Alfabeta - anno X - n. 107 - aprile 1988

Alfabeta 107 Antonio Da Re L'etica tra felicità e dovere Bologna, Edizioni Dehoniane, 1987 pp. 202, lire 18.000 Franco Volpi La riabilitazione della filosofia pratica e il suo senso nella crisi della modernità «il Mulino», n. 308, 1986 pp. 928-949 Enrico Berti Le vie della ragione Bologna, il Mulino, 1987 pp. 299, lire 28.000 e i troviamo oggi, sulla scia della rinnovata attenzione per la filosofia pratica, di fronte a una ripresa di interesse per le teorie filosofiche dell'azione che, nella cultura tedesca, ha alimentato il dibattito intorno alla cosiddetta Rehabilitierung der praktischen Philosophie. Semplificando molto, questa tendenza scaturiva dalla volontà di contrastare l'applicazione sempre più diffusa dei modelli di razionalità improntati agli ideali del sapere scientifico (descrittività, assiomatizzabilità, avalutatività ecc.) sul terreno delle pratiche e del comportamento umano. Dall'economia politica alle scienze del diritto e della politica sino alla sociologia, alla psicologia e all'antropologia, la «scientificizzazione» dei saperi relativi all'uomo aveva finito per consumare ogni residuo margine di credibilità in merito a una delle tradizionali prerogative della filosofia: quella di essere fonte di conoscenza e di orientamento nell'incerto universo delle pratiche. Ma dietro la riscoperta di un modello filosofico dimenticato si celava anche qualcos'altro, e cioè il desiderio di trovare delle risposte alle conseguenze negative - razionalizzazione e colonizzazione tecnologica del mondo della vita - innescate dall'applicazione generalizzata della ragione tecnico-scientifica. L'asse portante del movimento filosofico che a vario titolo si riconosce nella rivendicazione dell'attualità della filosofia pratica può essere individuato nel tentativo di elaborare un'etica e una politica razionali e tuttavia non semplicemente descrittive, ma in grado di sostenere il peso di esigenze ·normative. In un primo momento, il proposito di difendere la legittimità di un sapere pratico-morale dotato di un proprio statuto epistemologico - indipendente cioè da quello delle scienze esatte - si era affidato alla riscoperta e valorizzazione di Aristotele e Kant (è su questo aspetto del dibattito che si sofferma lo studio di Da Re). In seguito la discussione ha coinvolto un po' tutti i settori della filosofia tedesca, dalla fenomenologia all'ermeneutica, dalla teoria critica al costruttivismo, dal razionalismo critico agli sforzi volti a incorporare gli esiti della tradizione anglosassone. Questo nella cultura tedesca, dove la tradizione della filosofia pratica aveva solide radici. L'interesse per questa disciplina comincia ora a diffondersi anche in Italia; da noi però l'attenzione sembra privilegiare anzitutto gli aspetti propriamente teorici di questo fenomeno, dando come presupposto la sua dimensione storiografica e filologica. Una chiara testimonianza della piega che il dibattito ha preso nel nostro paese è quella che ci viene offerta dalle analisi di Volpi e di Berti. Volpi (al quale si deve un'opera tuttora insostituibile per orizzontarsi nell'arcipelago di questo movimento, I pacchetti di Alfabeta La rinascita della filosofia pratica in Germania, in AA.VV., Filosofia pratica e scienza politica, a cura di C. Pacchiani, Abano, Francisci, 1980, pp. 11-97) colloca infatti il risorto interesse per la filosofia pratica nell'orizzonte di una comprensione critica della modernità, un problema dal quale neppure i sostenitori della Rehabilitierung possono (né peraltro intendono) esimersi. Non però per contrapporsi tout court agli ideali del moderno, secondo un atteggiamento che veda in essi il simbolo di un progetto fallito e da cui è necessario congedarsi. Ma, piuttosto, per leggere la modernità come un progetto incompiuto, del quale è necessario contestare gli aspetti unilaterali e le tendenze deformanti - in vista di possibili terapie. L'imputato è ancora una volta la ragione epistemica, poiché ciò che viene impugnato dagli avvocati .. trofico raggiunto dal pensiero calcolante - che è possibile correggere, a patto però di rivitalizzare il paradigma aristotelico del sapere pratico-morale. Riscoprendo, in particolare, il modello della phronesis, della prudentia, come un genere di sapere effettivamente capace di orientare il vivere dell'uomo nello spazio di una sintesi (locale, non ultimativa e gerarchica, ma sottoposta a verifica intersoggettiva nell'ambito del linguaggio e del senso comune) tra universale e particolare, tra spinta al progetto e riconoscimento della finitezza storica. ' E indubbio che questa prospettiva, come scrive Volpi, può modificare l'autocomprensione moderna di discipline come l'etica e la politica. Meno facile è vedere come possa orientare e «riconoscere condizioni e criteri della riuscita Oleg Vasiliev, Nina e Kira, 1980;olio su tela, cm. 61X51 della «riabilitazione» è il dispositivo teorico che ha puntato a trasformare in scienza, in semplice calcolo, anche l'ambito della prassi, per cui il comportamento umano può essere giustificato razionalmente solo pensando alla ragione come costruzione, come calcolo delle condotte e delle azioni degli uomini. Nel rinnovato apprezzamento per il modello di origine aristotelica - che sostiene la validità della conoscenza pratica anche nell'ambito malfido delle scelte, incerte e mutevoli perché dispongono di alternative - vi è l'esigenza esplicita di comprendere l'agire e i suoi criteri in base a criteri diversi, che facciano capo a forme di razionalità parziali, limitate, a profilo più basso, e che tuttavia restano valide proprio perché sono più adeguate al loro oggetto specifico. In questa prospettiva la modernità non è una malattia radicale, ma un progetto viziato da unilateralità - a causa dello sviluppo iperfelice dell'agire stesso» (Volpi, p. 943). Per due motivi: anzitutto perché la soluzione aristotelica, di considerare le trattazioni di etica in chiave immediatamente politica, era credibile soprattutto per il fatto che poteva dare per scontata l'esistenza di un accordo, di un consenso di fondo fra i membri della polis che sembra invece assai problematico se guardiamo alla nostra realtà. E poi perché la phronesis, il paradigma della ragione pratica, deve oggi neèessariamente presupporre l'individualismo moderno; come può allora diffondersi sul piano delle scelte collettive, ambientarsi nel mondo pubblico, diventare esperienza comune e condivisa? Come si è già osservato, la filosofia pratica offre numerosi punti di contatto con filoni teorici di altra provenienza, come l'ermeneutica o la nuova retorica. A questa contestualizzazione, che mette in luce convergenze insospettate al di là di contrasti pagina 13 talvolta solo di facciata, è dedicata una parte non secondaria delle riflessioni di Berti. Egli riconosce inoltre a questa costellazione filosofica più di un merito (cfr. Berti, pp. 66-67). In primo luogo quello di aver sottratto le determinazioni dell'agire, mediante una fondazione razionale dell'etica, ai pericoli di un relativismo esasperato o di un decisionismo miope - in breve, alla minaccia dell'«irrazionalismo». In secondo, di aver affermato la specificità (e la legittimità) di un modello filosofico in grado di rendere conto dei tratti fondamentali della razionalità pratica di contro a ogni fraintendimento scientista. E, da ultimo, di aver saputo individuare l'ambito di questa razionalità nel linguaggio e quindi nei «valori comuni», nel confronto e nella discussione delle opinioni. A questi riconoscimenti Berti fa però seguire alcune considerazioni critiche. Da un lato osserva come la riconduzione della razionalità filosofica all'ambito della filosofia pratica corra il ·rischiodi cedere alla ragione scientifica il monopolio della conoscenza; anche perché, dall'altro, la sua riabilitazione è stata condotta in termini troppo parziali, senza cioè vedere la sua connessione strutturale con la filosofia teoretica, ovvero con la «metafisica». Privato di questa articolazione fondamentale, il momento della phronesis, del ragionamento etico che può essere formalizzato in sillogismi pratici, resta come sospeso, infondato. La phronesis può allora spingere a considerare la realtà umana, pratica e sociale, come un «assoluto», il che è in contraddizione con quella storicità e finitezza dell'uomo che i fautori della riabilitazione introducono come condizione imprescindibile del loro discorso. Berti punta il dito su un problema lasciato effettivamente irrisolto dai sostenitori dell'attualità della filosofia pratica, quello della storicità delle norme. E chiaro infatti che il richiamo alla phronesis non basta a risolverlo. Non è però altrettanto chiaro come l'appello alla metafisica come istanza ultima possa fornire una risposta definitiva. Se la posta in gioco va scorta nella ricerca di un modello razionale suscettibile di definire gli elementi essenziali della prassi, forse allora è più urgente individuare le condizioni che sottostanno alle dinamiche effettive dell'agire e che si ricollegano all'influenza della tradizione, al carico delle abitudini, a quel «sapere di sfondo» che fluisce dalla realtà vitale e che grava sui nostri comportamenti - anche perché i fattori non razionali (che rendono l'azione opaca e contingente) non sono mai asportabili dal processo di sviluppo e di crescita della razionalità. Probabilmente l'ostacolo maggiore a una trattazione compiutamente razionale della prassi non sta nel mancato aggancio con una prospettiva metafisica, ma in un limite «empirico», e cioè nel fatto che il senso della razionalità pratica è permeato di elementi non razionalizzabili o che sfuggono alla vigilanza della ragione diurna - basti pensare al fenomeno dell'adesione acritica a norme palesemente discutibili oppure a valori assurdi, o alla funzione esercitata dal carisma nell'orientare gli uomini. Per questo, nonostante ogni sforzo contrario, la razionalità dell'azione sembra destinata a restare in qualche misura o in qualche suo aspetto costitutivamente opaca, sfuggente, impenetrabile - ostile, in altre parole, a lasciarsi completamente risolvere nell'architettura logica del sillogismo pratico.

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