (al St. Louis Hotel, oggi scomparso). Qui il farmacista Antoine Peychaud inventò una bevanda a base di rhurn e altri liquori del Golfo, servendola in bicchieri a forma di portauovo detti coquetiers (gli yankees ribatezzarono il tutto cocktail); e qui vissero. per qualche tempo, in periodi diversi, Zachary Taylor, dodicesimo presidente degli Stati Uniti, e Adelina Patti, la grande cantante d'opera. Qui venne innalzato il «grattacielo» del Vieux Carré: la maison LeMonnier, tre piani nel 1811, un quarto aggiunto nel 1876; qui si riunivano i realisti fuggiti di Francia all'epoca della Rivoluzione (al Languille Building, in quello che prese nome Café des Exiles). Qui fu aperta la grande Orleans Ballroom, fino al 1838 luogo di esclusive feste da ballo aristocratiche (famosa quella in onore di Lafayette), poi sede dei «Quadroon Balls», durante i quali le madri sangue-misto presentavano le figlie più belle ai ricchi signori di New Orleans perché, nell'equivoco e complesso rapporto intercorrente fra le classi della città, le scegliessero come amanti ufficiali (molti balli si concludevano in duelli nel St. Anthony's Garden). Dal luogo in cui sorgeva mai.son LaLurie, basta girare a sinistra, percorrere un isolato di Gov. Nichols, e si è in Bourbon Street: «Le luci brillanti, la gente, la luna, e tutto ... ». IV. Nemmeno Bourbon Street manca di suggestioni storiche. C'è il Lafitte's Blacksmith Shop, del 1772, presunta copertura alle attività piratesche dei famosi fratelli, esempio interessante d'architettura francese. C'è la casa dove, negli anni '70 dell'800, prima di partire per l'Oriente, lo scrittore inglese Lafcadio Hearn diresse una cucina per i poveri, «The Picayune». C'è il luogo in cui sorgeva la French Opera House, distrutta da un incendio nel 1919 (ancor oggi, la via si allarga nel punto dove s'allargava allora per permettere le manovre delle carrozze). C'è la Old Absinthe House, del 1806, altro luogo mitico in cui pare che si siano discussi i piani di difesa della città fra Jackson e gli onnipresenti Lafitte (vi si beveva l'assenzio proibito ... ). Ma nella notte del Vieux Carré altre suggestioni prendono il sopravvento, poiché Bourbon Street diviene sabba e carosello di s 10ni colori musica voci visi e corpi, fra prostitute creole, travestiti in lamé, bands di ragazzini neri che suonano cornetta tuba trombone, teen-agers tossiche dallo sguardo velato, imbonitori dalla voce roboante, e imbroglioni, borsaioli, prestigiatori, saltimbanchi, breakdancers che s'avvitano e piroettano sui cartoni disposti a terra ... Dalle finestre spalancate dei locali (Famous Door, 544 Club, Court of Two Sisters, Ryans Irish Pub, Cabaret, Mystick Den, Maison Bourbon, The New Blue Angel, Crazy Shirley's, Lulu White's ... ), si sprigiona un accavallarsi e rincorrersi di suoni e musiche, un'irreale, onirica fusione di ragtime, boogie-woogie, bluegrass, cajun, zydeco, rock 'n' r-oll,country music, Irish reels, blues e jazz. Qua e là, s'intravvede un vecchio pianista di colore, la voce roca, le dita che danzano sui tasti, un sorriso che non riesce a celare un'eloquente malinconia. Subito accanto, oltre l'insegna al neon che promette «Topless and Bottomless Girls», una ballerina bianca vestita solo d'un tanga si dimena sul bancone del bar. Poi, c'è la lunga teoria dei negozietti traboccanti di souvenirs, cartoline, T-Shirts, occhiali da sole con montatura di tartaruga, boccali di cera·mica, oggettini e oggettacci per la gioia dei visitatori. E ci sono i visitatori, appunto: mandrie entusiastiche di turisti europei, di texani dai cappellacci a tesa larga, di gros américains con mogli cotonate in rosa, azzurrino, violetto, di giapponesi con protesi video-cine-foto, di coppie e coppiette, di u6mini soli in caccia, e via di seguito ... Perché, in una città in cui, sventuratamente, il pittoresco è sempre in agguato, Bourbon Street è un'unica, caleidoscopica Soho americana. Il richiamo del jazz, dello straordinario passato-presente musicale, affoga qui in un mare di allettamenti e ammiccamenti pacchiani, in un tripudio visivo e sonoro di facile sensualità e baracconesca trasgressione, nel trionfo del kitsch consumistico in cui il grano si perde nel loglio. Così, Bourbon Street diviene simbolo del dramma odierno di New Orleans. Un'atmosfera di decadenza avvolge infatti la città, quel «sottile alito di malessere» di cui scriveva nel 1960Walker Percy, in The Moviegoer, ambientato a New Orleans e dintorni. In parte, è una sensazione fisica legata al clima subtropicale: in questo caldo umido, ci si sveglia al mattino sudati e con la gola dolente, mentre dagli acquitrini e dai bayous sembra soffiare un'aria di miasmi odorosi e di profumi inebrianti e al tempo stesso estenuanti. Qui, il passo è reso lento, e pesa il tempo della giornata; e sembra che un'impalpabile, invisibile nebbiolina si sia impadronita della città (o del suo nucleo più prezioso) e ne stia succhiando pian piano le energie. Ma non si tratta solo di clima. Il fatto è che New Orleans vive gli anni difficili del post-cotone, del post-tabacco, del post-canna da zucchero, e soprattutto del post-petrolio, nell'inguaribile nostalgia per i passati splendori edificati sulla schiavitù e sullo sfruttamento. La crisi dell'economia USA si manifesta qui con virulenza particolare, e la crisi petrolifera ha colpito duro: così, la Louisiana è lo stato con il più Prove d'artista alto tasso di disoccupazione (intorno al 14%: il che vuol dire che per certi settori della popolazione esso dev'essere davvero tragico), l'industria estrattiva e le raffinerie chiudono o riducono l'attività, il porto- il secondo dopo New York con i suoi centomila addetti - ora langue, la stessa popolazione della città si contrae sensibilmente, l'industria manifatturiera perde colpi, e le persone che - nell'area metropolitana - vivono in povertà rappresentano (ma i dati sono del 1979) il 17,6% contro il 12,5 nazionale. Se poi si va a guardare il reddito annuo familiare, si ha un quadro nitido della divisione in classi: nel comune di New Orleans, quasi 47mila famiglie hanno un reddito annuo inferiore ai lOmila dollari, mentre per 37mila famiglie oscilla fra i lOmila e i 20mila dollari, per 31mila fra i 20mila e i 35mila, per 1lmila fra i 35mila e i 50mila, e infine poco più di 8mila famiglie hanno un reddito annuo superiore ai 50mila dollari (per pudore, le statistiche si fermano qui ... ). I ntanto, si gonfia a dismisura il terziario, quest'escrescenza del capitalismo stramaturo e putrefatto, che grava sul resto del corpo sociale all'insegna del provvisorio, dell'effimero, dell'inutile. Mi dicono anche che lo Stato della Louisiana è uno dei più corrotti d'America, so d'inchieste che hanno coinvolto sindaci e governatori, e a quanto pare New Orleans fa la sua parte (se ben ricordo, proprio di qui veniva uno degli uomini d'affari indicati dalla «contro-inchiesta» Garrison come uno dei mandanti dell'uccisione di John F. Kennedy). Il «sottile alito di malessere» s'è fatto forse più spesso e pesante con gli anni; e d'altra parte, non diceva Bianche, in Un tram chiamato desiderio di Tennessee Williams, «Le campane della cattedrale ... Sono l'unica cosa pulita del Quarter»? Così, mi sembra che l'intera città, il gioiello incastonato fra le paludi del Delta, giochi l'ultima sua carta - quella del turismo - nella consapevolezza di puntare tutto, passatopresente-futuro, su di essa: decisa a giocare a denti stretti, a bluffare e a barare senza scrupolo ed esitazione, pur di restare a galla. Di questa lenta e angosciosa decadenza, Bourbon Street è al tempo stesso simbolo ed effetto. V. Per ascoltare il vero jazz, bisogna allora abbandonare il sabba di Bourbon Street. Ma non si deve andare molto lontano, perché tutto è vicino nel Vieux Carré. È sufficiente svoltare in St. Peter e al 726, a due passi dal luogo dove sorgeva il famoso teatro popolare di Louis Tabary, si apre la Preservation Hall, tempio del jazz di New Orleans. Ci sono stato una sera, in compagnia di alcuni amici. Abbiamo fatto la coda per un quarto d'ora, in strada. Poi, varcato il cancello in ferro battuto, abbiamo pagato i pochi dollari d'ingresso e siamo entrati in una sala al pianterreno, con il pavimento e il soffitto di legno, alcune colonne a dividere l'ambiente stretto e rr.ale illuminato, una finestra impolverata da cui tenta di sbirciare chi attende fuori il proprio turno, un paio di vecchi divani mezzo sfondati ... In fondo, accanto alla finestra, sotto le uniche luci della sala, la band: sette anziani musicisti di colore, una formazione tipica, con una front fine composta da clarinetto, tromba e trombone, e una sezione ritmica formata da pianoforte, banjo, contrabbasso e batteria. Scherzano e ridono, questi sette anziani dall'aria minuta e dimessa. Sembrano persi in un mondo tutto loro, dimentichi della presenza del pubblico: chiacchierano, si scambiano battute e allusioni oscene, esplodono in grandi risate quando la pianista risponde per le rime, giocano con un paio di bimbetti che ruzzano fra gambe e ginocchia dei pochi fortunati che han trovato posto, rigirano gli strumenti fra le mani, guardandoli o lisciandoli. Non sembrano avere una gran voglia di attaccare. Poi, la pianista accarezza i tasti, il suonatore di banjo formula un accordo, il clarinetto accetta l'invito, e cominciano tutti a suonare, limpidi e precisi, come se in realtà non avessero fatto altro che aspettare questo momento. Il passaggio dall'attesa della musica al suo improvviso dispiegarsi avviene come in sogno, sembra il passaggio dal silenzio alla parola, dal sonno al veglia, qualcosa di profondamente organico, quasi di fisiologico, la stessa cosa che mettersi a dormire o a parlare, la stessa cosa che respirare e risvegliarsi. E suonano stupendamente bene, in questa vecchia sala nuda e cadente, davanti alla folla che s'accalca in piedi, fra gli scricchiolii delle assi del pavimento e il confuso vociare che viene dalla strada. Sulla solida, geometrica base del piano, del banjo, del contrabbasso e della batteria, la front line si lancia in fraseggi mirabili, arabeschi del clarinetto, rauchi borbottii del trombone, squillanti richiami della tromba, di tanto in tanto accompagnati da una voce che è essa stessa strumento musicale, e viceversa. Lo swing, il timbro, il ritmo, la compattezza e pulizia del suono sono eccellenti. La musica è materia viva che prende forma davanti agli occhi, dentro le orecchie, sotto la pelle, ed è cangiante, mai logora o pietrificata nella stanchezza della ripetizione. Suonano con grande vitalità, questi sette anziani musicisti di colore, e - durante le pause o gli assoli altrui - si scambiano commenti e facezie, si guardano e ridono, e ciò è parte integrante di quel suonare gioioso e armonico. Eseguono St. James's lnfirmary, Didn't He Ramble, Canal Street Blues, Snake Rag, interi capitoli della storia del jazz, e concludono con due grandi pezzi: Just a Closer with Thee - con gli assolo dei vari strumenti che si succedono sommessi accumulando una sorta di compressa e Alfabeta 107 solenne energia esplosiva - e poi, annunciato da un rullo di batteria, Weather bird rag - in cui quell'energia viene alfine liberata in un'esecuzione travolgente e trionfale. È un po' come tornare alle origini del jazz, questo far seguire un brano scatenato a uno lento e maestoso: un secolo fa, in un'epoca decisiva nella storia della musica di New Orleans, durante i funerali neri, il defunto veniva accompagnato al cimitero da una band che suonava mesta commossa, e al ritorno si lanciava in quello che era un autentico «inno alla gioia», con la Side line che ballava e cantava e scaricava la tensione accumulata nel percorso di andata. Proprio quest'approccio particolare alla vita e ai suoi ritmi e cicli - che si ritrova in genere in tutte le culture popolari (un approccio che in realtà è profondamente anche se inconsapevolmente materialista) - rappresenta il nucleo fondamentale della forza e vitalità del jazz e in genere della musica afro-americana. Mentre esco dalla Preservation Hall e mi aggiro per le strade del French Quarter, non posso fare a meno di pensare alla querelle relativa alle origini del jazz. Sono un profano al riguardo, e da profano la riassumo dicendo che mentre alcuni parlano di New Orleans come della «culla» del jazz sottolineandone implicitamente le matrici europee, altri - come LeRoi Jones nel fondamentale Il popolo del blues - pur riconoscendo alla città del Delta un ruolo importante di catalizzatore, scavano soprattutto nel retrotrerra africano e mettono l'accento sulla particolare condizione sradicata e nomade del nero americano, specie dopo la Guerra Civile. Comunque sia, è certo che l'angolo compreso fra Canal Street e Rampart Street, ai margini del Vieux Carré, rappresentò per lungo tempo un luogo-chiave per la storia del jazz. Qui si apriva infatti, tra fine Settecento e metà Ottocento, l'ampia Congo Square, e poco lontano di qui, intorno a Basin Street, si venne formando, negli ultimi decenni dell'Ottocento, la famosa Storyville, il «quartiere delle luci rosse». Su Congo Square, verso il tramonto e nei giorni di festa, calavano gli schiavi di colore delle piantagioni intorno a New Orleans e ricreavano il passato africano che giorno dopo giorno si cercava di strappar loro. A due passi dalla città creola ma separata da essa per lo status particolare accordato ai suoi sangue misto, Congo Square divenne così uno straordinario laboratorio cultural-musicale: i vecchi strumenti africani si trasformavano e rinascevano a nuova vita accanto ai nuovi strumenti americani, i ritmi della Banza, della Bamboula, del Voodoo si mescolavano alle marce militari, alle quadriglie, ai minuetti, e via via s'intrecciarono a canzoni yankee, a hollers e canti di lavoro. Dopo la Guerra Civile, i Creoli vennero declassati a cittadini di second'ordine, e il progressivo avvicinamento agli ex-schiavi neri fu inevitabile. Le rispettive tradizioni musicali si fusero sempre più. Nei bordelli di Storyville, nelle «case del sole nascente», nelle bettole e nelle case da gioco, si cominciò a suonare una musica nuova, fatta dell'apporto e della contaminazione di esperienze diverse, in cui il blues e il ragtime venuti di fuori svolsero un ruolo decisivo e il clarinetto creolo trovò un posto stabile accanto al banjo di origine africana. La nuova musica, in costante evoluzione, riempì di sé le strade di Storyville e del Vieux Carré, di Uptown e di Downtown, nelle feste, ai funerali, nei locali fumosi delle madames, con epici duelli di solisti e straordinarie esibizioni bandistiche. Di significato probabilmente osceno, la parola jass prese a circolare. E quando, nel 1917, le autorità chiusero Storyville per evitare che potesse «contagiare» le truppe di stanza a New Orleans alla vigilia dell'entrata in guerra degli Stati Uniti, prostitute, giocatori e musicisti, la variopinta umanità del quartiere, lasciarono un mattino la città al suono di. Nearer My God to Thee eseguito contemporaneamente da tutte le bands del quartiere. Il jazz s'era messo in cammino. VI. Ma New Orleans non è solo il Vieux Carré, e così stasera ho preso un tram e ne sono uscito. Non è chiamato «Desiderio», questo tram, ma è del tipo che ispirò Tennessee Williams per la sua pièce famosa: vecchio e sgangherato, autentico reperto d'archeologia urbana, ha i sedili in legno disposti trasversalmente, con gli schienali mobili, una semplice tendina svolazzante a separare il posto del guidatore dal resto del veicolo, i finestrini impolverati dalle guide un po' arrugginite. E naviga avventurosamente giù per St. Charles Avenue, costeggiando il Garden District fra schianti gemiti e scossoni. Fuori, nell'oscurità, scivolano le bianche mansions che furono dei gros américains guardati con sufficienza dai raffinati signori del French Quarter. Un fitto fogliame le avvolge e le cela alla vista da lontano, per poi rivelarle di colpo, sapientemente, con le scalinate, le colonne, le verande, le facciate imponenti e movimentate. Spira tuttora un'aria di fàsto e opulenza, di arrogante ricchezza e di sognante, malcelata nostalgia per quel passato sudista che resta dentro la cultura d'America come un che d'irrisolto e traumatico, di misteriosamente inquietante. Sferragliando il tram compie una lunga curva, parallela all'ansa del Mississippi che è nascosta da ville e giardini. Traballa per St. Charles Avenue, e supera Napoleon, Jefferson, Calhoun Street. A sinistra. verso il fiume, si stende lo Audubon Park, lo zoo-giardino edificato in onore di John James Audubon: il grande naturalista visse per qualche tempo a New Orleans, conducendo gran parte delle sue ricerche nelle terre di Louisiana, e nei primi decenni del-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==