Alfabeta - anno X - n. 105 - febbraio 1988

Alfabeta 105 in piccoli affari e commerci, e in una trita voglia di piacere al primo venuto, mentre ora egli aspira soltanto a liberarsi di lei e a ritrovare la calma meditativa di Admont, dove si sarebbe aggirato per tre giorni, dopo la definitiva partenza di lei che non avrebbe mai più visto, per riprendere romanticamente ed egotisticamente possesso di sé. Un possesso che in un altro più breve e bel racconto, Barbara del mare, che per certi lati fa da antifona a tutti gli altri del libro, non ha più di sé lo sconsolato narratore-protagonista, il quale davanti al mare impolverato e accecante di Santa Marinella, ricorda la luce aurea di un altro mare e di un altro tempo, quando, anni prima, era nato un amore infantile e a suo modo assoluto fra suo figlio Federico e la bambina Barbara. e ' è qualcosa di enigmatico e profondo che accomuna l'uno con l'altro i diversi racconti del libro, ed è l'esplodervi o l'implodervi di una crisi, di un dramma, di una tensione o di una separazione, dopo che l'evento o il dramma è stato preparato da un segno magari lontano, da un avviso quasi impercettibile, e portato a un tratto simbolicamente in primo piano. E vi primeggia la crisi con un 'immediatezza che non esclude perplessità anche labirintiche della mente ormai matura, di chi seguendo la via maestra del romanzo moderno - da Conrad, a Schnitzler, o a ·F orster, non a caso ricordati dalla scrittrice in più occasioni attraverso veri e propri abissi - percepisce a un tratto di essere giunta a un punto di rottura e di non ritorno. Come in L'ultima notte di Scharazad, senz'altro il più articolato strutturalmente fra i racconti del libro, dove la vicenda complessa, ambigua, non priva di colpi di scena di Irene, Walter, Rosa, e dei due bambini Alberto e Albertino, risulta solo un ampio antefatto che ritarda - come nel modello non a caso evocato dalle Mille e una notte - la morte annunciata di Irene dopo quella pietosa del piccolo Albertino, suicida dopo che Walter l'ha brutalmente liquidata. Se una legge narratologica di fondo vale in questo libro, è forse quella dell'intelletto d'amore che impalpabilmente, impercettibilmente, si muta nel proprio contrario, in un disamorato senso del vuoto, che può fin diventare losco o ribaldo, dopo esser passato attraverso defatiganti attese, a oscuri sogni a occhi aperti, o a veri e propri incubi. Come in Cena del primo dell'anno con ospiti di riguardo, il cui protagonista, un cattedratico spiazzato a un tratto in un mondo di mezze figure intellettuali, si trova a disagio parlando, appunto, di Forster, fino ad averè una vera e propria crisi di straniamento, e un conseguente malessere fisico. Non sempre il dramma esplode, tuttavia, così violentemente. A volte è solo un ematoma dell'animo che si percepisce in un secondo tempo, un piccolo enigma che non trova soluzione, come quello della fuga o scomparsa dei cani Jolly e Poker nel relativo racconto, il cui effetto si ripercuote solo dopo, quando il padrone di Jolly comprenderà di non aver saputo rispondere alla scelta e all'affetto inarginabile dell'animale. Altra volta, come in Invitato al Congresso, ci sono tutti gli elementi per un'agnizione e un riconoscimento profondi; ma il protagonista Guglielmo ormai all'età in cui non si mettono fino in fondo in discussione le convinzioni _e le scelte fatte tanti anni fa, si abbandona a uri quieto (e inquieto) nichilismo. Né la Sanvitale dà sempre forma al dramma che punge dietro la superficie lucida delle sue storie, e accenna al puro incresparsi della descrizione, quando, ad esempio, parla quasi gelidamente dell'opera pittorica di Sonia Alvarez in Breve racconto di un'esplorazione. Mentre in La macchina elettronica, il malessere forse destinato a farsi mortale, da cui sarà colpito un celebre scrittore al momento di accomiatarsi da un giovane vicino di casa esperto in computer, che parte per l'America, mette involontariamente in crisi i valori personali e culturali che avevano caratterizzato da sempre la sua sorte. Ed è proprio quanto accade in modo molto più esteso ed emblematico nell'ultimo racconto che intitola il libro, La realtà è un dono, appunto, che ne riassume, si direbbe, la materia e la forma, il lucido e maturo declinarsi in lampi di nero: il valore costruttivo che in esso possono assumere sensi e sentimenti, corpi e animi, sesso e destino, quando vengono posti alla graticola di un'energica lingua narrativa, che ne scopre il labirintico e quasi biologico mutare e scegliersi. La realtà è un dono è il racconto di una vacanza a Vienna (ancora, dunque, in una delle capitali del romanzo moderno), di una ricercatrice farmaceutica di mezz'età, Irma, che dalle delusioni in cui incorrerà in un luogo e in un'occasione da tanto tempo attesa, trarrà la forza per rimettere in discussione se stessa alla radice, riconoscendo tutta l'importanza di certi lati di sé, che fino a quel momento aveva come rimosso o represso. La spia fisica ne sarebbe stata, in rapporto al suo corpo ancora Colonna Brutta posizione Cfr asciutto e compatto, il seno pesante e formoso, e fino in qualcosa mostruoso per un suo sviluppo ipertrofico. Un difetto che, nella sua mente, si sarebbe allora mutato in pregio, dopo che in un giorno di particolare solitudine e sofferenza, di infelicità della vacanza viennese, andando la sera all'Opera, Irma avrebbe finito con lo schiacciarsi violentemente un dito nella portiera di un taxi. L'esito dell'incidente col r~ativo bisogno di cure all'ospedale, e di una giornata passata in albergo per riprendersi, sarebbe stato per Irma l'incontro con Michele, anche lui malato nell'animo, in attesa della giovanissima moglie Adelina momentaneamente assente per un congresso, di cui è infelicemente innamorato dopo aver subito un infarto che lo ha debilitato e invecchiato anzi tempo. L'incontro di Irma e Michele non sarà proprio d'amore, ma semmai terapeutico per la reciproca situazione, per la loro complice sessualità di vecchi bambini. Il risultato per Irma, dopo la vacanza a Vienna e il ritorno a Roma, sarebbe stato di far crescere in fondo a lei un'attesa di: «... non si sa chi o che cosa ... » (p. 258). Da allora avrebbe cominciato a vedersi sotto un'altra luce. Non più volontarista come i cavalli lipizzani che aveva visto con ammirazione danzare il pas de deux al Maneggio a Vienna. Forse ugualmente disperata in assoluto, ma determinata a resistere, a non cedere, avrebbe cominciato a concedersi qualche vacanza del corpo e del- ! 'anima; ad andare sola al cinema ·-·-•·-- --- :!,, •I di sera, cosa che non si era mai concessa prima; a curare di più il proprio corpo; a guardare sfrontatamente negli occhi i giovani che, per caso o per scelta, le si avvicinavano. Ne sarebbe nato l'amore per il giovane profugo greco Nikos, non proprio venale ma neppure disinteressato, più coinvolgente per lei nel corpo e nella psiche, di quanto non le fosse mai accaduto fino allora. Allora si era detta che: «... chi entra nella realtà, deve abbandonare molti universi ... » (p. 275). Successivamente, ancora invecchiando, si sarebbe ridotta a più piccole scelte quasi maniacali, a coltivare abitudini forse senescenti, da cui non si sarebbe più liberata. Ma senza più specchiarsi nell'altro come in un doppio, conscia della propria oscura vitalità, e per sempre diversa da quella che era stata prima di andare a Vienna. Irma avrebbe pertanto scoperto con chiarezza, forse a prezzo di traumi e di lividure indelebili, che in un universo vuoto e privo di ulteriori implicazioni allegoriche, o simboliche, anche la nuda realtà «è un dono». Non è più l'antico velo corporeo da dover esser superato o rappresentato, e nemmeno da «fingere» espressivamente: ma è il nudo e forse spietato dare e avere della scrittura, che ora si spende e consuma, lucidamente, fino all'ultima stilla della propria energia. È il tenace, incrollabile programma di prosa-prosa di questo racconto così intenso e variegato, e degli altri maggiori che abbiamo del pari letto nel bel libro della Sanvitale. La cui evidenza e forza è proprio nel vero delle cose che sanno infine porsi in prospettiva abissale; quando l'intelligenza icastica e disincantata che le ha percepite, sa restituirne sulla pagina anche i suoni più aspri e dissonanti, gli «acuti» e i «larghi», l'anima e il corpo. Francesca Sanvitale La realtà è un dono Milano, Mondadori, 1987 pp. 280, lire 22.000 pagina 25 Occidente misterioso Attilio Mangano S e l'attività di Giorgio Galli come politologo e storico della sinistra è fin troppo nota, può forse aver suscitato stupore la sua scelta più recente di allargare la ricerca allo studio delle grandi correnti segrete dell'Occidente· e alla loro eredità nel mondo contemporaneo, all'importanza del filone orgiastico-dionisiaco, delle comunità erotico-libertarie e delle culture femminili. Sono argomenti così sovraccarichi di suggestioni e di leggende, di tabù e di mitologie da costituire un crocevia di problemi interpretativi e di questioni di metodo. Può darsi dunque che questo tipo di ricerca appaia come una sorta di «invasione di campo» agli occhi di specialisti vari e agli stessi gelosi custodi della tradizione esoterica (ma in quest'ultima l'attenzione ai rituali di trans-figurazione e di estasi si lega per lo più a modalità di «iniziazione» gerarchico-sapienziale e il dionisismo è guardato con sospetto proprio per i suoi tratti più trasgressivi e plebei). Se simili preoccupazioni esistono va detto che risultano poco fondate, l'invasione di campo effettuata da Galli è il risultato di studi maturati nell'arco di un ventennio (e del resto l'interesse di Galli per i problemi della magia e dell'esoterismo è noto da tempo). È proprio la lunga familiarità con l'analisi delle culture politiche e delle loro radici, del legame fra rappresentazioni simboliche e potere politico, fra comportamenti collettivi e rituali simbolici, a rendere più che plausibile in uno studioso come Galli l'attenzione alle dinamiche dell'immaginario, alle sue permanenze e discontinuità. «Le tracce delle tensioni sociali derivate dal come impostare il rapporto eguaglianza-diversità tra uomini e donne sono chiaramente percepibili nella cultura occidentale. I miti delle amazzoni e delle baccanti ci interessano da tre millenni; perché il cristianesimo sia la sola grande religione storica s~nza sacerdotesse, è una questione che non mi pare chiarita. La strega e la fata accompagnano ancora l'infanzia della società telematica.» La persistenza di un immaginario affonda le sue radici in conflitti lontanissimi e nella memoria che di essi è sopravvissuta. «In alcuni passaggi cruciali della costruzione dell'Occidente come civiltà, le tensioni e i conflitti tra 'femminile' e 'maschile' hanno avuto un ruolo superiore a quello sinora loro accreditato.» La tesi principale di Galli è proprio questa: nonostante il velo di silenzio che è stato steso su alcuni processi culturali «a forte presenza femminile», sono esistite storicamente delle culture femminili alternative (Baccanti, Gnostici, Streghe) che subirono una dura repressione. La sconfitta di questi movimenti è stata inoltre il risultato di un'elaborazione culturale specifica, non solo cioè di una repressione ma di un vero affinamento di strumenti di controllo e di una costruzione di istituzioni che hanno avuto una portata epocale per la stessa storia dell'Occidente. La nascita della democrazia (e la fondazione ellenica della filosofia) in Atene, l'affermazione del cristianesimo e la sua istituzionalizzazione, •la democrazia rappresentativa delle rivoluzioni borghesi (e il moderno pensiero scientifico inaugurato da Galileo e Newton) costituirono insomma una risposta ai movimenti alternativi e

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