Alfabeta - anno X - n. 105 - febbraio 1988

Alfabeta 105 Prove d'artista pagina 37 Il SQ(J ~~o di volare P resso un'agenzia periferica del Centro investigativo NASA situata in Alessandria d'Egitto, alle ore 9 del 9 settembre 1999 il computer Dàidalos IX programmato per le ricerche di oggetti smarriti nello spazio capta un messaggio del capitano J.W. Maze, partito nove anni prima dalla Terra a bordo dell'astronave «Minotaurus» con un equipaggio di sei uomini e sette donne. Missione ufficiale della «Minotaurus» era una ricerca scientifica sul pianetino Icaro (scoperto dall'astronomo Walter Baade nel 1949) per l'occasione dell'intersecarsi della sua orbita con quella del pianeta Giove. Ma nove mesi dopo la partenza i collegamenti tra l'astronave del capitano Maze e la centrale di Houston si interrompevano inspiegabilmente. Dopo sette anni di incessante silenzio e di vane ricerche, il Centro Investigativo NASA archiviava la «Minotaurus» con il suo equipaggio di sette uomini e sette donne nell'elenco dei «dispersi per cause sconosciute». L'inatteso messaggio di Maze viene immediatamente trasmesso al Centro di Houston, i cui esperti trasaliscono più per la stravaganza del suo contenuto che per la sorpresa del suo arrivo. «Io, capitano J.W. Maze, trasmetto la parola. 'fine' alla mia missione contando le tredici morti dei miei compagni e senza nessuna speranza per la mia sopravvivenz~, nell'inestricabile labirinto di Icaro sulle cui terre, maledette da paludi di gas, siamo sbarcati nove mesi or sono. E maledico da parte mia il folle volo e chi ci sospinse nell'insensata caccia alla verità di un antico mito che già tante vittime ha sacrificato. E sacrifica ancora oggi. E continuerà a sacrificare domani finché gli uomini si ostineranno nel coltivare il sogno di volare come volano gli uccelli. «Perciò invece di tacere parlo: per i miei figli e i figli dei miei figli, poiché non c'è il passato e non c'è il futuro ma c'è il presente soltanto. E lo spazio, con le sue distanze sterminate, ci inganna fingendo il prima e il dopo di un tempo che esiste unicamente come illusione e apparenza: un imbroglio nefasto. «Così l'antico mito di Dedalo e di Icaro si è svolto adesso, qui a Icaro, sotto i nostri occhi, sopra le nostre carni, e Dio non voglia che si svolga ancora altrove e sempre, sacrificando una teoria di vittime innocenti. «Io, capitano J.W. Maze, trasmetto alla Terra e agli uomini della Terra e ai miei figli in particolare la verità dei fatti che vedo e delle parole che ascolto. Niente di buono nasce da un omicidio. Chiunque collabora con l'assassino precipita incontro al suo giusto destino: sarà egli stesso travolto dal proprio finale e ineluttabile assassinio. «Così vidi e così vedo Dedalo uccidere l'imberbe nipote n ·1 ,- ) • J Paolo Pietroni - .. Taio, figlio della sorella Policasta, precipitandolo dalla sommità di una rupe per invidia verso il fanciullo che già lo supera nelle arti di architetto e inventore. Come ci ha trasmesso la leggenda. Ma la leggenda ci ha nascosto il modo. Ho sentito e ancora sento con le mie orecchie l'assassino Dedalo persuadere Taio: riuscirai a volare da questa rupe, basta che tu lo voglia. «Così ho visto Dedalo processato dagli ateniesi e condannato all'esilio. E l'ho visto costruire il suo perfido labirinto a Cnosso, per conto del re di Creta Minosse. Ma la leggenda ci ha nascosto il perché. Non per celarvi il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro nato dall'amore di Pasifae, moglie di Minosse, con il toro bianco di Posidone. Ma per spingere a volare i sette ragazzi e le sette ragazze che ogni nove mesi Atene manda a Creta come tributo della sconfitta in guerra, e che Minosse dà in pasto al Minotauro nel labirinto disegnato da Dedalo secondo i segni della danza di un uccello ambiguo: la pernice. Quanti di essi i miei occhi hanno visto sfracellarsi nel disperato sogno di spiccare il volo dalle mura del labirinto, dopo avere indossato le ali di penne e cera che Dedalo gli fabbricava a mano mano: voi riuscirete a volare, basta che lo vogliate. «E ancora prima vidi l'insaziabile Pasifae entrare nella finta vacca di bronzo costruita dall'infaticabile Dedalo affinché il toro bianco potesse montarla. Ma la leggenda ci ha nascosto lo scopo. Ho ascoltato Dedalo persuadere la moglie di Minosse sul frutto del bestiale coito: la sua metamorfosi in donna-pernice, così che lei possa volare via dal labirinto in cui Minosse, l'ha rinchiusa per soddisfare indisturbato le sue brame con l'amante Svilla. «E infine io vidi e vedo finalmente Icaro; figlio di Dedalo, imbracciare le ali di penne e di cera e spiccare il volo verso la libertà. Ma la leggenda ci ha nascosto quando. Non quando Minosse scopre di chi sia veramente figlio il Minotauro: l'infame Dedalo subdolamente prese il posto del toro bianco imitandone la furia amorosa sulla cieca Pasifae prigioniera nella vacca di bronzo. Non quando il vigliacco Dedalo fugge dal labirinto, di cui conosce e tiene ogni segreta chiave, per scampare all'ira di Minosse, inventando le vele e non le ali per battere le navi del Re verso occidente. Non quando Pasifae, per consolare Icaro del tradimento di Dedalo fuggito notte tempo a sua insaputa, gli propone di uccidere il Minotauro e di accoppiarsi con lei usurpando il trono di Creta. Non quando ... IBIS ... » Qui s'interrompe il messaggio del capitano J.W. Maze. Invano il Centro Investigativo NASA sollecita una qualche continuazione inviando messaggi cifrati nello spazio. Gli esperti giudicano le parole trasmesse da Maze «prive di un possibile significato logico». Si propende verso la diagnosi di una particolare forma di schizofrenia spaziale già osservata in alcuni casi esemplari. Ma un egittologo greco s'incanta specchiandosi nelle ultime cinque lettere del messaggio. Riflette sulla circostanza che il computer ricevente, Dàidalos IX, sia ubicato ad Alessandria d'Egitto. E rispolvera una leggenda obsoleta secondo cui Icaro, precipitato nel mare Egeo dopo che il calore del sole aveva dissolto la cera delle ali, venne trasformato non in una pernice, come già la zia Policasta, ma in un uccello fino allora sconosciuto: l'Ibis, che migrò in Egitto e divenne sacro, nidificando tra i rami spinosi di una mimosa chiamata «Harari», e cioè: «capace di difendersi da sé». Appunto come propriamente un labirinto. L'egittologo, sentendosi prossimo alla decifrazione di uno sconvolgente enigma, chiese alla NSA spiegazioni sulla vera natura della Missione del capitano Maze, il cui nome in americano significa «labirinto». Venne dissuaso energicamente dall'approfondire il caso. E da quel giorno incomincio egli stesso a sentire il desiderio di volare. Ogni tramonto scorgeva stormi di bianchi Ibis levarsi in volo da rami di mimose contro il cielo rosso. E agitava le braccia in segno di richiamo. Caro Paolo Pietroni. Ti raccontoche ho capito cosasia l'oracolo delfico quando l'estate scorsa ho letto Genet: dove risulta essere un'organizzazionesacerdotalenon ben riuscita,con un usoeccessivo di ambiguità sui vari destini, e con guasti connessi ad intrighi. Ciò mi viene in mente perché ti ho letto comeelaboratore di giochi oracolarinella tua plaquette di anni fa (coniconepressoRizzardi)e perché in questo Sogno di volare mi sembra che, al di là dello sgomentospazialeconnessoal mitologicoe ad altri valori, tu forse vuoi distanziarenelladiffidenzauna nuovaorganizzazionesacerdotale: quella appunto dei voli spaziali.Infatti il tuo proprio atteggiamento - non solo perché sei stato allievodi Paci, e reporter, amatore del computer, specialistadel visivodopoWarhol, ma per scelta linguistica- è corrosivoin termini lucidi.Con la costellazionedi Borges. Non dico, per ciò, niente di male sul volo e sul sogno, dato che è «follevolo»anche quellodella conoscenzae quellodi Ulissedantesco; mi piace anzi che tu presenti la conoscenzacome bloccata e insieme spinta dagli enigmi di potere. E con altri mostruosi congiungimenti, che forse tramandano quelli che secondo la biologia hanno decisotalune forme evolutivedelle specie... Infinemi piace il capovolgimentodi se stessi, sul suolo lunare, che, come Boatto ha detto, ci rende psiconauti, fuori di spazio e tempo, e vedenti indietro e avanti... (Purché non appesi per i piedi.) E dunque, a ciascuno che vuole, basta che voglia: buon volo, buona fuga dal mondo, buon sogno, e buon giocosul proprio nome. Francesco Leonetti

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