pagina VI riposto. Da una parte, si sottolinea la presunta smaterializzazione della materia tecnica, producendo un'immagine molto forzata dell'universo tecnico che ci circonda - come se, insomma, tutta la nostra vita consistesse nell'usare i calcolatori, la segreteria telefonica e altri oggetti «intelligenti», invece di guidare automobili, scrivere con la «Lettera 35» e preferire, dopotutto, i tavoli di legno e i fiori freschi ai tavoli di plastica e ai fiori finti. Ma questo non è il punto. Il fatto è che il discorso sulla smaterializzazione ci vuol far credere che le nuove tecniche producono oggetti a misura d'uomo, personalizzati, capaci di avere un'anima per così dire creativa, pronta a piegarsi ai nostri desideri come il genio nella bottiglia di Le mille e una notte. Ora, questo discorso, nei suoi aspetti apparentemente innovatori, presuppone un'idea vecchissima di soggettività, in base alla quale il luogo della produzione (vecchia o nuova, materiale o immateriale) sarebbe il luogo che produce identità. Insomma, Marx rimesso a nuovo: non più produzione di merci come origine del senso sociale, ma produzione di segni. A mio avviso il pathos mal riposto di questi discorsi sta nel fatto che il luogo della produzione è assunto come luogo della significazione. Con il risultato che i tecnici o gli operatori di queste nuove produzioni si sentono un po' come dei nuovi demiurghi (e quindi cominciano a teorizzare, a sentirsi soggetti di un mutamento non solo tecnico ma intellettuale). Tutto ciò non mi convince, per un motivo semplicissimo che ora cercherò di esporre. gegneri e tecnologi al culmine della rivoluzione industriale (ce ne sono esempi utili nell'antologia curata anni fa da Maldonado, Tecnica e cultura). Come spiegare queste ondate di soggettività tecnologica? Forse con il fatto che, appunto, il mondo della produzione non produce alcun senso, globalmente, ma semplicemente dei prodotti che saranno sempre strumentali, e quindi considerati come necessità più o meno gradevoli dagli esseri umani. È vero che tutti noi tendiamo a circondarci di cose, vecchie o nuove, materiali o immateriali, a sostituirle incessantemente e a cercarne di nuove, ma lo facciamo con un senso di disperazione, sapendo confusamente che ne siamo schiavi e non creatori o felici fruitori. Chi è ricco colleziona quadri, monete o, al limite, Rolls-Royce (per quanto c'è in esse di supremamente artigianale). Chi è povero colleziona libri o dischi. Ma a nessuno verrà mai in mente di collezionare floppy-disk o i nuovi immateriali, indipendentemente dal loro uso. Per quanto possiamo essere condizionati dalle tecnologie, il nostro senso lo investiamo altrove. Forse da giovani, siamo invasati per le motociclette o per i video-games. Ma è probabile che da vecchi riscopriremo le passeggiate e il gioco delle carte. Insomma, credo che l'esperienza umana ponga un limite invalicabile all'invadenza della tecnica, e forse da questo nasce la frustrazione dei tecnologi. alfa bis. 2 gettisti del territorio, dell'economia e delle città tutto cada in preda all'anarchia capitalistica. E forse c'è un genuino spirito di giustizia in questi due miti della sinistra. Ma quando poi ne esaminiamo lo spessore, troviamo la fredda utopia di Habermas, secondo il quale, chissà perché, gli esseri umani dovrebbero comunicare in modo equo, trasparente, logico, comprensibile - invece di giocare, recitare, ingannarsi e sopraffarsi simbolicamente nei limiti della vita quotidiana. E allora, perfino nel modernismo benintenzionato, ritroviamo la volontà di disciplina, una logica impositiva e vagamente totalitaria. Vorrei dire, per concludere, che la tecnica, sia moderna che postmoderna, non mi sembra un luogo di produzione di buon senso. Queprogettuale, l'area urbanistico-architettonica, credo si debba parlare di macro-ambiente e micro-ambiente. Cioè, riguardo al concetto di pianificazione e una serie di contributi all'interno stesso del costruire (quindi l'architettura non soltanto come pianificazione, ma anche come oggetto dentro il quale abitare) è vero che il progetto moderno ha creato una serie di figli e nipoti perversi. Realtà che noi possiamo vedere, tutti i giorni, soprattutto nelle nostre periferie. Però è anche vero che la modernità ha cercato di dare una metodologia di intervento che in parte ha messo ordine a una sorta di «autofabbricazione» «autoregolamentazione» tipica delle società occidentali. Il progetto moderno, invece ha provocato, soprattutto nel «micro-ambiente», effetti, io credo, non sempre positivi o comunque fortemente illusori. È in questa area particolare dell'intervento del moderno, il microambiente - che non è soltanto l'ambiente privato, ma è l'ambiente delle relazioni sociali, per esempio, la piazza è un micro-ambiente rispetto alla città, il luogo del tempo libero è un micro-ambiente - dove maggiormente si è operato nel segno di una materia che non sempre semplifica la nostra esistenza. Che cos'è successo, in sostanza, nel micro-ambiente? Che· noi siamo sommersi da oggetti che, più che semplificare, rendono complessa la relazione tra noi e gli oggetti ma, soprattutto, tra soggetti e soggetti, tra pensiero e realtà. A/fabeta 106 sti del territorio o gli strateghi della tecnologia. Tuttavia, bisognerebbe riflettere sulle ricadute pratiche della progettualità nelle nostre forme di vita. Ora, abbiamo la bellezza formale dei progetti, i buoni propositi che vi vengono infusi, il desiderio di un ambiente più confortevole e razionale. Ma poi questi progetti prendono corpo, vengono realizzati e vivono, per così dire, di vita propria. E che cosa producono? Nient'altro che la periferia delle nostre città. Ora, si può obiettare che Le Corbusier non ha alcuna responsabilità per Quarto Oggiaro - ma si può ribattere che senza l'architettura moderna non esisterebbe Quarto Oggiaro. Non si riesce mai ad ammettere che i progetti hanno una logica limitata e unidirezionale, mentre il nostro ambiente ha una logica sistemica in parte sconosciuta. Potete costruire uno splendido quartiere razionale alla periferia di una città storica, ma chi può dire se la ferita estetica inferta così al panorama non avrà conseguenze sistemiche? Vengono i brividi se si pensa che il progettato ponte sullo stretto di Messina modificherà una scena immutata da migliaia di anni. E perché la memoria non dovrebbe essere un valore ambientale come altri? Concluderò in due battute. Il tentativo della tecnica moderna (e post-moderna) di dare un senso al mondo appare patetico. Ma dietro questo tentativo, come pure dietro i discorsi sull'immaterialità e così via, c'è una totale incomprensione del tempo come struttura della nostra esperienza, compresa la tecnica. Ecco un motivo in più per non sbarazzarsi troppo facilmente di Heidegger. In breve, tutto questo discorrere sulle nuove tecnologie immateriali parte dall'assunto che la produzione - significazione sia il centro del mondo (e questo è comprensibile, quando pensiamo che a dire queste cose sono uomini della produzione). Invece, bisognerebbe riconoscere il fatto che tutta questa «materia» tecnologica, vecchia o nuova che sia, è soltanto- e aggiungo, per fortuna - alla periferia dell'esperienza comune. È chiaro che tutti noi siamo felici di usare i nuovi gadget, come i sistemi elettronici di scrittura o i videoregistratori, ma sfido chiunque a trovare un senso autonomo in essi (ciò non vale, ovviamente per chi li fabbrica). Insomma, io penso che agli esseri umani interessa ciò che riescono a leggere, scrivere o vedere, e molto meno come ci riescono. In sintesi, questi discorsi sulla «post-materialità» non mi sembrano molto consistenti. Devo dire però che neanche l'apologia del moderno mi entusiaMontabone, Friedrich Nietzsche, Gernsheim Collection, University of Texas, Austin, 1875 ca. Non sempre un'apparente concretezza dell'operare è segno di un'altrettanta chiarezza del pensare: gli idealisti sono più numerosi Carlo Formenti. Mi pare che Dal Lago abbia toccato un punto cruciale: al centro della riflessione, più che il ruolo dell'ingegnere, dell'architetto, di colui che progetta, nell'epoca in cui essi hanno perso il controllo sulle conseguenze sociali e culturali del loro agire, dovrebbe stare l'esperienza concreta, quotidiana, del soggetto che si esprime attraverso il senso comune. Vale a dire l'esperienza del «deserto che cresce», dell'inaccettabilità del vuoto di senso che ognuno di noi sperimenta nel rapporto quotidiano con l'ambiente artificiale in cui è immerso. Mi pare che nel tentativo di offrire una visione ottimistica del suo operare, il tecnologo esprima soprattutto questa esigenza di restituire significato, pregnanza, alla sua pratica quotidiana di relazione con il sistema degli oggetti piuttosto che alle ragioni del progetto. Tuttavia, come ho già detto nel primo intervento, ritengo che il disincanto sia irreversibile, e che se esiste una possibilità di reincantamento, essa risiede nell'elaborazione di una cultura capace di accettare l'irreversibilità del vuoto, della perdita del senso, che sappia ricercare non gli «usi alternativi» della tecnica, ma strategie di fuga, di invenzione, nuove occasioni di azione «gratuita». Questo fatto del tutto ovvio ha un riscontro nei dibattiti attuali sull'intelligenza artificiale. In un recente libro di Flores e Winograd, Calcolatori e conoscenza, viene confutata la teoria dell' «intelligenza autonoma» dei calcolatori, coerentemente con i risultati della linguistica contemporanea. Allora, tutto questo entusiasmo sull'autonomia e sulla «soggettività» dei nuovi prodotti mi sembra una riedizione dell'entusiasmo tecnologico che aveva colpito insma. Infatti, se i nuovi tecnologi hanno scoperto (dopo Baudrillard) una capacità «soggettiva» nelle tecnologie immateriali, gli apologeti del moderqo ritengono di essere ancora all'interno di una relazione soggetto-oggetto più classica, diciamo da homo faber. E qui rinascono, o meglio continuano a sopravvivere, i miti materialisti, prometeici, secondo cui il senso del mondo, ancora una volta, è nella materia. Questo discorso, che definirei iper-moderno, vorrebbe estrarre il senso buono e umano della modernità, cavarne fuori una logica capace di ordinare il mondo. Eppure, anche in questo caso, siamo di fronte a un'utopia. Se infatti cerchiamo gli slogan di questo modernismo troviamo due parole magiche, «progetto» e «razionalità». Esse dovrebbero mettere in riga il disordine della vita, e presuppongono che senza i proAntonio Porta LAFESTADELCAVALLO pag. 87 Lit. I0.000 La guerra è passata e nel risucchiare le sue macerie ha lasciato un silenzioda decifrare. In un tempo senza tempo, corpi di attori recitano il rito "tribale" della sopravvivenza: è il banchetto della fame, l'urgenzadi fecondare una vitameno "posseduta" e di trasformare l'inno di un naufrago in canto dei "nuovigenerati". Inquesto Poema per teatro, l'autore sfida le impurità dell'uomo per recuperarne il senso creaturale e l'animalità primigenia celata dalla "carezza". CORPO 10 Via Maroncelli, 12 Milano Tel.02/654019 sto dovrebbe essere cercato in una dimensione estranea alla tecnica, quella delle relazioni umane o microsociali, che hanno una logica completamente diversa, di cui dubito che i tecnologi abbiano molta cognizione. Chiamerò questa dimensione a-tecnica, per suggerire che è possibile pensare il mondo umano indipendentemente dalle sue protesi artificiali. Non c'è motivo di demonizzare la tecnica, ma ce n'è ancora meno di farne la fonte dei nostri significati. Aldo Colonetti. Rispetto a questa ultima riflessione, per quanto riguarda il moderno e l'architettura, il moderno e il territorio, cui faceva cenno poco fa Dal Lago, vorrei fare una precisazione: per quanto riguarda le disillusioni che si sono verificate all'interno della storia di questi ultimi quarant'anni, soprattuttcrin questa area di intervento proprio là dove sembra dominare il linguaggio della cosiddetta materia, o dei nuovi materia/i. Maurizio Ferraris. Il nocciolo del discorso di Dal Lago mi pareva che consistesse nel sottolineare un diffuso bisogno di conferimento di senso. Viene in mente Nietzsche: «Meglio un senso qualsiasi che l'assenza del senso». Ovviamente bisogna invece confrontarsi con la sistematica assenza di senso, nella misura in cui ciò è possibile (è chiaro, infatti, che un po' di senso, magari mal riposto, continueremo a trovarlo, anche nelle cose più strane, o nella tecnica, per esempio. Nulla di reale, ma occorre saperlo). Alessandro Dal Lago. Vorrei aggiungere solo una breve osservazione sul ruolo del progettista nel nostro mondo. Nessuno deve demonizzare gli architetti, i progetti- . ciare, 1· . ,. . Qui che Co ~\{\ tu Musa. sveg tat,. I inizio è sé/e. 'l>- c,o , \O• e . . "os , ctt> 0-.i'l>- ò\tO . 0 e nuov1ss1mo di sfid tr 0 1,,cç~ \O '(}{\\\C . are ij . • t,o e-.,, . ~ti- ~◊e- ;..,'-o reo, fing,~ s,;l".,., .,.~ ~ (} 'O ~" e" ~ .,,~ o ,... .t::: 'b- r9 o ~o· ~ .:: ~ V • a. un terreno vuoto.sgombro. o o chissà dove ci troviamo, con esattezza non ve lo so dire, S g dove siamo costretti a vivere, vivendo, credo. lo verremo a sapere. 9"16~ -~i: forse lo sapevano i nostri genitori quando ci hanno concepiti, partorì.ti, allattati, ca per\ chi lo sa., .. sono successe troppe cose, dopo, ,._'l>--. •, s1 é r, cene,,o. ,# ,, bollJb ~~◊\.o \ /Jo ti & o,,.0 '~ l$'~ o~~\e ~❖o \.e-,i\'b-• ~- rt,~ <1r~'b-'-'. de r, 0 iltél ,. ~'l>-, ~'l>-c ~'b- 1.'-1,: ,.._,o .;:,t::' lJn 1so\a,'- \e ,e ~o u{\
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