I Alfa beta 106 A più voci Taccuini sonome= o dei to Massimo Cellerino. In Conseguenze del pragmatismo Lei ha definito la filosofia «un genere di scrittura». Che importanza attribuisce a quelle proposte filosofiche che mostrano particolare interesse per la letteratura (penso soprattutto al lavoro di Jacques Derrida)? Richard Rorty. Credo che ciò che soprattutto intriga in autori come Derrida sia il fatto che essi non tentano di porre una distinzione tra testi filosofici e testi letterari; semplicemente considerano i testi filosofici come altri testi letterari, o i testi letterari come altri testi filosofici, non importa in che modo la si metta. E questo atteggiamento, di vedere i grandi filosofi nello stesso modo in cui vediamo i grandi poeti o i grandi romanzieri, cioè in una sequenza genealogica, una grande tradizione, ma non individuata da metodi o temi, è un salutare passo in avanti. Credo vi siano sostanzialmente due modi di considerare i grandi testi filosofici del passato: li si può vedere come parti di un unico discorso al quale è essenziale una pretesa di validità universale; oppure li si può vedere semplicemente come ulteriori fatti storici, nel senso di stimolazioni più particolari, alla stessa stregua degli stimoli forniti dagli eventi politici e letterari del presente, rispetto ai quali noi tentiamo di sviluppare un risposta adeguata. Cellerino. A questo proposito, vorrei che Lei si soffermasse un poco sul problema del rapporto tra riflessione filosofica e tradizione. Com'è noto, questo è uno dei temi fondamentali della filosofia ermeneutica di Heidegger e di Hans Georg Gadamer. Per l'ermeneutica, la filosofia è esercizio di comprensione storica; è solo attraverso il lavoro filosofico sulla cultura e sui testi del passato che possiamo giungere a comprendere il nostro presente, in un dialogo continuo con la tradizione che ci costituisce e che non possiamo mai dominare compiutamente, a causa della essenziale opacità della stessa tradizione storica. Nei termini di Gadamer, si tratta di mantenere la nozione hegeliana di spirito oggettivo (la moralità, le istituzioni, l'essere della comunità così come si è depositato nel linguaggio) rinunciando a quella di spirito assoluto (il sapere assoluto, la legge che governa il cammino della storia, la piena I I dibattito sul nazismo di Heidegger s~mbra presentare due aspetti. Il primo, secondario, verte sulle responsabilità personali di Heidegger, sul suo coinvolgimento politico, in qualità di rettore dell'Università di Friburgo e di professore di filosofia, con il terzo Reich; ma qui sembra intempestivo indignarsi proprio adesso di ciò che si sapeva da tempo (lo sapevano, per esempio, gli Alleati, che sospesero Heidegger dall'insegnamento sino al 1951). È certo più importante il secondo aspetto, che mira a stabilire quanto della filosofia di Intervista di Massimo Cellerino a Richard Rorty autoconsapevolezza del soggetto, ecc.). Si tratta, in altre parole, di prendere atto di quella tendenza alla «secolarizzazione» della filosofia che accomuna gran parte del pensiero contemporaneo, e in cui certo anche il pragmatismo si riconosce. C'è tuttavia almeno una, significativa differenza tra la Sua posizione e quella dell'ermeneutica di ascendenza heideggeriana: mentre per Gadamer e l'ermeneutica il lavoro filosofico interpretativo sulla tradizione. sulle «forme simboliche» della cultura, resta un compito essenziale e ineludibile per il pensiero, Lei parla addirittura di fine della filosofia, di esclusione della filosofia dalla cultura. Così abbiamo da un lato la pretesa di universalità (Universalitatsanspruch) della filosofia ermeneutica, che si propone come riflessione sulla storicità costitutiva dell'essere dell'uomo, e in quanto tale dotata di cogenza universale; d'altro lato, la negazione pragmatica dell'importanza della filosofia. Rorty. Ecco innanzitutto, riguardo alla tradizione, io non credo che la si debba considerare come una grande struttura monolitica necessitante. C'è semplicemente un complesso di contingenze storiche che, per ragioni contingenti, sono rilevanti per la nostra situazione, e tentiamo di costituirle in un passato di cui possiamo servirci (la Wirkungsgeschichte di Gadamer) sulla base dei problemi morali, spirituali, politici in cui incidentalmente ci troviamo. Dato un tale senso di contingenza, non credo abbia molto senso parlare di pretesa di universalità o di ontologia: per avere un'ontologia c'è bisogno di un soggetto, dell'essere, di qualcosa. E se non c'è alcun soggetto tranne quelle particolari contingenze storiche rilevanti per la situazione in cui ci troviamo, allora la nozione di ontologia non sembra avere alcun valore; e ritengo che nella situazione politica e intellettuale in cui le democrazie si trovano in questa fine di secolo, esse non abbiano affatto bisogno della filosofia. Mi sembra che esse si trovino in una cultura pienamente secolarizzata, in cui non ha più senso l'idea della filosofia che fa quel genere di cose che la religione era solita fare, qualcosa come riempire il vuoto che è stato lasciato. Ad esempio, nel suo libro Der philosophische Diskurs der Moderne, Habermas suggerisce continua- ... mente che sin dai tempi di Hegel la questione è stata: quale sistema di credenze può mantenere unita la società ora che è venuta a mancare la religione? Questa mi sembra una cattiva domanda, dato che non vedo perché debba esservi un sistema di credenze. Mi sembra che' abitudini, speranze, interessi, aspirazioni, un'infinità di cose tengano unita la società. E quanto più una società diviene libera ricca democratica colta, tanto meno ha bisogno di un sistema di credenze comuni, e di conseguenza tanto meno ha bisogno di una filosofia con pretese di universalità. Può avere di più senza. Ce rt 11 non ci siamo ancora arrivati, ma la direzione in cui le più ricche democrazie si muovono è una società che non ha bisogno di ciò che Habermas crede. Il fatto poi che la pretesa di universalità sia una caratteristica della tradizione filosofica non mi colpisce come ciò che vi è di importante, poniamo, in Kant, Hegel, o Nietzsche. Ciò che è importante in questi pensatori è quello che essi possono fare per noi ora. Il fatto che avessero una tale pretesa è soltanto un ulteriore fatto storico relativo a loro. Non penso che il tipo di cose che io ammiro nella filosofia contemporanea sia _necessariamente implicato in tale aspirazione all'universalità. Lo ritengo implicito in tale tentativo non più di quanto non lo sia la critica letteraria contemporanea. Se la critica letteraria non ha una tale pretesa, non vedo perché la debba avere la filosofia. Cellerino. Neanche il pragmatismo? Voglio dire, non Le sembra che il Suo pragmatismo neghi l'universalità della filosofia con un argomento che pretende a sua volta di essere universale? Rorty. No, considererei il pragmatismo soltanto un'altra forma di critica letteraria che incidentalmente si occupa di un certo gruppo di testi, quelli appunto detti filosofici. Cellerino. Ma non crede che il pragmatismo, come l'ermeneutica, la filosofia analitica, parli il «linguaggio della filosofia», e che quindi appartenga ad una tradizione di argomentare razionale (la storia della filosofia, in una parola) con cui in qualche modo occorre fare i conti? In altri termini, se si nega la cogenza della tradizione è comunque difficile argomentare, in un senso o nell'altro. Taccuini Heidegger (o addirittura della filosofia tedesca o della filosofi.a tout court) sia totalitario, lontano dall'immagine della filosofia come emancipazione, amore disinteressato per il sapere, ricerca del maggior bene per l'umanità, ecc. Proprio intorno a questo problema ruota un saggio recente di Jacques Derrida, De l'esprit. Heidegger et la question (Paris, Galilée, 1987), che riproduce il testo di una conferenza letta nel marzo dell'anno scorso nell'ambito del convegno Heidegger: questions ouvertes organizzato a Parigi dal Collège International de Philosophie. Ora però non è «totalitarismo» né «nazismo» la parola-chiave che guida Derrida nella sua discussione, bensì «spirito» (o meglio, per ragioni che vedremo presto, Geist, lo spirito in tedesco e lo spirito tedesco); ciò che è tanto più paradossale in quanto «spirito» non sembra, almeno sulle prime, una parola centrale per la riflessione heideggeriana. Anzi, Geist rinvia all'apparato concettuale della metafisica e alle sue contrapposizioni tradizionali (soggeto/oggetto, res cogitanslres extensa, e, appagina s j ·atori Rorty. Non credo che ci sia un «linguaggio della filosofia». Proprio come non c'è un linguaggio della poesia inglese, ma c'è solo una serie di poesie, così c'è soltanto una serie di testi, da Platòne a Wittgenstein. Quanto alla distinzione tra razionale e non-razionale, suggerirei di intenderla come la distinzione tra persuasione e forza: ad un certo punto noi cambiamo le nostre credenze, perché qualcuno ha suggerito un'ipotesi alternativa, ha proposto un nuo- , 1, argomento, o anche una nuova inven111111c; qualcosa che vale come razionale perché, guardando indietro, possiamo vedere una serie di fenomeni comportarsi in maniera prevecjibile. date appunto le nuove credenze che si sono affermate. Non vale come razionale quando è tortura, quando nuoce. Mi sembra che dal punto di vista del pragmatismo il problema di come si possa assicurare la razionalità abbia una risposta politica piuttosto che filosofica: la razionalità si assicura rinforzando le libertà democratiche, rifiutando la tortura, la propaganda, a favore di una sempre maggiore cultura, di tutte le classiche virtù liberali, insomma. Ma i cambiamenti politici che allargano lo spazio della discussione e la rendono più libera, più semplice; più alla portata generale, non originano in alcun modo dalla filosofia. Non è alcuna particolare concezione filosofica circa la conoscenza, l'essere, la storia a renderci aperti alle opzioni di razionalità e democrazia; ciò che ci rende disponibili a tali opzioni è •una maggiore varietà di possibili credenze e desideri e un maggior grado di libertà nel decidersi per queste alternative. Cellerino. Rimane tuttavia sempre un dubbio di fondo'.· si potrebbe cioè sollevare l'argomento nietzsche1111s0econdo cui non e' è alcuna ragione di preferire la pèrsuasione alla forza, se non il fatto che «siamo professori». Rorty. È proprio ciò che io intendo con autoconsapevolezza morale. Voglio dire: noi professori siamo migliori dei torturatori. È una cosa altrettanto chiara quanto il fatto che la teoria di Lavoisier era migliore di quella del flogisto. Insomma, da qualche parte bisogna pur partire. punto, spirito/materia), che Heidegger si proponeva di scardinare con Essere e tempo: dove, in effetti, «spirito» non compare che tra virgolette, come termine improprio, da evitare e da censurare alla ricerca di una concettualità nuova. Se queste sono le premesse, l'evoluzione del cammino di pensiero di Heidegger, che dopo Essere e tempo presenta una crescente radicalità, dovrebbe condurre alla completa cancellazione dello spirito dal vocabolario dell'oltrepassamento della metafisica. Accade però proprio il contrario. Nel
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