Alfabeta 107 Wittgenstein oltre Wittgenstein Aldo G. Gargani ' E stato il tratto più saliente dell 'autocomprensione che Wittgenstein ha avuto del suo insegnamento e della sua opera la personale convinzione che il suo lavoro intellettuale non era destinato a formare una scuola di discepoli, né a costruire una teoria sistematica, ma a produrre qualcosa che era utile per continuare a riflettere in una certa direzione di pensieri, e dunque anche un'opera deliberatamente aperta alla utilizzazione e alla continuazione da parte di altri, come si fa di ogni strumento (in questo caso di uno strumento idoneo per pensare quelle inquietudini, quei disagi e crampi mentali che prendono il nome di problemi filosofici). Ma questo richiamo di Wittgenstein è stato fondamentalmente disatteso ed è per questo che opportunamente Diego Marconi scrive nel suo libro che «la filosofia analitica, che in realtà non ne ha mai voluto sapere di Wittgenstein, continua a richiamarsi al Tractatus (ignorando le critiche che Wittgenstein stesso gli aveva rivolto) e persegue il dispiegamento completo della struttura logica del nostro linguaggio; oppure costruisce marchingegni formali che diano corpo a 'presunte intuizioni metafisiche'; o insegue gli scienziati sul loro terreno» (p. VIII), e constata che «è possibile pensare autonomamente e - e anche in modo sistematico - in relazione a Wittgenstein: su di lui hanno spesso scritto meglio i filosofi (da Feyerabend a Habermas, da Sellars a Rorty) che gli esegeti e gli storici della filosofia (conformemente ad un auspicio che Wittgenstein ripeté dall'inizio alla fine della sua attività filosofica)» (p. 108). Marconi nel suo libro ripercorre così le più influenti costellazioni tematiche e le principali situazioni problematiche dell'opera di Wittgenstein commisurandole ai modi nei quali sono stati pensati alcuni orientamenti della semantica attuale, per esempio il privilegiamento della funzione denotativa assegnata ai nomi propri in relazione al ruolo delle variabili individuali nel Tractatus logico-philosophicus (p. 43), e ancora il legame della concezione wittgensteiniana (propria del periodo intermedio, fine anni venti-principio anni trenta) della legge scientifica non come un enunciato controllabile, ma quale istruzione o ricetta (Anweisung), per se stessa non verificabile, per formulare enunciati particolari suscettibili di controllo empirico con la critica popperiana dell'induzionismo, con la Sintassi logica del linguaggio di R. Carnap e con l'epistemologia di I. Lakatos articolata su un nucleo interno impervio alla refutazione empirica circondato da una cintura di ipotesi ausiliarie esposte invece alle intemperie dell'esperienza osservativa (p. 66). Contestualmente Marconi ricoCfr • • ecens1om struisce lo sviluppo delle più importanti aggregazioni tematiche wittgensteiniane riflettendo ..sui modi nei quali esse possono risultare plausibili in base alle norme della criticità espresse dal filosofo austriaco e inoltre alle istanze di quella riflessione critica che le rende plausibili per noi, in quanto per parte nostra non ci rassegniamo a nessun criterio che non sia quello del miglior sforzo di criticità che siamo capaci di produrre. Marconi constata nell'arco di sviluppo dell'opera di Wittgenstein il ruolo decrescente dell'approccio logicizzante a favore di un'interpretazione di tipo antropologico dei fenomeni linguistici (inclusiva delle procedure matematiche) che peraltro si sottrae al pericolo di cadere in quella forma di scientismo antropologico mascherato, paradossalmente legato a discorsi di emancipazione politica fioriti nel corso degli anni sessanta, e che è invece essenzialmente destinato a sottrarre la nozione di linguaggio e di giuoco linguistico alla strategia fondazionalista dell'evidenza mutuata dalle scienze fisiche, oppure dalla sfera del mentale o ancora dalla batteria dei calcoli formali. Proprio perché i giuochi linguistici sono emancipati dal fondamento di una norma prescrittiva e sono rimessi semplicemente alla loro contingenza fattuale, Wittgenstein può aprire un nuovo discorso nell'àmbito della logica e della matematica che, anziché esorcizzare la contraddizione come un tabù, al contrario milita - contro il logicismo di Frege e di Russe) e contro il formalismo di Hilbert - allo scopo di restituire un diritto di cittadinanza e un ruolo non banale alla contraddizione. È significativo anche in questo caso dell'impostazione di questo libro come Marconi riesca a fornire una migliore comprensione della posizione wittgensteiniana sulla contraddizione discutendola in relazione allo sviluppo delle logiche devianti e paraconsistenti che sono state sviluppate in anni recenti nella cultura anglosassone (p. 73 e sgg. ). Pensando l'eredità di Wittgenstein - cioè le idee che Wittgenstein ci ha fatto pensare e le idee che possiamo elaborare e formare per il fatto che continuiamo a pensare con esse e oltre di esse, là dove si dischiude una nuova soglia al nostro pensiero - Marconi mostra come dal futuro dell'opera di Wittgenstein si possa gettare una luce retrospettiva su ciò che essa è stata, per comprenderla di più e meglio. Così, l'approccio anti-fondazionalista e antropologico (in un'accezione non empirica e fattuale, bensì concettuale e speculativa) dell'opera del secondo Wittgenstein apre alla dottrina della pluralità dei giuochi linguistici tra loro diversi e alternativi, ma apre anche alla sua eredità epistemologica profilata nel dibattito sulle concezioni dei paradigmi (Th. Kuhn), dell'anarchismo metodico di P. Feyerabend, degli schemi di decidibilità razionale (H. Putnam), Lev Tabenkin, Sonno, 1987; olio su tela, cm. 125xl90 pagina 25 che oggi si condensa nella discussione sul relativismo culturale, sulla questione in altri termini se esista o no un vocabolario che renda tra loro commensurabili teorie scientifico-filosofiche derivate da schemi concettuali differenti e da spostamenti semantici subìti dai termini utilizzati. È questo l'argomento dell'ultimo e denso capitolo del volume, «Altre ragioni», nel quale Marconi caratterizza la posizione di Wittgenstein nei termini di un relativismo virtuale, cioè di un discorso che sottrae i nostri linguaggi naturali all'ossessione metafisica dell'inesorabilità e della fondatezza autoesplicativa mediante la considerazione di una classe pressoché indefinita di giuochi linguistici differenti alternativi tra loro, a proposito dei quali si parla di regoli di pasta anziché di regoli rigidi, di cataste di legna in base all'estensione della loro area prescindendo dalla loro altezza, di scambi commerciali tra valori non equivalenti, di una classe di giuochi linguistici attraverso i quali si traccia un'intera morfologia di differenze che nondimeno· non consentono qualsiasi diversità e qualsiasi alternativa dal momento che la loro sterminata proliferazione resta pur sempre un'estensione analogica delle forme del nostro linguaggio, visto che, come opportunamente ci ricorda Marconi, se un leone un giorno si mettesse a parlare noi non potremmo comprenderlo. Quella variegata morfologia di giuochi linguistici è riconosciuta ogni volta ancora come
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