Alfabeta - anno X - n. 106 - marzo 1988

Alfabeta 106 questo documento, nel complesso molto istruttivo e stimolante, si sostiene che l'impatto delle tecnologie emergenti (informatica, telecomunicazione, bioingegnerie, automazione) porterà a un progressivo assottigliarsi della materialità del mondo, a una dematerializzazione della società nel suo complesso. In altre parole, si sarebbe ormai avviata una contrazione dell'universo degli oggetti materiali, oggetti che verrebbero sostituiti da processi e da servizi sempre più immateriali. E l'argomento merita una accurata analisi in quanto vengono così riesumate, surrettiziamente, certe tematiche che hanno occupato l'attenzione del pensiero filosofico per secoli come, per esempio, il problema del rapporto materia-mente. Non si tratta qui di riaprire tale dibattito, che peraltro i contributi della neurofisiologia e della biologia molecolare hanno reso inattuale almeno in campo scientifico. Io vorrei percorrere un altro itinerario. Il premio Nobel per la fisica Alfred Kastler ha rilevato che, alla scala dei nostri sen i, siamo al 1tuati a ricono~L1-.. re in ciò che noi chiamiamo «oggetti» due proprietà fondamentali: la permanenza e l'individualità, proprietà che ono tate caratteristiche nella meccanica classica e che oggi vengono a mancare nella microfisica. Lasciamo da parte quello che accade nella microfisica e cerchiamo di concentrarci sulle questioni che riguardano la scala della macrofisica, ossia la scala alla quale dovrebbe estendersi, secondo alcuni, il fenomeno di dematerializzazione generalizzata. A questo punto, la domanda da porsi, sulle tracce di Kastler, è la seguente: è davvero certo che permanenza e individualità degli oggetti hanno cominciato a cedere il loro valore caratterizzante, nei riguardi dell'assetto materiale del nostro ordinamento sociale, economico e produttivo? Qualcosa sta, di fatto, accadendo in proposito e sarebbe sciocco negarlo. Non c'è dubbio che, nella società industriale avanzata, tende ad accorciarsi la durata della permanenza e individualità degli oggetti. Ma non è un fenomeno recente come si vuol far credere. Va ricordata la tendenza, soprattutto a partire dalla crisi del 1929, ad abbreviare sempre più il «ciclo di vita» dei prodotti. È il ben noto fenomeno dell'obsolescenza. La novità la vedo piuttosto nel fatto che si abbrevia anche il ciclo di vita di intere famiglie di prodotti. In altre parole, non sono soltanto gli individui tecnici - per dirla con Gilbert Simondon - che declinano sempre più rapidamente, bensì anche le tipologie alle quali essi appartengono. Ma questa constatazione autorizza a parlare, come si fa spesso troppo disinvoltamente, di un processo di dematerializzazione in atto? È credibile, nel senso di verosimile, che la nostra realtà futura diventerà un mondo costituito solo di presenze ineffabili, un mondo privo di materialità e di fisicità? È ragionevole pensare che nel secolo XXI avremo solo a che fare con realtà intangibili, con immagini illusorie. evanescenti, con qualcosa di simile a un mondo popolato di spettri, di allucinazioni, di ectoplasmi? Tale scenario mi sembra poco realistico. Non è da escludere che il termine dematerializzazione sia, ancora una volta, un abuso metaforico e che quello che si vuol dire sia qualcosa di diverso. Se così non fosse, se si pensasse sul serio a un drastico processo di dematerializzazione, ci troveremmo di fronte alla riproposta di certe forme esaspealfa bis. 2 spiritualizzazione del mondo in cui viviamo. Prescindendo da questi aspetti squisitamente epistemologici, è evidente che alcune delle più frequenti attribuzioni di immaterialità che vengono oggi fatte sembrano tutt'altro che convincenti. È discutibile, per esempio, definire immateriale il software. A ben guardare, il software è una tecnologia, ossia uno strumento cognitivo che, in modo diretto o indiretto, contribuisce, a conti fat'ti, a mutamenti senza dubbio di natura materiale. Si pensi soltanto ai programmi destinati a ge tire i comportamenti operativi dei robot nella produzione industriale. Meglio sarebbe dunque parlare, come fanno gli studiosi statunitensi, di thought technology (tecnologia del pensiero). Certo, il problema ha qui due aspetti: da un lato, ogni mezzo che ha effetti materiali è sicuramente da considerarsi tecnologia; dall'altro, come ha segnalaex abrupto. La novità sostanziale di un prodotto - per esempio il suo contenuto tecnologico altamente innovativo - si apre strada tramite novità derivate o secondarie. Tipico in questo senso è il caso del vasto arco di prodotti che sono nati dall'impatto, diciamo, «miniaturizzante» della tecnologia microelettronica. Benché non sempre si possa parlare di un miglioramento delle loro specifiche prestazioni funzionali, una cosa è certa: la loro riduzione dimensionale ha significato il più delle volte una caduta tutt'altro che trascurabile del loro costo di produzione e del loro prezzo di acquisto. E anche questo, come è noto, ha facilitato il loro travolgente successo nel mercato. È da notare, inoltre, che in pochi casi la sostituzione si compie· biunivocamente, in pochi casi un prodotto, e solo uno, viene a occupare il posto del prodotto tramontato. Ciò che sovente accade è che Dornac, Pierre Loti vestito da arabo, Bibliothèque Nationale, Parigi, 1895 ca. rate di misticismo, o almeno di idealismo soggettivo. Probabilmente ci sono malintesi terminologici, anche se alcuni di essi, di sicuro, sono residui di problemi teorici finora rimasti irrisolti nell'ambito della filosofia della scienza e della tecnica. N el 1950 Norbert Wiener, il fondatore della Cibernetica, formulava il suo famoso apodittico giudizio: «informazione è informazione, non materia o energia». Qualche anno dopo, Gotthard Giinther ribatteva: «informazione è informazione, non spirito o soggettività». Ma, a dire il vero, la natura dell'informazione è rimasta un problema teorico relativamente aperto. Non c'è da stupirsi dunque che in una società come l'attuale, in cui l'informazione sta assumendo un ruolo fondamentale, alcuni tendano a vedere nel processo di informatizzazione in corso una sorta di globale dematerializzazione e persino to Herbert Simon, ogni tecnologia è conoscenza, ossia risultato del pensiero. Tra «logicale» e «ferraglia» c'è quindi un sottile rapporto dialettico, un rapporto di interdipendenza e di interazione. Riprendendo la questione del presunto assottigliamento dell'universo degli oggetti, come prova di una dematerializzazione della nostra società, vorrei ora fare alcune ulteriori considerazioni. Abbiamo poco prima ammesso che alcuni prodotti, e addirittura tipologie di prodotti, sono di fatto entrati in crisi e hanno finito per essere definitavamente cancellati. La verità è che questo raramente è stato un atto di semplice soppressione o rimozione. Il processo innovativo - come ha dimostrato Joseph Agassi - ha avuto una prima fase in cui ci si è limitati a trasformare il prodotto già esistente, e soltanto in una seconda fase si è attivata una vera e propria sostituzione. Ossia, non sempre i nuovi prodotti subentrano ai. precedenti l'emergere di un prodotto innovativo fa scaturire un processo di ramificazione, proliferazione, diversificazione. In altre parole, dove prima c'era un prodotto c'è ora una intera gamma di nuovi prodotti. E per gamma non intendo qui soltanto la frantumazione dell'offerta tramite le variazioni di un modello, ma anche, e soprattutto, l'insieme dei nuovi prodotti e prodotti-servizi direttamente o indirettamente generati dal prodotto innovativo. Il sempre più prolifico sistema degli artefatti comunicativi domestici è un buon esempio al riguardo. Ogni nuov0 prodotto ha dato origine, a breve scadenza, a una serie di nuovi sottoprodotti destinati ad arricchirlo con reali o presunte nuove prestazioni. In un primo momento, dunque, l'informatizzazione si identifica, è vero, con la cosiddetta dematerializzazione. Ma, in realtà, il risultato finale, se si tiene conto dell'inserimento di nuovi prodotti, tende a pagina 111 ristabilire - e addirittura ad aumentare - la quantità complessiva delle presenze oggettuali, e cioè fisiche, che occupano lo spazio domestico. Immaginiamo per un istante una persona che volesse (e fosse in condizione economica di permetterselo) trasformare la sua casa in qualcosa di simile a un «centro mediatico», ricorrendo a tale scopo a gran parte degli apparati, strumenti e dispositivi che il mercato dei media offre oggi per uso domestico. Tale ipotetica possibilità, forse non tanto ipotetica, è stata esaminata da Hans Peter Bleuel. Il «paesaggio domestico» della persona in questione apparirebbe fortemente caratterizzato da un complesso sistema di artefatti. Vorrei dare alcuni esempi: televisore a colori con impianto stereo, registratori a nastro e a piastra, videoregistratore, videodisco, videotelecamera, apparecchio per duplicazione nastri, lettore compact, cinepresa, proiettore per film in super8, facsimile, televisore a schermo gigante, apparecchio per segreteria telefonica, telefoni portatili, walkman, video-giochi, persona( computer, telecomando per televisore, telecomando· per giradischi, microcomputer. Tuttavia, in que to segmento della elettronica di consumo si con tata, già da tempo, un fenomeno che potrebbe finire per contrastare l'attuale tendenza alla proliferazione di nuovi prodotti. Alludo al fenomeno dell'accorpamento di artefatti che, seppure con prestazioni diverse, appartengono a una stessa famiglia funzionale. In pratica, l'accorpamento consente, mediante l'aggregazione di artefatti fino a quel momento separati, la costituzione di un unico sistema componibile. Per esempio, il set Hi-fi che contiene, di solito, piastra, giradischi, compact, registratore, radio, casse, amplificatore. Se questo fenomeno si generalizzasse, significherebbe, almeno in teoria, una riduzione numerica degli oggetti, ma è difficile stabilire al giorno d'oggi, quale sarebbe, dal punto di vista del cosiddetto rapporto fisico-non fisico, il bilancio globale. Non si tratta, sia chiaro, di negare che, in linea di massima, le tecnologie emergenti possano contribuire a un consistente risparmio di energia e materiali. Si tratta piuttosto di contrastare la tentazione oggi assai diffusa di lasciarsi sedurre troppo facilmente dai sogni di una pervasiva dematerializzazione. Io ritengo probabile che, nel bene o nel male, il secolo XXI sarà sì caratterizzato da una espansione del «logicale», ma anche della «ferraglia».

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