Sollecitudo rei socialis Molti commentatori hanno rilevato nell'enciclica Sollecitudo rei socialis importanti elementi innovativi sul piano dottrinale. In particolare: 1) una radicale svolta «terzomondista--: indicando nella contrapposizione politica, economica e militare fra capitalismo liberista e collettivismo marxista (accomunati nella condanna) la causa del mancato sviluppo della maggioranza della popolazione mondiale, la Chiesa ha «preso partito» per i poveri, si è schierata politicamente con il Sud del mondo; 2) un approfondimento del significato etico del messaggio cristiano: si è parlato (con riferimento a Weber) di transizione dall'etica dell'intenzione all'etica della responsabilità; non fare il male non basta più, bisogna fare il bene: la coscienza dell'interdipendenza dei problemi dello sviluppo impone a ogni essere umano di sentirsi responsabile del mondo; 3) un nuovo «internazionalismo» della Chiesa fondato sulla valorizzazione della solidarietà come virtù cristiana: la scelta per i poveri non sarebbe più ispirata esclusivamente alla tradizionale virtù della carità, in quanto viene rivendicata la costruzione di un superiore ordinamento internazionale, capace di agire per l'unità del genere umano e di indirizzare in senso solidaristico le attuali spinte verso uno sviluppo squilibrato. Mi pare utile spendere qualche parola per invitare a un giudizio più prudente. Per quanto riguarda in primo luogo la svolta terzomondista, occorre ricordare che il documento papale dichiara esplicitamente che la scelta non va interpretata come «terza via», alternativa ideologica a capitalismo e socialismo, bensì come indicazione di «teologia morale». Da millenni Folco Portinari 1. Edoardo Sanguineti Bisbidis Poesia Milano, Feltrinelli, 1987 pp. 102, lire 15.000 2. Emilio Facciali Cfr \ evidenziatore la Chiesa dichiara di essere per i poveri, ma non ha mai detto (né lo afferma oggi) di essere contro i ricchi. Baget Bozzo (cfr. «La Repubblica» del 23 febbraio) afferma che nel Terzo mondo la distinzione fra spirituale e politico non funziona; è vero, ma ciò riguarda l'interpretazione che i poveri possono dare del messaggio cristiano, non una teologia che ha sempre ripudiato il conflitto di classe (come i movimenti pauperisti del medioevo europeo hanno dovuto imparare a loro spese). Se poi si assumono interdipendenza e solidarietà come categorie morali, e si cita Weber, parlando di transizione dall'etica dell 'intenzione all'etica della responsabilità, conviene ricordare che Weber è colui che ha analizzato il razionalismo occidentale come prodotto della secolarizzazione della teologia cristiana. I valori culturali su cui si fonda il messaggio di Wojtyla sono i valori classici della cultura occidentale, sono i valori di quell'umanesimo cristiano da cui si sono storicamente evoluti i valori dell'umanesimo liberale e socialista. Le ideologie che si contendono il dominio mondiale affermano entrambe di operare nell'interesse generale dell'umanità, e possono farlo proprio perché la teologia cristiana ha fondato l'idea che l'Assoluto può incarnarsi nella storia, che è possibile realizzare l'unità del genere umano sotto gli stessi valori. Di fronte alla Sollecitudo rei socialis è comprensibile che una cultura laica dilaniata dal politeismo dei valori (I'«idolatria» contro cui insorge Wojtyla), e sempre più incapace di fondare eticamente il suo operato, si lasci cogliere dalla nostalgia di Assoluto. È tuttavia pericoloso che essa dimentichi di aver già sperimentato lo scacco 4. Raffa~le Nigro I fuochi del Basento Romanzo dell'etica della responsabilità di fronte alla complessità di meccanismi oggettivi che operano al di là della buona (o cattiva) volontà. Mi pare quindi condivisibile il dubbio di Enzo Forcella (cfr. «La Repubblica» del 24 febbraio): perché la cultura cattolica dovrebbe sciogliere i nodi di fronte a cui si è arresa la cultura laica, considerando che nei confronti di alcuni di essi (come il problema demografico) è proprio l'insegnamento della Chiesa a porre gravi ostacoli? Carlo Formenti Pubblimania Lo so bene che è odioso fare confronti ma vi sono stato costretto dal caso. Ho visto la mia prima puntata di Pubblimania (Raitre, a cura di Romano Frassa e Enrico Ghezzi) subito dopo l'ultima trasmissione condotta da Giuliano Ferrara. Quella sera Ferrara era alle prese, travestito da pinocchiesco Mangiafuoco, con un problema che superava di molto le possibilità del suo linguaggio, la legge 180 e le sue conseguenze (della legge 180 ricorre il decennale, come i nostri lettori sanno). Subito dopo il catastrofico dibattito innescato da Ferrara, ecco accendersi la sigla di Pubblimania. Dopo dieci minuti la nuova trasmissione mi restituiva un linguaggio adatto a interpretare la contemporaneità, al polo opposto, dunque, del faticoso e farraginoso procedere del noto giornalista e anchor man. Il salto di un secolo era evidente. Ferrara vive in un'altra epoca, culturalmente parlando; Pubblimania è il nostro tempo. Confusione, retorica, «gonfiezza» eccessiva di domande e risposte venivano d'incanto spazzate via da sintesi, velocità, efficacia di immagini. , Mentre la trasmissione di Giuliano Ferrara era priva di requisiti culturali, perché «ancorata» a un linguaggio obsoleto, Pubblimania è una trasmissione strettamente culturale perché analizza mostrandolo come è fatto e come comunica un linguaggio contemporaneo altamente significativo come quello della pubblicità. Mi chiedo se chi continua a parlare della pubblicità in termini di «disturbo» ha mai fatto lo sforzo di occuparsene sul serio invece di ripetere stancamente le lamentele dei nonni. La videoscena di Pubblimania, ideata da Nam June Paik e curata da Gianni Sassi e Gino Di Maggio, introduce nella trasmissione un elemento fondamentale, il rapporto tra linguaggio della pubblicità e gli Events Fluxus (cui partecipano George F. Maciunas, Tadeusz Kantor, George Brecht, Ben Vautier, Yoko Ono, Juan Hidalgo, Alison Knowles, Walter Marchetti, Wolf Vostell), vale a dire con una delle più recenti e notevoli avanguardie artistiche. Il risultato dell'accostamento è eccellente: dimostra che il linguaggio delle avanguardie è carico di realtà quanto e più di quello pubblicitario. Se si deve parlare, oggi, di nuovo realismo e di figurazione contemporanea, eccoli qui, praticati quotidianamente nella pubblicità. Irrealistico, invece, quel linguaggio «ottocentesco» che abbiamo avuto modo di osservare a contrasto (e infatti del tutto irrealistico fu anche il risultato dell'affannoso dibattito sulla 180). Mi è capitato di rivedere la stessa puntata di Pubblimania (quella dedicata al «Bianco e nero») e le mie impressioni di quella prima volta si sono rafforzate. Ottimo Enrico Ghezzi nelle sue analisi e da menzionare, tra gli altri, il giovane regista Michele Avantario. Molto belle le silhouette dei Krisma, sempre straordinaria l'inventiva delle pubblicità, tanto straordinarie che il prodotto risulta essere solo un pretesto, quasi che l'artista, oggi come sempre, si vendichi del committente, in modo paradossale: dandogli molto più di quello che aveva chiesto. Tra i migliori ho annotato Richard Lester e Maxime Tabak. Ma forse il più intelligente e ironico degli spot che ho visto finora è quello commissionato da una Radio Rentals americana: realtà e televisione si intrecciano con un effetto di magistrale straniamento. Antonio Porta Barcellona e la Modernità Quando un paese si rinnova politicamente, la ricerca delle proprie radici culturali s'accompagna sempre con la necessità di realizzare trasformazioni che siano un segno concreto della novità. Non è sempre facile realizzare questa complementarità tra vecchio e nuovo, tra storia del passato e contemporaneità. Una delle poche esperienze interessanti, da questo punto di vista, è quella rappresentata dal grande rinnovamento e dalla grande vivacità culturale nella Spagna post-franchista: in particolare la Catalogna e la sua capitale, Barcellona. Una recente mostra, Design in ·Catalogna, presentata alla Triennale di Milano, è un chiaro esempio che non sempre è impossibile coniugare la tradizione con il nuovo, quando esiste una coscienza collettiva che sostiene, consapevolmente, questo passaggio, quasi mai indolore. Ovviamente il design è solo un piccolo segno, ma non marginale rispetto ai grandi problemi di una società in moviGiovanni Raboni 4. Elio Pagliarani Epigrammi ferraresi Poesia 1. Antonio Porta Milano, Camunia, 1987 Il giardiniere contro il becchino Poesia Lecce, Piero Manni, 1987 pp. 66, lire 12.000 pp. 242, lire 26.000 .. 5. Yashar Kemal Il cardo Milano, Mondadori, 1988 pp. 96, lire 20.000 5. Franco Scataglini Rimario agontano Poesia Romanzo L'arte della cucina italiana Milano, Garzanti, 1987 2. Jolanda Insana La clausura Poesia Milano, Scheiwiller, 1987 pp. 230, lire 20.000 Raccolta di testi culinari Torino, Einaudi, 1987 pp. 880, lire 70.000 3. Sebastiano Vassalli L'oro del mondo Romanzo Torino, Einaudi, 1987 pp. 176, lire 18.000 pp. 380, lire 25.000 6. Delio Tessa Color Manzoni Prose Milano, Scheiwiller, 1987 pp. 280, lire 30.000 Milano, Crocetti, 1987 pp. 56, lire 12.000 3. Andrea Zanzotto Filò Poesia Milano, Mondadori, 1988 pp. 86, lire 20.000
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==