Alfabeta - anno X - n. 107 - aprile 1988

Alfabeta 107 mesi di impossessamento, rifiuta di ridurli a una coppia cusanian_a. Tuttavia ne parla e, al di là della negazione, resta il contenuto della associazione di idee. Poiché l'analogia tra la rivalità mimetica e l'angoscia dell'influenza è già abbastanza chiara, in quanto trovano entrambi un precedente in Freud, ci troviamo ad avere a disposizione la sovrapponibilità di tre coppie, tutte e tre operanti nel testo di Mal visto mal detto: quella cusaniano-beckettiana, quella girardiana, e quella bloomiana. Se Joyce e Beckett divent::1no, in Beckett, due identici contrari, il senso del misreading beckettiano di Joyce come freudiana uccisione del padre per la conquista dell'onnipotenza passa attraverso l'articolazione delle funzioni. Beckett parricida e sacrificante opera con il rifiuto, con la poetica dell'espulsione. L'astinenza dall'azione sacrificale del rinunciante (dell'uomo del mondo) coincide con il sacrificio del mondo intero. Analogamente Beckett accoppia la sua poetica negativa dell'espulsione del mondo a quella positiva joyciana della annessione del mondo intero. e i troviamo di fronte a una scissione originaria dell'Uno del tutto analoga a quella illustrata su un simbolo classico indiano che risale ai Veda: dei due uccelli situati sul ramo dell'albero cosmico, e costituenti l'unità (apparente) dell'uomo, uno mangia mentre l'altro lo guarda mangiare. 5 Occorre sottolineare che dei due uccelli vedici il sacrificante è quello che rinuncia ad annettersi il mondo e il sacrificato è quello che invece lo mangia. La scelta della funzione di contemplare ironiçamente l'ambizione di Joyce di annettersi il mondo è ciò' che permette a Beckett di trasformare in vittima il rivale. Ma, ripetiamo, tutto sta nel porsi nel luogo, sacrificale in senso nuovo, dell'indifferenza delle due valenze, interscambiabili, perché questa è la posizione del rinunciante vedico; tutto sta nell'interpretare il monto intero non come oggetto di appro- .priazione ma come un infinito e indeterminato laboratorio sacrificale. Le valenze, infatti, sono destinate a trapassare cusanianamente l'una nell'altra: l'ambizione di impossessamento si trasforma in perdita, sconfitta, fallimento e di qui in vittoria, e la rinuncia all'impossessamento si tramuta., come abbiamo appena detto, in fagocitazione dell'avversario. 3. La dissociazione del reale lacaniano nelle due parti monche del «vero» e del «reale» che agiscono, anche esplicitamente, nel testo beckettiano, non priva l'atmosfera di Mal visto mal detto di quella magia che nella speculazione dello psicoanalista opera la coincidenza tra sogno e realtà. Solo che la magia in Beckett è colta nella sua vibrazione, viene continuamente fatta e disfatta dal lirico ricomporsi e dall'ironico divergere delle due componenti. Queste, che vengono altrimenti nominate in una serie di opposizioni binarie (alcune tradizionali, come abbiamo ricordato, nel repertorio tanto di Joyce quanto di Beckett) e relative inversioni, assumono qui con una certa insistenza l'immagine dei due occhi, che hanno funzioni differenti l'uno dall'altro. Anche questa è una immagine ereditata da Finnegans Wake e rielaborata con acuta sottigliezza polemica da Beckett. C'è l'occhio che, per vedere a proprio piacimento, si chiude, e l'altro occhio che, per non vedere, sporge e si spalanca. Questa coppia di identici contrari è facilmente sovrapponibile ad altre che tendono anch'esse a rappresentare l'eterno dramma dello sdoppiamento e della ricomposizione dell'Uno. L'occhio che si chiude ammicca al «vero», che coincide con l'immaginario, l'interiore, la memoria del passato, con ciò che insomma manca del riscontro necessario alla ripetizione kierkegaardiana. L'occhio spalancato per non vedere è il «reale» irraggiungibile dell'attimo presente e del totalmente esterno, dell'inerte, dell'indipendenza dallo sguardo, di ciò che insomma manca, finalmente, del carico della coscienza. Naturalmente l'occhio che guarda dentro e quello che guarda fuori ottengono il medesimo risultato comune dei due oculi6 che, nel testo francese, versano entrambi penombra nell'ambiente, nel luogo dove il laboratoSaggi Erik Bulatov, Benvenuto, 1973-1974; olio su tela, cm. 80x230 . rio è installato. Entrambi gli occhi «tr~discono». Ma questo indifferenziato fallimento non è solo un'ironica parodia del reale lacaniano, perché la risultante negativa, ancora una volta, è raggiunta solo attraverso quella vibrazione dei due identici contrari che produce una magìa analoga a quella delle coincidenze lacaniane: la magìa dell'arte, in cui, a differenza che sul piano logico-dimostrativo, i contributi dei due occhi restano differenziati e complementari. Il denominatore comune delle coppie di contrapposizioni binarie che •popolano di belle seppur effimere differenze gli scenari apparentemente microcosmici approntati da Beckett, che è quello della ineluttabile ripartizione delle funzioni tra i due termini, può tuttavia essere rilevato al fine di porre in evidenza una importante costante delle opere maggiori e al tempo stesso un contenuto specificamente affiorante in modo più esplicito in Mal visto mal detto. Le funzioni che gli identici contrari si ripartiscono nel momento di attivazione della loro contrapposizione nei testi beckettiani sono quelle di soggetto e coscienza, esterno e interno, fenomeno attuale e percezione differita, vissuto passato e rimembranza presente. Le immagini 1di identici contrari che assolvono a queste funzioni sono le più varie, e sono anche più facilmente catal'ogabili. Ma quello che qui ci preme indicare è che, mentre i termini delle coppie risultano intercambiabili nelle loro immagini e nelle loro valenze, i testi mantengono l'articolazione delle funzioni. Questo significa che quando un termine, quale che esso sia, della coppia contrapposta svolge, per esempio, la funzione della presenza, vi è un altro termine che, quale che esso sia, assolve a quella contrapposta dell'assenza. Si può addirittu~ ra affermare che l'intercambiabilità, l'indifferenza delle immagini e delle valenze degli identici contrari peckettiani riposa sul fondamento dell'irriducibile differenza delle loro funzioni. È quindi doveroso esaminare la coppia delle funzioni, e da questa indagine emerge una costante, quella di uno sdoppiamento dell'Uno che è frattura e perdita, sfasamento e caduta e al tempo stesso si propone come unico possibile . rimedio a questa condizione di decadimento. Per tornare alle immagini, il metafisico strabismo della coppia di occhi di Mal visto mal detto, riconducibile per brevità alla contrapposizione di io e mondo, si addolcisce nella accattivante analogia con i due uccelli vedici che compendiano con i loro gesti complementari la natura dell'origine dell'esistente. Eternamente l'uno guarda l'altro che mangia. Non è detto che ciascuno dei due abbia sempre la medesima funzione, ma in ogni istante le due funzioni sono compresenti, e ciò rappresenta il mondo della caduta come esso è e il rimedio alla caduta come esso è possibile. Perché, se la frattura di soggetto e coscienza, all'origine del numinoso, si ripete nella creazione del mondo come mito della frattura di dio e del decadimento in mondo di una parte di dio, c'è però una terza ripetizione della scissione dell'identico in due identici contrari, ed è il sacrificio attraverso il quale creato e creatore, bonificando il laboratorio della frattura, ossia il mondo, con l'esperimento restitutivo dell'olocausto, tendono asintoticamente a ricongiungersi in unità. Il misterioso rapporto tra le coppie di identici e il sacrificio trova nelle tesi di Girard una radicale ipotesi di soluzione che non è il caso qui di riprendere,, se non per rilevare come fatalmente la poetica dello scarto (il procedere «a forza di detriti», come dice Mal visto mal detto) dovesse far convergere l'attenzione di Beckett sulla medesima «pietra scartata dai costruttori» sulla quale lo studioso francese erige tutta la sua teoria: la pietra sacrificale. 7 ·Ma anche il laboratorio beckettiano dove si compie l'esperimento della parola restitutiva, analogo come si è detto al laboratorio sacrificale, in quanto anche in esso si compie alla rovescia l'esperimento divino della creazione, assume in Mal visto mal detto l'inquietante immagine mondana di un vero e proprio laboratorio di pietra, «reale» in senso lacaniano in quanto magica coincidenza, nell'economia di questa opera letteraria, tra gli identici contrari dell'immaginazione e delpagina 33 la realtà. L'importanza del luogo dove si svolge in immagine la cerimonia artistica in Beckett, da L'innominabile in poi, non fa che crescere, e il temporaneo ultimo approdo sembra ancorarsi a quel laboratorio di osservazione astronomica, e forse di olocausti, sul quale Enoch Brater ha richiamato la nostra attenzione. In questo luogo gravita quel personaggio femminile in cui sarebbe vano ricercare i connotati di una sacerdotessa druidica (anche volendo ammettere la rivisitazione romantica di questo relitto irrimediabilmente preistorico), ma che tuttavia si muove, in rapporto alle pietre archeologiche che l'attraggono, ed è circondata da oggetti e fantasmi in modo tale da suggerire che attrice e scenario siano leggibili come, per così dire, materializzazione di quel senso sacrificale delle funzioni, costanti in tutta l'opera di Beckett, degli identici contrari, che abbiamo voluto sottolineare. • Allo sdoppiamento connesso con l'agone degli identici contrari sembra non esservi rimedio. Tuttavia nelle due righe conclusive di Mal visto mal detto l'autore lascia balenare una felicità possibile, benché fuggevole, con brusca contrapposizione rispetto alle immagini di fagocitazione appena evocate. Non si tratta di una lusinga escatologica: l'attesa del senso finale è attesa di un nulla sentito dai più come intollerabile (e comunemente sostituito da presenze rassicuranti e provvidenziali nei cui confronti Beckett ha sempre esercitato la sua tagliente ironia), mentre l'arte costituisce il luogo del distacco e quindi del sollievo del rinunciante, che così si sottrae alla cieca necessità del ciclo della nascita-morte-resurrezione. Piegando e ripiegando un foglio (dove la singola pagina, ancora come in Finnegans Wake, sta per l'Opera e dunque per l'intero corpus della letteratura, «one thousand and one stories, ali told, of the same», 005.29), fino a tagliarlo in pezzetti, fino a ridurlo a frammenti di parole difficilmente decifrabili, fino a sfiorare il nulla, Beckett sacrifica «tutto», ma al fine di conquistare quella che, coerentemente con le premesse della sua poetica, costituisce l'unica felicità possibile. Per questa via la drastica riduzione si capovolge in massimo potenziamento. Fatta di situazioni labirintiche che tendenzialmente riportano al punto di partenza, l'opera beckettiana indica, già fin da Murphy, anche la via d'uscita dal labirinto, una tecnica di fuga dal samsara. ; Questo testo è stato letto al dipartimento di ricerche filosofiche della II Università di Roma 1'8febbraio 1988. Note (1) Enoch Brater, Cromlechs and Voyelles, in AA.VV., As No Other dare Fai[, London, John Calder, 1986. (2) V., per es., James Cornell, 1 primi osservatori. Alle origini dell'astronomia, Milano, Feltrinelli, 1983. Cornell nota che le pietre dette sarsen sono «localmente descritte come 'montoni grigi' a causa della loro somiglianza con greggi ovini al pascolo» (p. 60), e che a Stonehenge si trova una grande pietra comunemente chiamata «slaughter stone». (3) Quanto alle implicazioni relative all'immagine della polvere in Beckett, v. Aldo Tagliaferri, L'invenzione della tradizione, Milano, Spirali, 1985, p. 135. (4) Per una analisi dettagliata si veda Nathan Halper, The Date of Earwicker's Dream in J .P. Dalton e Clive Hart (ed.), Twelve and a Tilly, London, Faber and Faber, 1966. (5) In quale senso i due uccelli vedici costituiscano la ripartizione sacrificale dell'Uno (in soggetto e coscienza) e al tempo stesso la rimonta sacrificale della frattura, e quindi siano l'immagine della condizione umana, è detto con efficace semplicità in una frase di Roberto Calasso, che si rifà appunto ai classici indiani: «Atto sacrificale: qualsiasi atto dove chi agisce contempla se stesso mentre agisce. La vittima, l'offerta è chi agisce. Il sacrificante è l'occhio che lo contempla» La rovina di Kash, Milano, Adelphi, 1983, p. 180. (6) La parola Oculi compare nel testo francese, mentre in quello inglese essa viene tradotta con skylights. Joyce giocava sul doppio senso di Oculi (quello latino e quello francese) in Finnegans Wake. (7) In Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (Milano, Adelphi, 1983) René Girard si riferisce al vangelo di san Luca: «La pietra che gli edificatori avevano scartato è quella che è diventata pietra angolare?» (20, 17).

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