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Q) Q) §o ·- c "' ('Cl ~-- () u () ::I o- ~ o t1l e.._ a,3 co,B _!!lll Cl)= E l1l ·- o "0 cii Cl) ... e~ :i 1/) Eo 3l Il) u t1l I pagina 6 A più voci Alfabeta 106 I 1933. sei anni dopo Essere e tempo. e in un contesto carico di conseguenze come il Discorso di reuorato. Heidegger ritorna allo spirito con un pathos inatteso: e non esita a farsi carico della guida spirituale di un'alta istituzione come l'Università di Friburgo, espressione eminente dello spirito (senza virgolette) tedesco. ecc. Sarebbe troppo facile (e comunque ricondurrebbe riduttivamente alla questione dell'adesione personale di Heidegger al nazismo) ravvisare nel ricorso allo spirito un semplice espediente retorico. Casomai. si tratta di una ricaduta nella metafisica, e questo incomincia a portarci verso il nocciolo del problema. Ricorrere allo spirito, in un discorso politico come la prolusione rettorale, ma anche fuori da contesti così retoricamente condizionati (come per esempio nella Introduzione alla metafisica. del 1935) significa, per Heidegger. situarsi in un nodo molto forte della identità nazionale tedesca, che si è costituita non tanto sulla continuità di una storia o sulla garanzia di confini naturali evidenti ma sulla base di una identità spirituale. E precisamente: i tedeschi sono il popolo dello spirito. il popolo filosofico per eccellenza. che ha ricevuto in sorte di essere guardiano «del fuoco sacro, come la famiglia degli Eucolpidi ad Atene aveva la custodia dei misteri di Eleusi» (secondo l'espressione di Hegel nelle Lezioni sulla storia della filosofia). Sarebbe ancora troppo facile, e troppo rassicurante. risolvere tutto in una stigmatizzazione dello spirito tedesco che si gonfia nella propria auto-affermazione, prima come nazionalismo, all'epoca dell'idealismo trascendentale, e poi, ancora più sinistramente, come nazismo. all'epoca di Heidegger. Il problema piò serio sta forse in questo. che non è possibile contrapporre i valori dell'umanismo alla perversione nazionalistica dello spirito. proprio perché il nazionalismo non è l'antitesi dell'uma.nismo, bensì la sua protesi, o metastasi, o - più ancora - la sua proiezione in grande scala. Da questo punto di vista, lo spirito tedesco nelle sue implicazioni anche più perturbantemente nazionalistiche e totalitarie fa parte della tradizione umanistica nelle sue maggiori pretese di universalità e di sovranazionalità. È un nesso intricato, ma che non si può sciogliere con delle dichiarazioni di principio, con la condanna di una filosofia. totalitaria o della parte totalitaria di una filosofia e di una tradizione nazionale. Perché attraverso la condanna dello spirito. anche come Geist e forse soprattutto come Geist, l'umanismo va contro se stesso, contro la definizione dell'uomo, come essere spirituale, separato, proprio in forza dello spirito, dall'indifferente natura, dalla barbarie. dall'animalità. Basti pensare - e questo è certo uno dei problemi più densi - che il discorso sui diritti dell'uomo con cui ci si oppone normalmente al totalitarismo si appoggia all'assiomatica dello spirito - cioè a quella stessa assiomatica che sta alla base del nazionalismo dello spirito - Geist. ecc. L o spirito che si infiamma nel Discorso di reltorato non è costitutivamente diverso dallo spirito che si infiamma nel discorso sui diritti dell'uomo. Per esempio, ha le sue stesse animadversioni. La difesa del «propriamente umano», nell'appello ai diritti dell'uomo come anche nell'appello alla missione spirituale della Germania, comporta, ad esempio, la medesima rigida linea di demarcazione tra uomo e animale che urta contro un eventuale discorso sui diritti degli animali. L'animale non muore. decede. l'animale non ha una mano, ma un arto: sono affermazioni heideggeriane molto note, che segnalano. come sottolinea Derrida, un caratteristico cedimento nei confronti della metafisica (e dunque dell'umanismo e dell'apologia dello spirito). (Di qui, paradossalmente, Heidegger risulta in parte scagionato. in quanto il richiamo allo spirito si pone come antitesi rispetto al vitalismo. al biologismo e insomma alla teoria della «belva bionda» di Rosemberg.) Si ripropone il nesso difficile da aggirare tra umanesimo e terrore. «Non ci si può smarcare dal biologismo. dal razzismo nella sua forma genetistica. non si può opporvisi se non reinscrivendo lo spirito in una determinazione opposizionale. facendone una unilateralità della soggelfività [... ]. La costrizione di questo programma resta molto forte, regna sulla maggior parte dei discorsi che, oggi e ancora per molto tempo, si oppongono al razzismo, al totalitarismo, al nazismo, al fascismo, ecc., e lo fanno in nome dello spirito, addirittura della libertà dello spirito, in nome di una assiomatica - per esempio quella della democrazia o dei 'diritti dell'uomo' - che, direttamente o no, ha a che fare con la metafisica della soggettività» (De l'esprit, p. 65). È nel quadro di un discorso sui diritti dell'uomo, e della umanità europea, che Husserl, nella Crisi delle scienze europee, (1935), sostiene che gli Americani fanno parte, «in senso spirituale» dell'Europa, mentre ne sono esclusi gli Esquimesi, gli Indiani, e gli Zingari «che vagabondano perennemente in tutt'Europa» . Almeno per Husserl, che tiene le sue conferenze a Vienna, alla vigilia dell'Anschluss ( e dopo essere stato allontanato dall'insegnamento perché ebreo) dovrebbero essere esclusi i secondi fini pratici e in base a cui si sarebbe tentati di risolvere o di accantonare la questione del nazismo di Heidegger. Husserl è portato a ritenere che la crisi della umanità europea sia indotta dall'ingresso di qualcosa di totalmente eterogeneo allo spirito, da un principio barbarico o maligno (per quanto poi proprio l'apologia husserliana dello spirito europeo espliciti. suo malgrado e, in qualche modo, contro ogni sua intenzione cosciente, una tendenza totalitaria che è implicita nello spirito che contrappone l'umano all'inumano, lo spirito di ~ma nazione a quello di altre nazioni e poi, con una estensione crescente, lo spirito dell'umanità europea contro coloro che vi sono estranei, come gli Zingari nella ricostruzione di Husserl). Nel 1953, dunque vent'anni dopo il Discorso di reltorato, Heidegger ritorna ancora una volta alla questione dello spirito (in Il linguaggio della poesia. Il luogo del poema di Georg Trakl, poi raccolto in In cammino verso il linguaggio, 1959): «Che cosa è lo spirito?», si chiede Heidegger interrogando Trakl; la risposta è: «lo spirito è fiamma». In un discorso fortemente orientato da Schelling, per il quale lo spirito umano, a differenza di quello divino, può dividersi in se stesso, e portare insieme il bene e il male, la salvezza e la catastrofe, Heidegger ci invita a pensare che la stessa fiamma brucia nell'enfasi nazionalistica e nel suo opposto, nella giustificazione del totalitarismo e nella condanna dei suoi esiti. Siamo molto vicini alla dialettica dell'Illuminismo, in cui Horkheimer e Adorno riconoscono la segreta complicità fra umanesimo e nichilismo, e anche tra l'Illuminismo come veicolo di emancipazione e l'Illuminismo come strumento in mano ai «grandi artisti del governo» (secondo una intuizione di Nietzsche). Il totalitarismo, il razzismo, la barbarie non sono l'altro rispetto allo spirito dell 'uomo e all'umanesimo come sua espressione e apologia; in essi non ci si esilia nell'inumano, ma si permane ancora totalmente nell'orizzonte dell'uomo. Proprio questo fantasma difficile da esorcizzare, da rigettare fuori dell'umanità, costituisce il problema più serio. «Il nazismo non è nato nel deserto. Lo si sa bene, ma bisogn'a ricordarlo sempre. E quand'anche, lontano da qualsiasi deserto, fosse cresciuto come un fungo nel silenzio di una foresta europea. lo avrebbe fatto all'ombra di grandi alberi. al riparo del loro silenzio o della loro indifferenza. ma nello stesso terreno. Ne redigerò il catasto di questi alberi che popolano l'Europa come una immensa foresta nera. non ne enumererò le specie. Per ragioni essenziali, il loro regesto trascende lo spazio di una semplice mappa. Nella loro fitta tassonomia, porterebbero il nome di religioni, di filosofie, di regimi politici. di strutture economiche, di istituzioni religiose o accademiche. In breve. di ciò che si chiama confusamente la cultura o il mondo dello spirito» (De l'esprit. p. 179).
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