Alfabeta 105 sognavamo un pranzo così, sempre annoiati voi, a noi in tempo di guerra non mancava il sorriso. La guerra delle donne comincia proprio con i sorrisi. «Roma era felice quel dieci giugno del 1940.» Mafai ci restituisce «le chiacchiere» che avrebbero accompagnato tutto il conflitto, da quelle fiduciose «sull'arma segreta», un raggio della morte preparato da Marconi, a quelle atroci sulla deportazione degli ebrei «Circolano voci strane e terribili: c'è una prostituta ebrea, certa Cesira Di Porto, che per denaro vende i suoi ai tedeschi, e prende un tanto a uomo. Li cerca, li trova, e quelli si fidano ignari, e lei li consegna ai tedeschi che li portano dritti nei forni. Per denaro si fa tutto e si ottiene tutto, ma se sei ebreo no, non è bastato tutto l'oro del Ghetto a risparmiare la sua carne giudia. Ci sono donne che per denaro si vendono ai tedeschi, si riconoscono dalle calze di seta, dalle pellicce, dai profumi. E non hanno mai fame. Circolano voci e notizie orrende: ci sono donne nelle stanze in cui i tedeschi cercano di strappare le confessioni con la tortura. Sono ubriache, sono drogate, sono impazzite, ma ci sono anche loro. Circolano voci assurde: che i tedeschi vogliono rapire il papa, che il papa protegge gli antifascisti, che in Vaticano ci sono le spie americane ... ». La guerra di Pane nero è insieme chiacchiere e due milioni e mezzo di famiglie affamate. Un capitolo si apre secco: «Fu ancora un buon inverno per lo sci quello tra il 1942 e il 1943», un altro racconta il processo ridicolmente laborioso per trarre in casa fecola di patate dai miseri ortaggi che si riescono a comprare. Vedova, moglie, amante, mamma, sorella, giovane fascista, staffetta partigiana, miserabile mondina, fascinosa ereditiera. La donna attraversa con sofferenza e coraggio il conflitto scoprendo che si tratta anche di un'occasione di emancipazione. Si lavora per sostituire gli uomini. «Come sono entrata mi hanno messo a uno dei lavori più belli che c'era alla Fiat. Una gabbia tut-. ta di vetro, provavano gli interruttori di minima, quelli che mettono dentro le dinamo delle macchine. Avevi un morsetto con un bel quadro davanti tutto luminoso (che è poi quello che mi ha rovinato la vista) e lì dovevi saldare i capicorda, tagliarli, misurarli, metterli a posto. Insomma era un lavoro difficile, ma bello pulito.» Si lavora per sfamarsi: «Avevano le mani scorticate dall'acqua bollente anche le donne della Cirio, a Napoli. Non potevano lasciare il lavoro nemmeno per un minuto e quando si mettevano il camice per entrare nel reparto, si toglievano le mutande e se le mettevano in tasca. Così quando avevano bisogno di fare pipì la facevano lì per terra, stando in piedi e continuando a lavorare. Alla fine della giornata si buttava la segatura in terra e si spazzava». L e donne sono ignoranti, una su due non sa leggere, pensano ai bambini (nel 1940 ne nascono un milione, contro ( cinquecentomila del 1985), fanno le code, cucinano gli intrugli che la tessera annonaria permette, vanno in treno a cercare le uova alla borsa nera di campagna ma poco a poco, irresistibilmente, la guerra le spinge a essere autonome. Presto lavorare non sarà la sola emancipazione: un tribunale stabilisce con tanto di sentenza che il marito, dal fronte, ha il diritto di decidere dove la donna deve risiedere, norma legale che bombardamenti, famiglie sfollate, sbarco degli americani, invasione nazista e guérra partigiana rendono ridicola e inutile come tutte le altre. È quasi sempre un uomo a mettere in movimento le donne, un padre che affida alla figlia due volantini da recapitare, un marito che nasconde una rivoltella nella borsetta, uno zio fascista che esorta all'arruolamento nelle Ausiliare della Repubblica di Salò: ma dopo questa spinta è la stagione, breve e terribile, di una vita da pari, in cui essere donna è un'arma come un'altra per sfuggire alla perquisizione delle SS, ma non serve di fronte alla tortura e alla forca. Miriam Mafai è stata capace di raggiungere una forte unità tra strumento espressivo e messaggio, con la sua scrittura onnivora ci consegna tutta la vita quotidiana della guerra al femminile, e la mancanza di omissioni rende il quadro assurdo e reale. Quando manca po- ~ Cfr l'impossibilità di dissezionare il passato con la precisione del chirurgo: la materia dei racconti, i ricordi di donne che si sono fatte guerra a morte le appaiono inestricabili, i percorsi continuamente intrecciati, le orme, le direzioni, le intenzioni confuse. È la scoperta e il tributo che Mafai offre alle donne delle generazioni più giovani: avendo vissuto in proprio un'esperienza di emancipazione tutta di combattimento, di grinta, senza abbandoni ""permessi, concede adesso il dono più intimo, una matassa di orrori e sorrisi, parti e sconfitte, ricette e strategie, code e passi di danza. Con la speranza - non priva di ansia - che il passaggio di sapere avvenga davvero, integrale, compresa la fine amarissima, quando, dopo il 25 aprile le partigiane combattenti entrano nelle città e vengono bandite dalle sfilate della Liberazione, perché non sta bene e la gente penserebbe male di quella promiscuità di guerriglieri: «Nessuna partigiana garibaldina ha sfilato. Mi ricordo che strillavo 'VoStop, Chi berrà questa broda? co alla fine e il massacro raggiunge il parossismo, la modista Biki conduce imperterrita la sua vita: «Si giocava molto: a golf e a tennis. E di sera si giocava a canasta, a singapore, a poker, a bridge. Gli uomini? Certo molti giovani erano partiti, ma ne erano rimasti tanti; gli studenti e coloro che dirigevano le aziende erano stati esonerati. Uomini ce ne furono sempre nelle ville sui laghi. Io ho continuato sempre a disegnare e preparare vestiti. Le stoffe le facevano a Como. Preparavo anche della biancheria, bellissima; sì, tutta di seta, anche durante la guerra. Anche durante l'ultimo inverno». C'è nella atarassia con cui Mafai riporta questa testimonianza, certo, l'occhio freddo del cronista, che seconda la regola classica «show don't teli», mostra e non dichiara, facendo parlare i fatti. Ma c'è anche qualcosa di più, come se l'autrice ripercorrendo i suoi anni di guerra si fosse accorta di una forma non immediatamente visibile di comunicazione, se non ancora unità, dell'esistenza e della storia. Mafai prende così atto delglio vedere proprio se mi sbattete fuori' "Tu non vieni, se no ti pigliamo a calci in culo!'». La gente dichiara «puttane» le combattenti, le incita «ma va a fare la calzetta», «ci vorranno molti anni, almeno una generazione, perché le donne, a livello di massa, siano tentate ancora una volta dal gusto della trasgressione e dell'autonomia». Miriam Mafai Pane nero Milano, Mondadori, 1987 pp. 277, lire 20.000 Francesca Sanvitale Marco Forti F rancesca Sanvitale ci torna con i dieci racconti di La realtà è un dono (1987), dopo i suoi precedenti romanzi: ed esattamente dopo IL cuore borghese (1972), il suo notevolissimo libro di esordio, che puntava tutte le carte su una crisi di personaggi che abolivano e congelavano il loro dramma o il sentimento in un prevalere dialogico di pure specu- . pagina 23 !azioni intellettuali; dopo Madre e figlia (1980) in cui, viceversa, ricomparivano con violenza il dramma individuale e lo scontro lacerante, addirittura traumatico fra le generazioni; e dopo L'uomo del parco (1984), in cui la protagonista cercava la salvezza sia nel sogno e in una febbrile autoanalisi, che cercando di esorcizzare nella narrazione il male individuale di vivere, e quello sociale che pare dilagare. Con i racconti di La realtà è un dono, ora ampi come brevi romanzi, e ora messi a fuoco più concisamente su una situazione quasi sempre di crisi quando non traumatica dei personaggi, la scrittrice punta a più di uno scopo. Mentre da un lato si ribadiscono certe costanti di fondo di una maturità d'intelletto e di scrittura, dall'altro si mettono a fuoco narrazioni relativamente scorciate, più legate all'evidenza di un'occasione, anche quando - e ciò avviene nella maggior parte dei casi - il racconto non si dà in presa diretta, ma come in un giuoco di specchi, in un susseguirsi di stratificazioni, di approssimazioni, che portano ogni evento al topos del racconto stesso, quando, ancora una volta, entro un'energica cornice .intellettuale, bolle, si muove, si agita e strazia, fino al limite di rottura la misteriosa casualità della vita. Questo avviene già, con particolare energia ed evidenza, e con arte possente e screziata, nel primo racconto del libro, L'età dell'oro, in cui, in un misurato alternarsi fra la prima e la terza persona narrativa, fra l'oro del passato che ancora preme e un diverso presente, si racconta la storia di cinque personaggi, ma infine soprattutto di Margherita, dal tempo di una collettiva vacanza londinese, che oggi appare a tutti come una mitica «età dell'oro». Un tempo irripetibile di amicizia solidale, di passioni e di intenti comuni, anche di sentimenti che hanno soprattutto il loro specchio in una fede incrollabile, più nella parola che nei gesti. Una fede e una comunanza che, proprio lì ebbero la prima incrinatura, quando Margherita scoprendo la sua essenza - come è detto - di donna centauro: «... nella parte superiore angelicata e sublime, nella parte inferiore fatta per essere penetrata senza riguardi ... » (p. 16), in un momento di crisi di identità e di sconforto, avrebbe incontrato ai Kew Gardens, lo sconosciuto ragazzo inglese Milton, affidandoglisi. Dopo alcune incertezze e tergiversazioni, ne sarebbe nato un incontro di poco più di un giorno, di violenta passione fisica non proprio consumata, e invece di assolute e irripetibili reciproche giovanili confessioni, che avrebbero ulteriormente modificato e fatto maturare per sempre il futuro anche di tutti gli altri. È un racconto dagli spessori ed esiti notevolissimi, che nella relativa ampiezza e articolazione degli svolgimenti, anticipa la linea fittamente, compattamente discendente, l'impuntatura prosastica di quasi tutti gli altri del libro. Come in Nostalgia per Admont, in cui il narratore-protagonista visitando con Lou il campo di sterminio di Mauthausen, prende coscienza della decisione di volerla lasciare, dopo essere rimasto orripilato dalla sua insensibilità, e averla vista mangiare con noncuranza le more intangibili nutrite del sangue delle vittime trucidate dai nazisti alla «scala della morte». Lou, ragazzina che egli vede a un tratto invecchiata senza maturare, incanaglita Settembre 1987 ALICE MILLER LAPERSECUZIONE DEL BAMBINO Le radici della violenza L'educazione considerata come fonte delle nevrosi e come repressione della vitalità. Saggi scientifici 268 PP· L. 26 000. RAY CUR O\\ SUSA!\ CURRAI\ IL PRIMOLIBRODI "INFORMATICA Un'introduzionr g(·nt-rale ai fondamenti teori<:i e tel'nil'i della Sl'ienza informatil'a. Con un glossario a doppia entrata, inglese e italiano. Superuniwrsale 490 pp. I,. 35 000 Riprese e successi PIETRO BARCELl,O1\A L'INDIVIDUALISMO PROPRIETARIO "Questo libro lo sento <'Ome una lettura drammatil'a dt•lla l'Ondizione attuale: un lihro aspro, violt·nto.;, Pietro lnf!r<IO Saggi 15:{ pp. l,. 11J 000 MARIE-LOUISE YO FRAI\Z L'INDIVIDUAZIOE NELLAFIABA La pro1t·z101w delle VO('J dell'inl'ons('io attravt·rso simboli delle fialw. Saggi 215 pp. L. 26 000 C. I·:.R. LLO) O SCIENZAFOLCLORE IDEOLO(;IA Le scienze della vita nella Grecia antica Ci1wl'ologia, hotani1·a, farmal'Ologia: razionalità t· 1-redenzt· in una immagine nuova e non "apologeti('a" dt·lla St'Ì«-nza gn·t·a. Sol'ietà antil'ht· 225 pp. I,. 35 000 AI\I\A FREUD L'AIUTOAL BAMBINOMALATO a rnra di Ruth S. Eissler, Anna Freud, Mariannt- Kris e Albert .I. Solnit Presentazione di Massimo Ammaniti Come influisce la malattia del corpo sullo stile della nostra esistenza? Programma di Psicologia 286 pp. L. 37 000 MORJTZ SCHLICK FORMA E CONTENUTO L'organizzatore del "Circolo di Vienna" espone organicamente la propria teoria della conoscenza. Lectio 182 pp. L. 28 000 Bollati Boringhieri
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==