Alfabeto 105 A più voci pagina s 1 L'arte OOiiie lavoro sulla • \ Leonetti. Caro Argan, poco fa, prima di approfondire i problemi del tuo Libro su Michelangelo e il suo manierismo, che tu stai per terminare, mi hai detto conversando: che l'arte si pone in crisi, oggi, insieme con l'etica del superamento. E che il post-moderno - come pur Michelangelo - nega appunto il superamento, il Laicismo, e gli atti progettuali o le utopie che cercano di costituire un «possibile» nel processo storico, nel movimento complessivo. (Permettimi di presentare in ordine utile a noi i tuoi propri argomenti e i momenti diversi dell'incontro con te.) Argan. Oggi vi è la crisi di tutta una cultura che si è data, come struttura primaria, la storia. E la storia è coerente raccordo tra memoria del passato, flagranza del presente, immaginazione del futuro. Il moderno è (o è stato) il contrario di ciò che fu l'antico in altri tempi, quando si pensava che i valori fossero tali in quanto stabili, magari eterni. Ma quel pensiero aveva un'essenza religiosa, che la cultura moderna ha abrogata: i valori la interessano perché mutano. Il ricambio dei valori non comporta però - ripeto ora qui - l'annientamento dell'idea del valore; al contrario. Non c'è modernità senza critica e superamento del passato; e non c'è superamento senza finalità, finalità senza intenzionalità, intenzionalità che non si traduca in progetto. Il rifiuto del superamento è il rifiuto della progettualità. Ora, la prima connotazione del post-moderno è stata già posta da Gianni Vattimo come annientamento del concetto di superamento: se non è superamento di un passato, il progresso è solo crescita quantitativa. Né altro che questa è la dinamica interna di una società dei consumi, sempre più indifferente ai valori d'uso e interessata ai valori di scambio. Tuttavia l'arte del post-modernismo non è affatto un sano o malsano ritorno alla tradizione; è la constatazione di uno stato di crisi. Il tradizionalismo infatti è soltanto apparente, svuotato di ogni significato dal fatto che dipende da uno stato di necessità, dall'impossibilità di poter fare altro. Non lo è, anche, perché, da quando nel Trecento il concetto di moderno è stato assunto come connotante dell'arte, nella cultura artistica occidentale non c'è stata altra tradizione che la tradizione del moderno. E infatti .. esiste, inoltre, l'arte è un lavoro sulla percezione: come dare a percepire qualcosa che si è percepito. E ha concorso fortemente a formare quella comune esperienza del reale • senza la quale non soltanto la cultura, ma la società stessa, non sarebbero possibili. Non si giunge alla percezione autentica se non attraverso la sua storia; ma non si può fare la storia della percezione se non facendo la storia dell'arte. Leonetti. Rileggo il tuo scritto del 1986, riguardante La Biennale di Venezia e La relazione di arte e scienza che è stata proposta in quell'occasione organizzativa. E peraltro gli argomenti di quello scritto (pubblicato in «Domus», gennaio 1987) sono utilizzati e ripresi qui, con tuo sviluppo. Tu dici che allora a Venezia il problema «è stato presentato da diversi punti di vista non tutti convincenti». non di un ritorno si tratta col post-moderno ma di una •• ~ • • .;.. ..,, i' - ricaduta; il passato è come una malattia che ci si por- • \t~ii(~\~\>. ta dentro e che, riacutizzandosi, scopre la propria .~ ---~. 1 ,;.;.,:,,.~..~-. ll"f,"!:;-; fata le inguaribilità. -:.c·.:' ·· -:''<,..;.::.:i. .. . -~ -,- ,. Col tanto frequente ricorso alla citazione (per lo più •.-• 1·· ~j./· · · :· :y ,:- sgrammaticata) si rievoca soltanto l'immagine, la facies - ' dell'arte citata: scompaiono le grandi coordinate che davano alla forma artistica forza cognitiva, lo spazio e il tempo. E oggi nella cultura e nella società ~ in atto una trasformazione strutturale; né si può ancora dire se nel senso di una più vasta laicità o di un più rassegnato e irredimibile conformismo. Leonetti. Ora più particolarmente ti interrogo per il dibattito aperto da Menna e da me in «Alfabeto»: che riguarda La situazione dei giovani artisti e scrittori oggi (con qualche modo di riferimento nuovo alle avanguardie) e Lametodologia critica utile a ridare orientamento o chiarezza o polemica esplicita nella ricerca. In alcuni di noi operatori del Sessanta riteniamo che i fenomeni del post-modernismo siano stati in parte recessivi. Tu poni un accento forte sul- /' esigenza di ripresa della progettualità (che, io penso, va ridefinita in termini più fluidi, accorti o tempestivi, che anni addietro). E però nel tuo discorso teorico e critico è importante, anzitutto, un'interpretazione decisiva tua propria 1ella per'ì(zione e dello svuotamento che oggi viene ad essa imposto. Argan. lo ritengo che la pura percezione non sia affatto un dato dell'esperienza empirica. Ci sono dei sovrapposti e stratificati sedimenti culturali (basti pensare, per citarne uno solo, alla prospettiva) che fanno parte del nostro atteggiamento, ma pensandoli storicamente acquistano tanta trasparenza da non offuscare la realtà primaria dell'atto percettivo. E sono proprio essi che ne costituiscono la struttura. Non è un atto solo fisiologico, ma psichico. Da quando Stop, La questione orientale -· .'·, E non sembrava che Làci fosse - osservo io - Laconsapevolezza che il quesito più recente era stato posto da alcuni epistemologi, Kuhn e Feyerabend, e anzitutto da Popper (mi è avvenuto già in «Alfabeto» di darne riferimento criti- • co): come conseguenza della messa in crisi della nozione di «certezza» nella ricerca scientifica, dopo che è caduta la verifica sperimentale. E dunque si arrivava a dire che La storia della scienza in se stessa non è un'approssimazione alla verità, né per ·accumulo né per altra via di approfondimento, ma, proprlo come nell'arte, è una storia di stili. Vi è oggi una pausa, mi pare, su questa posizione scettica pur se rigorosa. Nel tuo discorso, diversamente, vale un'attenzione straordinaria ali'arte che, cercando di stabilire Lastruttura e il valore della percezione autentica, opera, tu dici, «con metodi scientifici ma all'interno di una cultura storica» (e in tal senso ti riferisci anche al design). Il nesso che tu poni fra scienza e arte è molto importante, in quanto arrivi a dire dell'arte., «è sempre stata relazione progettata, controllata e finalizzata, tra: percepito, e dato a percepire.» E aggiungi: «Era così quando era intrinsecamente religiosa e dava direttive di comportamento ai devoti; perché non dovrebbe essere oggi intrinsecamente scientifica e dar direttive di comportamento scientifico, o almeno razionale, a una società che vede nella scienza L'assedella propria cultura?» Scrivevi così negli anni scorsi, e io cito dal saggio breve apparso in «Domus», dal quale mi hai proposto di ripartire. E ho riassunto, in più tratti, il tuo pensiero non per riaprire i quesiti di statuto epistemologico di arte è di scienza, ma per chiederti ora, ne~'orientamento del nostro lettore, una tua valutazione analitica della situazione dell'arte nel- /' attuale società di massa, come più recentemente appare. Argàn. lo credo che sia importante oggi modificare il concetto di scienza, generalmente intesa come un'attività «modello»; mentre oggi il fatto stesso che la scienza è così legata con la tecnologia ripete, a una dimensione molto più vasta, la fase del manierismo: che è la fase dell'intellettualizzare la tecnica (in contrasto col binomio di teoria e pratica, quale è nel laicismo rinascimentale di Leonardo e nella modernità particolarmente novecentesca). E per l'arte stessa il punto è: quale concezione della storia riescano oggi i giovani a legare con un nuovo concetto di scienza. Siccome l'arte è la sola attività di cui si faccia la critica in presenza del fenomeno, è possibile che si elabori proprio attraverso Lastoria dell'arte un pensiero storiografico capace di captare il senso dei fenomeni attualmente imposti a un consumo immediato e irriflessivo. La massa delle immagini emesse a getto continuo (dagli oggetti passando alla produzione e gestione di circuiti dell'informazione pér mezzo d'immagini) è tale ormai da ridurre l'immaginazione degli utenti a un ruolo passivo. C'è un blocco dell'immaginazione, e quindi di ogni intenzionalità progettuale e costruttiva. E il problema, come ho già detto altre volte, è: la società in via di formazione avrà ancora un proprio sistema di valori? Ne farà parte il valore estetico, quali che siano per essere le tecniche capaci di produrlo? Se la società futura sarà interessata soltanto al consumo, ammetterà ancora il concetto e il giudizio di valore, quando è chiaro che il valore e il giudizio sono una remora al consumo massiccio, indiscriminato, distruttivo? ,_ ,,t· A riflettere sui grandi avvenimenti del nostro , V/ secolo, per esempio l'uccisione di Kennedy, ci ;./ _À, accorgiamo che non sono stati storicizzati. E non • si è giudici dove si è stati testimoni. Noi siamo nella condizione del protagonista della Chartreuse stendhaliana che vede Waterloo e non capisce niente. Chi partecipa è coinvolto e non vede l'insieme. Si può raggiungere oggi una capacità di giudizio dei fatti flagranti che ci depassano? Certo sta innescandosi un processo in cui la percezione, data come pensiero, finisce di esercitare una gran parte del pensiero; la percezione, invece che come pensiero, si dà come premessa o materiale su cui si esercita il pensiero ... Si prepara un mondo che sono ben contento di essere sicuro di non vedere. Leonetti. Anch'io ... Vorrei dare qui infine, altre tue definizioni e battute, che condivido con entusiasmo, riferite sia ali'arte che ali'ambiente. Anzitutto tu dici: «Quella che Schiller chiamava educazione estetica come educazione alla libertà è oggi educazione alla percezione cosciente». E aggiungi con precisione: « È logico che il potere, responsabile della degradazione de~'ambiente, non desideri tale educazione ... E questo può spiegare lo stato indecente delle scuole del/'arte e il pervicace rifiuto di riformarle». Infine diciamo insieme: «Ma tutto questo discorso nasconde un'intenzione politica? Certo, certo... »
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