Alfabeta - anno X - n. 106 - marzo 1988

Alfabeta 106 Cfr pagina 19 Cfr/daNewYork Bill Viola e la video-art Giuliana Bruno A ccanto a Nam June Paik si fa sempre più strada nella video-art un giovane italoamericano, Bill Viola. Viola, cui il Museo d'Arte Moderna di New York ha recentemente dedicato una retrospettiva, è considerato uno dei principali esponenti della video-art oggi in America. Bill Viola, nato a New York nel 1951, fa parte di una generazione nata con la televisione e che si è formata artisticamente direttamente nella video-art, senza passare prima per il cinema o altre arti visive. Il suo percorso artistico inizia precocemente nel 1972 ed è rappresentativo dello sviluppo stesso della video-art. I primi video degli anni settanta mostrano una forte influenza del cinema sperimentale sulla nascente forma d'arte. Il fatto ad esempio che Bill Viola lavori da solo, senza mediazioni di tecnici, lo colloca nella tradizione del film maker-artista-artigiano del genere Stan BraAmalfi arte Aldo Colonetti L o stato dell'arte è fortemente condizionato dalla possibilità della circolazione delle idee, delle opere; non è possibile intervenire nel èiibattito, ma anche nella fase più propriamente creativa, senza conoscere, senza vedere da vicino opere di altri paesi, di altri linguaggi. Il paesaggio è sempre più internazionale, ma la comunicazione degli eventi è sempre meno materiale perché domina la logica della rappresentazione e del rapporto indi- .retto con le cose. I linguaggi sono sempre più complessi anche perché la stratificazione dell'esperienza non è facilmente decodificabile; le arti visive, in questa situazione di contemporanea presenza di storie tradizioni materiali patrimoni iconografici diversi, soffrono di questa realtà babelica. E non sempre un movimento o un artista singolo sorio in grado di leggere consapevolmente la diversità, il nonidentico. Da quattro anni, negli Antichi Arsenali della repubblica di Amalfi si tiene una rassegna internazionale d'arte, organizzata da alcuni enti locali della Campania e dalla Fondazione Arechi Arte di Salerno; il tema di quest'anno, come quello degli anni scorsi, è proprio l'intreccio dei linguaggi provenienti da esperienze e da luoghi diversi. America! America!, questo è il titolo dell'ultima rassegna che si è tenuta tra dicembre e febbraio di quest'anno: sono stati invitati otto artisti che operano in USA, ma sono di origine italiana. khage. Il processo di sviluppo della video-art in forme autonome attraversa un territorio abitato dal New American Cinema con cui la video art è indebitata, e di cui costituisce in qualche modo anche un erede. La costruzione dello spazio filmico di un Ernie Gehr o di un Michael Snow si ritrova ad esempio nelle esplorazioni dello spazio di Bill Viola attraverso particolari movimenti di macchina, come in The Space . Between the Teeth (1976), dove si arriva persino ad infilarsi nello spazio tra i denti. Nello stesso ambito di discorso, quello che P. Adams Sitney chiama «structural film», si colloca anche A Non-Dairy Creamer (1975), un'esplorazione in una tazza di caffè, che ricorda quella di Godard in Deux ou trois choses que je sais d'el/e, o Migration (1976), opere nelle quali si analizzano per movimenti progressivi le proprietà ottiche di una goccia d'acqua. L'esplorazione del!' «inconscio ottico» è rimasta una costante nei video di Bill Viola che dalla fase «strutturalista» si è mosso verso un senso quasi mistico del paesaggio mentale e fisico, dei paesaggi immaginari. Maestro nelle più recenti tecnologie computeriizate, Bill Viola non è però tecnocratico. I complicati processi di costruzione delle sue immagini non mostrano tanto le complicazioni del processo quanto comunicano una purezza primaria. Filosofie orientali aleggiano nella purezza delle immagini di Viola; insieme alle mitologie giudaico-cristiane, ritroviamo echi di filosofia greca, buddhismo e Zen. Lo scenario fa poco uso di parole: «Le parole nel mio lavoro - afferma Viola in un'intervista con Raymond Bellour - fanno solo parte del paesaggio sonoro». Viola è un appassionato viaggiatore; l'Asia, l'Africa, le isole del Pacifico, il Giappone, dove ha vissuto un anno, compongono lo scenario dei suoi video recenti. È infatti convinto che a differenza dei tempi di Gauguin oggi un artista con la sua cinepresa può scegliersi una sua posizione geografica in qualunque cultura. La natura, gli animali, i cicli, le mitologie e i rituali vicini e lontani permeano i video di Viola. In questo senso è costruito il progetto più ambizioso di Viola, il recente 1 Do Not Know What It ls I Am Like (1986), un video di 90 minuti che sembra confermare l'ipotesi di Mario Perniola che nell'era della «cosa videomatica l'arte non è più uno stile ma un rito». Bill Viola è anche noto per le sue video installations, che si riferiscono ad una ricerca dello spazio mentale di alcune figure nella storia. Una delle installations, intitolata Reasons for Knocking at an Empty House (1982), è dedicata alla memoria di Phineas P. Gage, un giovane ferroviere che nel 1848 ebbe un tremendo incidente. Una sbarra di ferro gli trapassò la testa da una parte all'altra. Ma miracolosamente si riprese e in breve tempo ritornò al lavoro. Mostrandosi di temperamento irascibile, fu licenziato e passò il resto dei suoi giorni ad esibire nelle fiere il suo cranio e la sbarra di ferro. Il suo teschio è conservato nel museo di Harvard. L'installation di Viola si riferisce a questo stato mentale. In una stanza vuota e buia, ci si siede su una sedia, una sorta di oggetto di tortura, con delle cuffie che mormorano strani e stre Come scrive nel catalogo uno dei curatori della mostra, Luciano Caprile, «sugli italiani, Emigrati Pittoricamente nel Nuovo Mondo, abbiamo poche testimonianze. Tra i più significativi Lucio Fontana [... ] un altro esempio Alberto Burri [... ] Altri, più o meno interessanti confronti, si potrebbero lo Scanga, mentre una tradizione tra il popolare-religioso ed elementi ieratici attraversa le opere di Jill Castlelove e di Claudia De Monte. Baldo Diodato trasferisce l'iconografia del mosaico nella modernità di materiali artificiali; la classicità delle forme e la ricerca dell'ordine quantitativo, il loro è h op~t1tlfu:2ll§!~~ill~~ifil! HENRi/truANl> TRA1t cRlsfALLo.:E'.·iL, Sàggid)ùtt'ò/gànitfaiiQ,;e °d JEAN-PIERRE o··•·'·•.·.·. , ORDINI E DTSORDINI < Inchiesta fu i{nruwvoparadig'ritd • . . -~. FRAN<:i;~()VARELX -:,• SCIENZA E TECNOLOG rADELLA e Direzioizie1nergenti-> . condurre a pretesto per accendere una discussione per tirare le fila di un discorso che confina con l'impalpabile, col personale, con l'opinabile?». Gli otto artisti manifestano diversamente questo incrocio di esperienze: una certa cultura pop rivisitata è presente in Guy Augeri, Kiki Sammarcelli e nei giochi di precario equilibrio di Itaun linguaggio di trasparente neoplatonismo, rappresenta, invece, lo stile di Peter Lodato e di John Torreano. I risultati, complessivamente, sono interessanti; la nostra è un'epoca di attraversamenti e non sempre è facile guidare nei grandi spazi della contemporaneità. Qualcuno ci riesce, qualche altro imita, altri ancora abdicano al loro ruolo di artisti e si trasformano in divulgatori. Amalfi, rappresenta un interessante tentativo di mettere ordine, perlomeno geograficamente, allo stato attuale della ricerca artistica, tra cultura mediterranea e immagini americane, tra Vecchio e Nuovo. 4• Rassegna Internazionale d'Arte Arsenali della Repubblica Amalfi, dicembre 1987febbraio 1988 Scrivere la pittura Lorenzo Mango P rima che l'astratto dominasse nel pensiero, prima . che la densità dell'immagine definisse l'arte, prima che la scrittura fosse solo strumento, prima, insomma, di tutti questi fattori che delineano - in larga parte - la nostra cultura e la storia esiste un luogo indistinto in cui il segno esprime l'assoluto della comunicazione. D'un segno ambiguo si trat- . ta, che sfugge alla regola ed alla norma d'un codice chiuso riferito tutto alla limitazione del significato. Il segno originario di cui si parla si istituisce, invece, sull'apertura all'illimite, sulla traccia grafica che, nel mentr~ nomina il senso, pure lo sfugge per tradimento iconico. È comprensibile, allora, che l'arte moderna sensibile al bisogno d'una ridefinizione globale del suo esistere proprio a quell'indistinto si rivolga sovente per abbandonare il dogma dell'immagine (figurativa od astratta che sia) e recuperare un segno che non sia solo trasuoni all'orecchio, avendo di fronte un video in cui ci si riflette come in uno specchio nella figura di Viola. Ogni tanto dalle cuffie si ode un grido lacerante. Un'altra installation di Viola si intitola Room for St. fohn of the Cross (1983) e riproduce la celletta, piccola da non poter stare in piedi e senza finestre, in cui San Giovanni della Croce fu tenuto prigioniero per nove mesi nel 1577, e dove scrisse le sue poesie. Nella celletta disadorna, tra un tavolo, una brocca di peltro e una mini TV si sente letteralmente l'eco delle poesie d'estasi, di notti scure e voli mentali, scritte dal santo. La celletta è collocata al centro di un'altra stanza, grande, sulla cui parete si proiettano immagini di voli sulle montagne, al suono del vento. Scolpendo col 'tempo, Bill Viola ricerca lo spazio rarefatto tra geografie menuili e temporalità. Bill Viola and the Visionary Company, New York Museo d'arte moderna (Moma) Autunno 1987 mite di comunicazione immediata del pittore ma risponda, anche, ad una scrivibilità dello spazio. La scrittura stessa, allora, viene intesa come gesto dello scrivere, come atto a monte della realizzazione alfabetica. Ed è, infatti, proprio con l'affermarsi delle lingue alfabetiche che il segno svanisce a favore del codice. La scrittura non contiene più in sé il germe iconico della comunicazione ma si pone su di un livello che esclude la percezione ed esalta l'astrazione mentale. Uno dei modi con cui l'arte visiva scelse di rivolgersi al mondo della scrittura fu proprio - specie negli anni settanta - privilegiare l'ufficialità della lingua e scompaginarla con un'attenzione analitica. La poesia visiva nasce proprio da un desiderio simile, dalla volontà di infrangere i limiti statutari del pittorico e dell'artistico mirando ad una contaminazione che «giocasse» sulla forma del linguaggio. Linguaggio, però, non scrittura, codice non segno. Già questa distinzione allontana il discorso dalla identità che si vuole all'inizio, all'origine del procedere scritturale. L'interesse teorico ed operativo che orienta oggi artisti e critici privilegia, allora, la scrittura sul linguaggio, l'atto dello scrivere sulla confezione della parola; anzi la scrittura è intesa come ciò che prescinde dalle parole. Lungo quest'asse interpretativo si è mossa l'ipotesi di Filiberto Menna, Fulvio Abbate e Matteo D' Ambrosio per la mostra Pittura Scrittura Pittura, che ha debuttato

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