Alfabeta - anno X - n. 107 - aprile 1988

Alfabeto 107 A più voci pagina 31 Taccuini La rissa<<culturale>> A proposito delle ultime risse «culturali», che hanno raggiunto il loro punto massimo di incandescenza con le trasmissioni di Mixer cultura, come i nostri lettori ben sanno, qualcuno ci ha subito ricordato che intellettuali e letterati si sono sempre insultati tra loro e non sono mancate le dotte citazioni in lingua latina. Ma è ovvio che le risse «culturali» in epoca di mass media hanno un senso e effetti diversi da quelli che si verificavano a corte o nelle cerchie dei mecenati per screditare l'avversario e impadronirsi delle commesse altrui. Oggi gli interessi di bottega sono di proporzioni così ridotte da avere poco peso come cause possibili degli scontri. No, credo che la questione investa piuttosto il principio di identità dei protagonisti di attività che rischiano ogni giorno di rimanere confinate ai margini di tutto ciò che conta e pesa nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Pur di far credere di essere vivi e importanti alcuni letterati sono disposti a starnazzare e di fatto starnazzano senza vergogna. Dunque, perchi:: lo fanno? A me pare che la Antonio Porta maggior parte degli scrittori, e perfino dei poeti, abbia perso fiducia nell'opera, che richiede ferree capacità di resistenza e infinita applicazione, e punti allora tutta la posta in gioco sulla pubblicità di se stessi. Il narcisismo, l'ipertrofismo dell'io da difetto viene trasformato in merce di scambio: fa notizia e dunque è vendibile al miglior offerente, con o senza esclusiva. I risultati sul piano pratico sono modesti e gli effetti perversi di simili effimere affermazioni risultano essere più forti delle partite da ascriversi all'attivo. Se restiamo, come mi pare giusto, sul piano contabile del dare e dell'avere, possiamo iscrivere nella colonna dei profitti qualche migliaio di copie vendute d'impulso in tempi brevi; ma nella colonna delle perdite possono essere iscritte ancor più copie non vendute per l'altrettanto immediata repulsione da parte di molti lettori che contano e fanno opinione sulla lunga distanza. Che cosa pensare di scrittori e poeti che mirano a un pubblico disposto a farsi suggestionare dallo scandaletto televisivo di Mixer? Semplice, che hanno sbagliato target, che hanno mirato a un obbiettivo inconciliabile con la propria opera che conserva, nonostante tutto e in quasi tutti i casi di questi ultimi tempi, una ragguardevole e rispettabile dignità letteraria. Ingenui, allora, o disperati per la situazione di marginalità? Di certo molto ingenui, perché non si rendono conto fino in fondo di quanto vengono strumentalmente utilizzati dai mass media. Su questo punto vede bene Giovanni Raboni che denuncia «L'interesse - da parte di chi in µn modo o nell'altro detiene e amministra il potere - di screditare e priori presentandoli come 'cattivi maestri' di maniere, oltre che di idee, tutti coloro che per professione o abito mentale potrebbero costituire un sia pur lieve inciampo alla fabbrica del conformismo e del consenso» (cfr. «L'Europeo», 12-18 marzo 1988). Con lucidità è intervenuto anche Giorgio Bocca. La sua Lazar Gadaev, denuncia è ben motivata. Scrive Bocca che di fronte ai cambiamenti intervenuti nelle strutture dell'informazione e dello spettacolo, gli intellettuali si dedicano a due esercizi suicidi: elogiano tutto ciò che li sta emarginando, lasciando passare di tutto con obbiettiva, paurosa caduta del livello della criticità («La nostra bocca non solo è buona, ma buonissima»); in secondo luogo rovesciano tutte le colpe sulla cultura di massa e sulle leggi dell'audience mentre dovrebbero rendersi conto di praticare una cultura «senza fatica e trasgressioni senza costrutto». Non distinguono, in definitiva, «tra il pensare e il campare» (cfr. «L'Espresso», 20 marzo 1988). Questi esercizi suicidi di categoria, simili a quelli delle balene che vanno a morire sulle coste in seguito a qualche misteriosa catastrofe mentale, diventano ancora più dannosi per una ragione che non mi pare sia stata messa in rilievo da alcuno: le risse hanno luogo nello stesso momento in cui i mass media più culturalizzati. in guerra feroce tra loro, tentano di screditare con ogni mezzo a disposizione la stampa più propriamente culturale. Qualcuno è arrivato a dire rhe k ri,·iste culturali sono carenti non solo sul piano dell'invenzione giornalistica. ma rhe 1101, tengono conto dell'impaginazione. 110 dei titoli, ecc., che ripetono banalmente sdt1..'- ·mi già visti, incapaci come sono di «esprimere contrasti di identità, che è poi la domanda di fondo dell'odierno mercato culturale». Si esprime così, come è evidente. una grande insofferenza per ogni tipo di approfondimento, giudica_to «fuori del mercato». Appunto, è ben quello che vogliamo, sottrarci alle esigenze volgari del mercato, ed evitare che i «contrasti di identità» diventino risse per far vender più copie agli altri. ·su questo punto, e solo su questo, ha ragione il conduttore di Mixer cultura, Alessandro Bagnasco, quando dice che se non si arriva alla rissa nessuno si occupa di trasmissioni culturali e che solo con le risse e le volgarità da osteria lui, Bagnasco, ha conquistato le prime pagine nazionali. Osano dunque affermare che l'unica strada, per quel che riguarda la cultura, è quella imboccata da loro, grandi mass media settimanali, anche «se ci vorrà del tempo prima Uomo seduto con uccello, /984; bronzo, cm. 30x25x20 di vedere i risultati» delle nuovissime linee di intervento. Nel frattempo i risultati, pubblicati dal solito concorrente nazionale, segnano un decremento diffusionale del -1,3%. Viene allora il sospetto che le politiche editoriali, diciamo meglio: le guerre editoriali in atto, sono considerate tanto pericolose da far saltare i nervi anche a chi avrebbe le ·carte in regola per non ridursi a sparare a zero contro i compagni di strada meno fortunati (cioè fuori dell'area decisionale del potere). (Cfr. «prima», marzo 1988.) Se è questa, come credo, la cornice delle risse «culturali», occorre dire che gli scrittori e gli intellettuali che si sono prestati e si prestano alla bisogna, non potranno che risultare, tra breve, ancora più emarginati di prima, senza mercato e senza onore. Ho scritto «tra breve» perché il segnale della fine, dell'«adesso basta, tutti a casa e state buoni», lo ha dato per l'appunto «L'Espresso» (sempre nel numero del 20 marzo 1988 già citato per Giorgio Bocca). Si è passato il segno, in questo gioco al massacro, dunque c'è da preoccuparsi, dicono loro. Ma è facile leggere, dietro la finta volontà di moralizzazione, che tutto ciò. ormai. non fa e non farà più notizia per 1111 bel po' di tempo. Come fuoco d'artifa:io finale. come botto conclusivo ecco un bel colpo di coda: poeti e scrittori che si prestano a autodenigrarsi, pronti a cogliere l'ultima occasione di autopubblicità. D'ora in poi le occasioni saranno più rare: i clown hanno stancato il nuovo Principe, e il pubblico sta già pensando ad altro. Ha capito che si trattava di ùn tipico travasare «vuoto nel vuoto», come si diceva una volta.

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