Alfabeta - anno X - n. 107 - aprile 1988

pag:na 32 ne: non la liberazione dei desideri (i rapporti sessuali della paziente con il cognato), ma la liberazione dal desiderio che guarda al godimento del padre come lo stampo che dà forma a ogni atto della propria vita. Faccia a faccia con questo godimento, è il fondo psicotico che si costituisce nel soggetto, in ogni soggetto, prima dell'età dei quattro anni, e che nella storia del soggetto adulto può continuare a minacciare quella costruzione di difesa dal godimento del padre che è, attraverso la rimozione, la nevrosi. L'urina spegne il fuoco, ma è la stessa «forma», la macchia, nella psiche, al pari di quanto avviene per le macchie, gli ocelli sul corpo degli animali, a dirci di che fuoco si tratti. Il «rospo» del sogno è da un lato la «macchia» senz'altro senso che la funzione di rievocare la presenza, il marchio del padre, dall'altro la presenza dell'animale con la quale riaffiora la funzione di rappresentazione di quanto è avvenuto intorno all'età dei quattro anni, ma anche il premere di quanto nell'uomo resiste a qualsiasi assimilazione simbolica e discorsiva, la forma minacciosa che Freud ha chiamato Saggi das Ding, la Cosa. Una forma, quindi, in sofferenza, premuta dall'apparizione nel reale del fondo psicotico, e tuttavia mezzo di cura: una «close similarity» (Darwin), una stretta somiglianza tra le forme viventi attestata dall'essere l'uomo e gli animali «inferiori» soggetti alle stesse malattie e sensibili agli stessi farmaci, per la quale l'uniformità è un processo, non uno stato, la gestazione e la maturazione influenzate dalle fasi lunari, gli stessi processi di guarigione delle ferite, il proseguimento nell'uomo di un certo potere di rigenerazione delle mutilazioni. Assistiamo a un «lavoro» che si evidenzia in analisi e che l'analisi stessa promuove. Se nelle macchie e nei colori individuiamo il legame esistente tra uomo e animale (nei sogni le stesse «macchie» e le stesse gradazioni di tinta si dispongono in modo identico a come Darwin ce le descrive sul cavallo, sul colombo o sui fagiani) e articoliamo meglio la funzione dell'animale nei momenti cruciali della storia del soggetto (ricordiamo i lupi nel caso dell'Uomo dei lupi, il cavallo nel caso di fobia del Alfabeta 107 piccolo Hans), questa apparizione non è fissa e riducibile a un catalogo inerte. Essa soggiace a un mutamento che in un concatenarsi di sogni prosegue di sogno in sogno e ci dà appunto l'idea di una morfogenesi che è una metamorfosi, 'un lavoro simile al rimodellamento o al restauro di una figura, o del genere di quello con cui con dei filati si fabbrica una rete o simile ai processi velocissimi con cui da un filamento un embrione ricapitola la storia naturale entro se stesso. Nel timore di esserne o di non esserne modificati, riconosciamo una rappresentazione che ruota intorno al potere di un'analisi di modificare la nostra fisionomia. Ma la vera modificazione concerne gli «oggetti», umani, animali o «fisici», cui un'analisi restituisce il valore di documento e testimonianza che vediamo da Joyce conferito anche alla nube di vapore che esce da una pentola che bolle («Itaca», penultimo capitolo di Ulisse). Istinti di vita e istinti di morte si combattono intorno al destino di una forma. Il sacro di Beckett I n Mal visto mal detto una donna scruta il cielo e il paesaggio come per cercarvi i segni ricorrenti dei cicli della natura. L'attesa è costellata da lapidari cenni descrittivi, da divagazioni della memoria, da particolari concreti ma «mal visti», apparentemente irrelati al senso dell'attesa. Nel tentativo di identificare almeno il luogo nelle cui vicinanze la vecchia solitaria osserva il suo mondo, Enoch Brater ha avanzato, non senza cautela, una ipotesi che può essere utilizzata preliminarmente per una lettura di questo testo, molto denso e frammentato, intorno al quale si è creato, con la complicità della generale latitanza della critica, un alone di cripticità. Secondo Brater alcuni elementi testuali rinviano a un sito archeologico dove i Druidi, almeno secondo la fantasiosa e suggestiva rivisitazione romantica, osservavano i movimenti degli astri e compivano sacrifici animali o umani. 1 Si tratterebbe, insomma, di una località simile a Stonehenge, o ai cromlech situati in località non distanti da quelle in cui Beckett trascorse la sua giovinezza. 1. Riassumiamo brevemente alcune osservazioni di Brater che suffragano la sua ipotesi. Nel corso di alcune cerimonie rituali gli antichi Celti coprivano il loro corpo con una sostanza vegetale che li faceva diventare «vagamente blu» e si decorav_anoi capelli con un'altra sostanza che irrigidiva le loro capigliature all'indietro (entrambi i particolari trovano un riscontro nella descrizione del personaggio beckettiano); l'area di Stonehenge, il cui diametro è di circa 620 piedi, è marcata da 56 chalkstones che indicano i cicli della luna e somigliano molto ai chalkstones di cui parla Beckett nel suo testo; nei riti druidici erano presenti 13 persone e Brater osserva che la tredicesima qui potrebbe essere proprio la vecchia nel ruolo della vittima sacrificale; i manti dei Druidi erano chiusi da una spilla d'oro e d'argento che ricorda l'allacciabottoni descritto da Beckett; infine aprile, il mese citato nelle non meno problematiche collocazioni temporali, era il mese in cui si celebravano i riti celtici. Scartabellando altri testi non è difficile trovare altri particolari che potrebbero essere inseriti agevolmente in questo mosaico interpretativo. 2 Il meccanismo dell'iperdeterminazione, dello stratificarsi delle origini e degli eterni rinvii del senso, delle formazioni di compromesso, i cui effetti sono sempre presenti nei testi di Beckett, sconsiglia le identificazioni troppo rigide e univoche e giustifica, dunque, la prudenza di Brater, il quale tuttavia ci dà la netta impressione di troncare il discorso là dove, a rigore, occorrerebbe iniziarlo. Basta accogliere gli accenni, facilmente documentabili, ad altre opere beckettiane perché l'interpretazione acquisti connotati ben più ampi e problematici. Si consideri per esempio il tema della macellazione e la pregnanza specifica che esso assume in un testo in cui il numero 12 può alludere anche agli apostoli e l'agnello a Gesù, secondo un piano di lettura sostenuto da Benedetta Cascella LUOGHI COMUNI pag. 61 Lit. 8.000 Un obiettivo inquadra percorsi e incantesimi della città. come metafora dei luoghi dell'anima. Lo stile. prezioso. crea una suspance~1ttraverso la strategia e la sapienza della dilatazione dell'istante: lavori in corso del tempo. Tutti i personaggi dei quattro racconti sono replicanti di un io unico che viene raggiunto. alla fine. da ogni cosa e da se stesso. attraverso una spirale aperta. CORPO IO Via Maroncelli. 12 Milano Tel. 02/6.5-Hl 19 Aldo Tagliaferri un riferimento al Golgotha e alla discesa compiuta in aprile da Gesù e dunque, secondo il procedimento telescopico così frequente in Beckett, con implicazioni che toccano anche la problematica di Finale di partita; oppure si consideri la rapida formulazione dell'ipotesi, non priva di rapporti con il Golgotha, secondo cui tutto avrebbe luogo «nel manicomio del cranio»: il concatenarsi di queste autocitazioni ci autorizza a riconoscere qui una ripresa, mutatis mutandis, di una tematica già saggiata nella trilogia, ovvero in un'opera dove erano frequenti i riferimenti critici, più o meno mascherati, a Finnegans Wake e alla poetica sulla quale poggia l'opera di Joyce. Prima di affrontare la questione che ci sta più a cuore, ossia il rapporto tra Joyce e Beckett quale si configura attraverso una lettura di Mal visto mal detto, è necessario constatare per quali vie anche quest'ultima opera si rapporta a Finnegans Wake, e dunque travalicare il riferimento, parziale e riduttivo, al mondo druidico. Come quello di Finnegans Wake, il testo beckettiano allude alla storia e al mito, a una esteriorità (un paesaggio) e a una interiorità (ciò che avviene potrebbe accadere solo nella coscienza dello scrittore), a un personaggio particolare e a tutti gli umani. Accingendosi ad addentrarsi nell'individuazione di alcuni nuclei tematici rapportabili all'opera di Joyce, occorre precisare subito che tali nuclei subiscono, in Mal visto mal detto, un trattamento di condensazione che mira, come già accadeva nella trilogia, a svuotarli delle valenze allegoriche finali ad essi assegnate da Joyce. I referenti sono rimodellati secondo un criterio paragonabile a quello che ispira l'architettura detta «di spoglio», operando su materiali già utilizzati in una delle più sottili e sistematiche operazioni di riciclaggio di mitologemi mai realizzate nella storia della letteratura. In questo senso interpreteremo, anzitutto, l'indicazione secondo la quale la bicocca dalle pareti bianche in cui vive «questa vecchia così morente» ha un tetto di lastre nere di ardesia «provenienti da un maniero in rovina. Cariche di storia». Prima che Finnegan si risvegli, ovvero resusciti, la prima luce dell'alba colpisce proprio i monoliti di Stonehenge: «The Spaerspid of dawnfire totouches ain the tablestoane ath the centre of the great circle of the macroliths» (594.21). In questo luogo delle origini della storia riconosciamo alcuni tratti di quello in cui Beckett situa la sua persona femminile, che ha molti tratti in comune con A.L.P., rassegnata alla propria fine, nella conclusione di Finnegans Wake, dopo aver percorso con la memoria gli anni della fanciullezza: «I am passing out. O bitter ending!» (627.34). Nel testo beckettiano, intorno alla minuta signora (si ricordi la «piccola signora in attesa» di Joyce), vestita di nero come una vedova, ruotano numerose «citazioni» da Joyce, che qui esemplifichiamo: l'insistente presenza di 12 fantomatici personaggi secondari (dove il numero canonico, con mossa retorica tipicamente beckettiana, viene introdotto «a caso», .. u o. ~ o e: og ~ ,.,, ::, (Il o. e: ~~ ..e: u o u o ~ ~ o g ~ u e: g ·s ~ -t; ·-.-~ . -~ ::I ,.,, ·- u o cll e .o ,.,, cll "Cl> • (Il u - ... ::I ·- ,.,, ,.,, o u •- ::, i::> e - u u- ,.,, •- e e • .o - ·;;; u ,.,, ;a ::: i::> u i::> cll cll u -~ .o u u - ·e .o (Il E (Il.:·- .o - u - i:, cll ·- ~ cll e ,.,, N E o. u·-u e cll-- e,.,,,.,, u-- cll e o cll ... - ·- o C'3 E u ... u E E Ucll--Oec- .._-::, ,.,, - - ,.,, u ... u O"' e::·- O v, U U u E c'il(llUcllcuu'- c u i::> ~ ·- E = o.= u ,.,, u o. o ::i cll .o o. (Il (Il u E ::i -- (Il ..e: e u a~ ,.,, u U - e ·- ~ ;,,.- u -- benché lo stesso Beckett ne avesse illustrato le valenze simboliche in Our Exagmination round His Factification.. .); il gioco delle frequenti opposizioni binarie (bianco-nero, sistole-diastole, alba-crepuscolo ecc.) che Beckett tende, come al solito, a sfumare in un grigiore intermedio e purgatoriale; i parallelismi tra i destini dell'agnello, del Salvatore e della persona beckettiana; il ruolo di custode di un tumulo assegnato a A.L.P.; la misteriosa missiva di A.L.P., che trova un equivalente miniaturizzato nel frammento di un foglio di agendina «sotto la polvere»;3 il messaggio stesso del foglio, ridotto a due parole monche (mardi e mercredi in francese, tuesday e thursday in inglese) che rinviano a quel passo di Finnegans Wake in cui si parla di un funerale che avrà luogo toosday (presumibilmente il funerale dell'eroe), con un gioco di parole che allude anche a two days, a un duplice trapasso e dunque alla problematica dello sdoppiamento (617.21);' i martellanti riferimenti ai cicli astrali e stagionali; e poi il riferimento al testo come se esso fosse un teatro, al quale talora allude anche il rideau beckettiano. La conclusione di Mal visto mal detto rielabora il passo in cui i presenti alla veglia di Finnegan mangiano ciò che l'eroe joyciano possedeva, compreso il corpo, con allusione anche all'ostia eucaristica (Joyce: «and sink teeth through that pyth of a flowerwhite bodey [... ] schlook, schlice and goodridhirring», 007.14 e sgg.; Beckett: «Not another crumb of carrion left. Lick chops and basta»). Quest'ultimo arrangiamento beckettiano, che appare verso la fine del testo, dove erompe con una tensione drammatica precedentemente controllata o smorzata da immagini quasi arcadiche, acquista forte rilevanza antitetica: mentre Joyce, intento a costruirsi una resurrezione laica, concludeva la propria opera con un trapasso verso l'immensa vita dell'Oceano, nel quale confluiva anche A.L.P., personificazione della appassionata affermazione femminile della vita, Beckett mette in rilievo, con una negazione tassativa («No.»), una prospettiva di fuga dal banchetto sacrificale. È essenziale, a questo punto, chiarire come e perché l'opera di Joyce venga incorporata nel testo di Beckett secondo un processo analogo a quello della fagocitazione del corpo del Padre. 2. Gli identici contrari beckettiani, articolati in immagini (molteplici), in valenze (interscambiabili) e in funzioni (eterne) raggiungono anche quella particolare opposizione binaria di precursore e discepolo che Harold Bloom teorizza come angoscia dell'influenza e misreading. Fare della propria opera la copia, il duplicato del mondo, attraverso l'occhio fisso e sbarrato, oppure farne il radicale rifiuto, il rigetto, attraverso l'occhio chiuso su se stesso, costituisce una coppia di identici contrari. Dunque la poetica e l'opera di Joyce e quelle di Beckett, per brevità Joyce e Beckett stessi, sono una coppia di identici contrari. René Girard, parlando degli identici avversari della mio .... - o ,.,, 2 e o u u u e - oo~ ~!::e e e .g _o_ - u.- ,U . ' o u ... cO oc z ~

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