pagina 26 I l testo che qui pubblichiamo costituisce un ampio estratto dalla conferenza dibattito che Edgar Morin ha _ tenuto giovedì 29 ottobre 1987 presso la Biblioteca comunale del Palazzo dei Principi di Correggio, nell'ambito del ciclo di incontri su Il gioco del futuro. Il ruolo dell'intellettuale oggi fra creatività e nuove tecnologie, organizzato dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Correggio in collaborazione con «Alfabeta». Edgar Morin non ha rivisto il testo sbobinato. Carlo Formenti. Il tema di questa serie di incontri organizzati dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Correggio con la collaborazione della rivista «Alfabeta» è il ruolo dell'intellettuale oggi fra creatività e nuove tecnologie. Edgar Morin ha dato un importante contributo a questo argomento con il suo ultimo libro, Penser l'Europe (Parigi, Gallimard, 1987), di cui sta per uscire l'edizione italiana per i tipi dell'editore Feltrinelli. Vorrei quindi rivolgergli in proposito alcune domande e osservazioni critiche, dopo un breve riassunto di quelle che mi paiono le tesi fondamentali del libro. In Penser l'Europe, Morin delinea la figura e il ruolo dell'intellettuale oggi in relazione a un'idea di libertà di cui egli ritiene che la tradizione europea sia la fondamentale detentrice. Per comprendere a fondo quest'idea occorre tuttavia richiamare sinteticamente alcuni concetti che Morin ha elaborato in un altro contesto teorico, vale a dire nei suoi studi sull'epistemologia delle scienze biologiche. L'organizzazione del vivente è un'organizzazione a diversi livelli di individualità: cellula, individuo-colonia di cellule, organismo sociale. Tuttavia, secondo Morin, la biologia contemporanea, nella misura in cui si riferisce al punto di vista sistemico dell'epistemologia della complessità, tende a superare la tradizionale concezione olistica che integra questi differenti livelli in un'armonia complessiva fra il tutto e le parti. Secondo la nuova concezione gli elementi individuali che entrano a far parte di un superiore livello di organizzazione del vivente non perdono la loro qualità di «soggetti». Il motore dello sviluppo di forme superiori di organizzazione e di integrazione funzionale delle parti non è l'armonia, ma il conflitto [... ]. Da questo paradigma biologico, Morin trae importanti conseguenze sul piano dell'analisi sociologica e politica. Come le altre entità di natura sistemica, la società è dotata di qualità emergenti che le consentono di retroagire in quanto tutto sugli i.ndividui, trasformandoli in membri di questa società. Tuttavia l'integrazione sociale è assai più «debole» di quella che si realizza fra le cellule di un organismo individuale: i rapporti interindividuali oscillano dalla solidarietà alla lotta, per cui, anche se i conflitti sociali sono regolati, non assumono cioè i.I carattere selvaggio che hanno negli ecosistemi, il legame sociale appare di tipo ecologico più che di tipo organicistico [... ]. _ Oggi, tuttavia, l'emergenza dei mega-apparati del dominio tecnologico e militare delle grandi potenze (armi nucleari, informatica, ecc.) sembrano favorire uno sviluppo ipertrofico dell'organismo sociale, si delinea il rischio di una integrazione «organicista» degli individui. Cercherò di spiegare brevemente perché, secondo Morin, l'unità politica dell'Europa può costituire un modello alternativo a questa tendenza, può difendere la libertà nel senso che è stato appena definito. Morin ha sviluppato una concezione complessa dell'identità europea, fondata sostanzialmente sul modello sistemico delle scienze biologiche. Analizzando la storia europea con le categorie dell'epistemologia della complessità si coglie un'evidenza che è sfuggita alla filosofia politica: un'identità europea, sia pure assai diversa da quella vagheggiata dai filosofi, esiste già. Per riconoscere questa evidenza occorre tuttavia rinunciare a pensare in termini di Unità, Ordine, Sovranità, abbandonare le metafore organiciste di un «corpo» politico concepito come armonia fra le parti di una totalità gerarchicamente ordinata. L'Europa di fatto esiste proprio perché non esiste un'Europa di diritto, essa è il prodotto di un tourbillon, di un vortice storico autorganizzatore che si è alimentato di una lunga successione di lotte fra culture, religioni, classi sociali, etnie, ideologie. L'Europa non si è mai definita in rapporto a un comune nemico esterno, ma al gioco sempre rinnovato dei suoi conflitti interni, non è mai stata e non potrà mai essere un'organizzazione trascendente delle sue parti ma è stata e sarà sempre un ecosistema culturale e politico. Il principio «cuius regio eius religio», emerso dal lungo e travagliato pariodo delle guerre di religione, e che sta all'origine dell'autonomia dei moderni stati-nazione europei, ha fondato il «politeismo» politico dell'Europa, impedendo sia l'egemonia della Chiesa che il dominio imperiale di un solo stato su tutti gli altri. A questo primo movim~nto ha fatto Saggi seguito il rafforzamento dell'identità delle patrie e l'elaborazione delle regole del conflitto fra stati (il diritto di guerra fondato nel XVIII secolo). Successivamente al bellicoso «concerto» <teglistati-nazione si sono sovrapposte le conseguenze del liberalismo e la massificazione dei conflitti infraeuropei e delle lotte di classe nell'ambito delle singole realtà nazionali (XIX secolo). Oggi, alla fine di un secolo che ha conosciuto prima un periodo di tregua fra stati-nazione impegnati nella espansione coloniale e poi l'esperienza lacerante delle due guerre mondiali, l'Europa sembra irreversibilmente avviata verso un'epoca di tramonto politico, di «periferizzazione» nei confronti dei grandi impe~i d'Oriente e d'Occidente. La nostra epoca ci propone, secondo Morin, quattro grandi sfide: 1. è tramontata la minaccia di nemici interni ed esterni ma incombe il pericolo impersonale dell'egemonismo, dell'omogenizzazione, del totalitarismo; 2. caduta la ' # ,,,. "'.''- li#' ' ~ Henri- Cartier-Bresson, Paul Léautaud, Henri- Cartier-Bresson/Magnum, 1952 speranza dell'internazionalismo socialista e rivalutati i meriti della «democrazia formale», si è sostituita l'opposizione democrazia/totalitlj.rismo all'opposizione capitalismo/socialismo che aveva guidato tante lotte per l'emancipazione delle classi oppresse; 3. con la crisi dello stato-nazione è emersa la coscienza della natura policulturale dell'Europa e nello stesso tempo si sono affermate le esigenze di strategie economiche, politiche e militari comunitarie; 4. occorre ridefinire il significato dei grandi principi della democrazia europea dopo la critica serrata cui sono stati sottoposti dalle pulsioni contraddittorie dei movimenti degli anni sessanta e settanta fra aspirazioni comunitarie e individualismo. È in relazione a queste sfide che Morin tenta di definire la crisi della cultura europea e il ·ruolo che gli intellettuali possono svolgere per una sua soluzione. In primo luogo occorre superare il retaggio nichilista della nostra tradizione culturale, vale a dire di quel processo che si è sviluppato dalla Alfabeta 106 ragione umanistica all'universalismo laico del soggetto, all'instaurazione dei miti della Scienza, del Progresso tecnico, dello Sviluppo economico e dell'Emancipazione sociale, e che ha fatto sì che tutti i valori siano affondati nel gorgo del Divenire storico. Inoltre occorre difendere lo statuto unico e irripetibile degli intellettuali europei. A differenza dei sacerdoti delle società teocratiche e delle caste mandarinati dell'Oriente, l'Europa ha prodotto una categoria instabile e sradicata di uomini di cultura (chierici medioevali, philosophes del XVIII secolo, intellettuali moderni) caratterizzata dal cosmopolitismo, dal pluralismo degli strati sociali di appartenenza, dall'autonomia di status e ruolo professionale, una categoria sensibile alle problematiche generali della verità, della giustizia e della libertà. Ora questo patrimonio storico è minacciato dall'accademizzazione, dalla professionalizzazione e dalla specializzazione; l'omologazione degli intellettuali nell'era della tecnica e dei media potrebbe condurci alla paralisi, all'incapacità di pensare il nostro destino e di agire di conseguenza, a una filosofia del «giorno per giorno» che Morin vede già operante, per esempio, nell'ideologia di un pacifismo «rinunciatario» [... ]. Occorre quindi una nuova metamorfosi dell'Europa, un principio di organizzazione che affondi le radici nel nostro presente non nel nostro passato. Per parte sua, Morin indica il modello di un'Europa Provincia e Meta-Nazione, di un'entità politica in cui convivano regionalismi, corporativismi, dialetti, particolarismi di ogni tipo con uno «stile» culturale unitario, un «ecosistema» europeo, una nuova democrazia di cui siano costitutivi conflitto e pluralismo, una democrazia fondata su una «dialogica», vale a dire su una logica che comporti complementarità e antagonismo fra individuo e collettività [... ]. Concludo questa breve esposizione delle tesi di Morin con alcune domande e considerazioni critiche su cui vorrei invitarlo a pronunciarsi: 1. come pensa che gli intellettuali europei possano reagire alle tendenze in atto verso un drastico ridimensionamento del loro ruolo politico e sociale:?2. Se la ricchezza e la complessità dell'identità europea non si fondano sulla contrapposizione nei confronti di nemici esterni, perché questa enfatizzazione del conflitto con l' «altra» Europa, con i sistemi totalitari? 3. Il modello di democrazia delineato da Morin mi sembra stimolante e mi pare contenga molte delle esigenze espresse dai movimenti degli anni sessanta e settanta e dai nuovi movimenti ecologisti, tuttavia non dobbiamo dimenticare che la democrazia «reale» degli stati-nazione (con cui ancora conviviamo) si è duramente opposta a tali esigenze; non è un po' troppo ottimistico pensare che le attuali democrazie europee possano evolvere verso l'Europa Provincia meta-nazionale? 4. L'opposizione democrazia/totalitarismo mi sembra troppo netta e semplicistica: non sarebbe il caso di riflettere sull'organicismo della democrazia reale come sugli aspetti di complessità del socialismo reale? 5. Morin critica il pacifismo unilaterale come esempio di filosofia rinunciataria del «giorno per giorno», ma questo atteggiamento non rappresenta invece un esempio di rinuncia alla volontà di potenza, al segno di una rinnovata egemonia europea? Edgar Morin. Alcune critiche che ha fatto Fermenti sono giuste. Nella sostanza sono d'accordo, ma prima di affrontare questi punti voglio parlare un po' della nozione di «intellettuale», come fenomeno di origine europea, come fenomeno esso stesso complesso, come fenomeno sociale instabile. Un intellettuale non si definisce tale perché è un filosofo, uno scrittore, un poeta, un saggista, o cose simili. Occorre qualche cosa di più e cioè l'autoistituzione nel modo di porre problemi fondamentali di verità o non verità, di giustizia, di libertà, problemi filosofici e politici, sul piano pubblico, nel «foro» [.. .]. Un esempio storico di intellettuali sono i philosophes francesi del Settecento: sono scrittori, filosofi, poeti o scienziati come D' Alembert, ma si sono posti anche il problema generale della verità e della giustizia, e hanno scritto saggi o interventi su temi pubblici. Lo stesso vale per Emile Zola: quando egli scrive il suo J'accuse.sull'affaire Dreyfus, è uno scrittore che è diventato al tempo stesso un intellettuale, perché per lui il problema della verità è più importante di quello della ragion di Stato. Ma ci sono anche intellettuali di destra, tradizionalisti, che offrono argomenti per affermare che ~aragion di Stato è più importante di una verità astratta. Ma la funzione dell'intellettuale si vede soprattutto oggi. Il Seicento non aveva filosofi nel senso universitario, specializzati, come oggi. Pascal, Cartesio, Leibniz, Spinoza erano nello stesso tempo scrittori scientifici e filosofi, non avevano compartimenti nella loro mente, la stessa persona svolgeva diverse attività mentali e vi era comunicazione tra queste attività. Il problema dell'intellettuale nasce nel momento della specializzazione universitaria. Ma non è solo questo.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==