Alfabeta - anno X - n. 106 - marzo 1988

pagina XIV videodischi, videotex ecc.). La serie è allora, per gli oggetti, l'architettura più povera. I prodotti non si consumano più per se stessi: sono solo componenti di reti e sistemi.~laborati. Di qui la crisi della concezione materialistica degli oggetti come si era formata dall'eredità marxista e dalle teorie critiche del consumo. Vediamo ancora l'oggetto materiale, ma non lo capiamo più. Ricollegandosi a una definizione pre-industriale dell'oggetto-medium (l'oggetto come arte, come anima, come artigianato), il linguaggio della società lascia di nuovo spazio ai valori immateriali. In una società in movimento in effetti non basta vedere; bisogna classificare le forme più astratte che presiedono al cambiamento. Oggetti immateriali invisibili e oggetti materiali incomprensibili! L'economia post-industriale, prima ancora di essersi sviluppata, è malata di oggetto. Come fare a riunire i pezzi e superare queste false opposizioni esacerbate dall'incontestato primato del materialismo? La soluzione sembra venire dalla tecnica che, sfumando sempre di più la delimitazione tra materiale e immateriale, supererà questa differenza generalizzando l'uso di un nuovo tipo di oggetto: l'oggetto parlante. Ma come concepire razionalmente questo essere strano? E il trabocchetto non sta forse nell'illusione di una concezione razionale? Infatti il lavoro dei produttori consiste sempre più nel trattamento dell'informazione e nella padronanza di linguaggi formalizzati in grado di strutturare la concezione, la gestione e la lavorazione degli oggetti. L'organizzazione dei ruoli dei produttori di oggetti materiali tende a non distinguersi più da quella delle produzioni immateriali. Un numero crescente di attività si organizza attorno alla gestione dell'informazione e dell'attivazione dei linguaggi. La produzione propriamente detta di questo «oggetto-parlato» è un procedimento breve, senza rapporto con gli schemi tradizionali dell'economia politica e paragonabile piuttosto all'incisione di un disco o allo scatto di una foto polaroid. Ad esempio, la produzione automatizzata di un capo di biancheria intima (maglietta, slip, tee-shirt) richiede, per tutte le operazioni insieme, 45 secondi. Questa notevole trasformazione delle caratteristiche e della specificità della produzione materiale aumenta ancora con il passaggio dall' «oggetto parlato» alt' «oggetto parlante». Il linguaggio non determina più solamente l'oggetto dall'esterno, ma penetra e abita l'oggetto. In un sogno visionario si può allora stendere un quadro del mondo degli oggetti e del mondo dello spirito riuniti dal linguaggio. In cima alla piramide la Parola scoppia in una moltitudine di esseri del linguaggio, di cui gli uomini si appropriano individualmente, badando che il loro uso non impedisca la comunicazione. In basso, il popolo inanimato degli oggetti esce dalla tomba: sotto la spinta delle parole, a migliaia si levano e cominciano l'ascensione verso la ricostituzione del senso e della vita. Questa ipotesi, per quanto azzardata, trova qualche fondamento nelle nuove direzioni imboccate dalle tecnologie del trattamento dei segni e delle immagini. In effetti le stesse basi logiche dell'intelligenza artificiale e di riconoscimento delle forme che danno la parola agli oggetti materiali trasformano le condizioni di produzione, di esplorazione e di oggettivazione del mondo delle immagini. Il cambiamento tecnico non si arresta al modo di distribuzione e di accesso all'imma·gine. Passa dall'altra parte dello specchio e consente all'uomo di camminare al passo con i suoi desideri e con i alfa bis. 2 Klee. Questo è il compito del design: rinnovare la visibilità di ciò che sfugge al nostro sguardo, ricostituire l'unione dell'umanità con la sua produzione. Ma come rendere visibili gli oggetti di parole? Questa domanda è essenziale per capire ciò che la nostra società si aspetta_ dai creatori e dalla creazione. Oggi infatti la via è stretta. Per un verso il mondo degli oggetti sfugge completamente alle categouno spazio di presentazione a un altro. Significa invece assorbirle in un universo di parola, tanto è vero che le tele-vendite assomigliano al talk-show, allo spettacolo della parola. Per un altro verso, le tecnologie trasformano l'immagine e le conferiscono un 'efficacia demoltiplicata, che non ha alcun rapporto con la vecchia funzione di riprodurre la realtà sensibile. L'immagine, interattiva e sintetica, non ha Nickolas Muray, Eugene O'Nei/I, Intemational Museum of Photography, George Eastman House, Rochester, New York, 1920 suoi ordini in universi immaginari che egli è il primo a scoprire. Oggetto parlante, immagine e parola oggettivate: ogni oggetto obbedisce al dito, all'occhio e alla voce secondo gli stessi processi. La realtà di domani assomiglierà a questo sogno degli oggetti risvegliati dal verbo? In un mondo di puri artefatti, come ricostituire i punti di riferimento del reale? «L'arte non riproduce il visibile, rende visibile», scriveva Paul .. rie dello spazio. I beni d'informazione, immateriali, sono concepiti nei computer, circolano su reti, arrivano attraverso un simbolismo grafico al loro destinatario cieco: il cervello. Gli stessi beni materiali sono catturati da nuovi tipi di commercio, come si può constatare in Italia in un fenomeno ancora troppo poco analizzato come le vendite attraverso la televisione. Il fatto di vendere merci in televisione non significa farle passare da forse abbastanza forza per contrastare l'avanzata invisibile di una cacofonia di parole? L'architettura, il design, usano le tecniche di realizzazione attraverso il computer per rinnovare il linguaggio delle forme. Ma la crisi è profonda perché una delle caratteristiche dell'oggetto post-indu~triale è la sua flessibilità e la sua polivalenza. Sempre meno le forme possono assumere come guida le funzioni e da ciò risulta l'esplosione dell'eAlfabeta 106 stetica sorta dal Bauhaus. Oggi l'immagine, come dimostra l'uso di una tavolozza grafica su micro-computer, risulta da un uso gratuito di simboli che si possono disporre a strati su altri livelli di memorie logiche. Quest'arte dell'aggiungere e dell'accatastare è alla base di ciò che si chiama l'estetica post-moderna, e costituisce l'altro polo, l'altro pericolo che minaccia la visibilità dell'oggetto di parole: il pericolo di sovraccarico dell'informatica, dell'estetica dell'aggiungere, dell'accumulare senza fine una informazione indistruttibile, di uno stock culturale troppo ingombrante. L'oggetto post-industriale deve aprirsi un cammino tra questa perdita in un fiotto infinito di parole e questa visibilità in una infinita sovrabbondanza di immagini. Lo scenario di riferimento prediletto dall'estetica post-moderna è quello antico formato da colonnati. Le città disegnate da Riccardo Bofill sono città maestose, in cui le colonne dell'antichità ricordano palazzi onirici sovrapposti a architetture di pietra. Questa immagine di riferimento è la stessa che tormenta i creatori di video giochi o di programmi educativi su home computer. Riscopriamo uno spazio ritmato, ampio in cui la pietra si unisce a decorazioni lavorate, in cui l'uomo può sentirsi padrone del tempo e dello spazio galattico. Non è forse questo l'eterno ritorno? E, come Brunelleschi, che aveva evidenziato le leggi della prospettiva facendo sorgere la Roma del Quattrocento, non siamo forse alla vigilia di una ricostruzione dello spazio antico, di una nuova coerenza del mondo dell'oggetto? Eppure l'immagine interattiva ci suggerisce un altro destino. L'arredo antico aveva consentito al Rinascimento di riscoprire quella scienza greca e romana che era l'arte della memoria. La mnemotecnica, arte di usare mentalmente i h.\oghie le immagini per costruire la memoria orale, suscitò veri e propri entusiasmi alla fine del XV secolo e all'inizio del XVI con Giulio Camillo e soprattutto Giordano Bruno. Il retore si formava su una tecnica precisa grazie alla quale immaginava visioni forti, scene drammatiche e colorate, spazi indimenticabili formati da vasti vestiboli in cui, dietro ad ogni colonna, poteva sistematicamente organizzare i propri ricordi. L'arte della memoria, dopo aver risvegliato il teatro veneziano, dopo essersi diffusa come arte esoterica e come pratica magica, nel momento in cui la stampa consentiva un'estensione dello spazio pubblico, fu duramente combattuta dagli umanisti che la tolsero dalla formazione alla retorica e le sostituirono una formazione al sapere attraverso l'imparare i testi a memoria, costituita sul modello spaziale del testo scritto. Doveva cessare l'andirivieni tra lo spazio interiore dell'immaginario e lo spazio esterno della parola perché si sviluppasse il modello di una interiorità linguistica e di una spazialità fatta di oggetti esterni visibili. Ci si può chiedere se l'oggetto di parola, questo miscuglio di immagine e di realtà, non sia un punto di giunzione attorno al quale l'uomo potrà ri-ordinare in futuro il suo spazio interno e lo spazio circostante. Traduzione di Luisa Cortese

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