Alfabeta - anno X - n. 105 - febbraio 1988

Alfabeta 105 Cfr pagina 21 sulla riflessione artistica del passato - e un'auspicata neomodernità, rappresentata dall'astrazione, da «questa» astrazione. Due ordini di domande fungono da premessa: se l'astrazione sia assolutamente irriducibile alla riflessione sul passato, se, cioè, tra l'astrazione e l'arte recente non vi siano punti di contatto, e - seconda questione - se e come questa astrazione possa essere il vessillifero di una rinata modernità e non la continuazione di una tradizione del nuovo. Nell'astrazione, generalmente, non vi sono intenzioni affabulatorie, che costituiscono un elemento fondante di quasi tutte le riflessioni citazionistiche recenti, ma questa mancanza non è fattore sufficiente a dichiarare l'estraneità dell'astrazione da ogni citazionismo: anche l'idea di progetto e il modello astratto nell'arte possono rientrare nella categoria della citazione, attraverso la serratura della nostalgia del passato. Chi può affermare oggi, dopo il moderno, che cercare il nuovo non sia una figura della nostalgia? È una trappola da cui non si scorgono vie d'uscita, perché non si individuano i limiti territoriali - muri e porte metaforici - della trappola stessa, perché, tutto, paradossalmente, può essere ridotto a citazione, più o meno sottile: tuttavia, come insegna ogni movimento storico che sia preceduto dal prefisso «neo», la novità va cercata nella diversità minima, nello scarto impercettibile, nel «concetto di limite» - su cui Menna insiste molto - e, spesso, sull'atteggiamento non cinico dell'artista nei confronti della propria opera. Entra in campo, allora, l'aggettivazione di «povera» per questo concetto di astrazione: al di là di ogni riferimento culturale (ancora la trappola della citazione in agguato), si intende una riduzione palingenetica dell'operare artistico al proprio limite di sparizione. Che non è, ancora una volta, la riproposizione maleviciana del punto-zero, ma un più complesso rapporto di nascondimenti, in una cornice operativa non più ottimistica, ma di disagio. Il soggetto si nasconde, ma non si elide, scivola dietro l'opera invece di danzarle davanti; l'affabulazione, Cfr/ Verdino su Anceschi Alberto Bertoni L e idee interdipendenti e congiunte di metodo e di sistema, così radicate nell'esperienza critica e nel magistero accademico di Luciano Anceschi, costituiscono le coordinate essenziali del lavoro che Stefano Verdino ha dedicato ad uno dei protagonisti della nostra cultura del «nuovo». Il libro di Verdino è un paradigma riuscito di scrittura critica in cui testimonianza umana (e talune pagine sembrano davvero rendere il senso del progressivo e fecondo sovrapporsi - tanto nel sistema accademico quanto in quello più screziato della pratica artistica - delle diverse generazioni di «anceschiani») e densità ermeneutica trovano reciproca ragione di sostegno. Fin dal titolo, risulta esattamente definito l'asse della ricerca, orientato al riconoscimento del nesso produttivo, all'interno del pensiero critico e dell'insegnamento di Anceschi (ma i due termini, in tale ambito, costituiscono di frequente un'endiadi), di «teoria» e «militanza»: nesso d'altra parte fondato su un criterio mobile e «relativo» di autonomia dell'opera d'arte (in particolare alla luce delle predilezioni anceschiane, la poesia), autonomia tanto più proficua quanto più riconoscibile «nel rilievo di tutte le possibili relazioni che la riguardano» e nella dimensione di «autonomia del fine» scissa come tale da un'idea di scrittura autotelica e autosufficien~e. Da questo punto di vista, risulta allora soprattutto utile la proposta di biografia intellettuale che occupa il primo capitolo del libro di Verdino, un conciso ed efficace excursus dalle precoci prese di distanza rispetto al crocianesimo dell'Anceschi laureando, ai suoi rapporti con l'ambiente fenomenologico milanese del maestro Banfi e del coetaneo Paci («Eravamo tutti d'accordo in una sorta di rifiuto radicale, e il concetto e la pratica dell'antidogmatismo articolata in tutto il gioco della sua sensatezza acquistò per noi molta forza, divenne una sorta di programma ... »), all'incisiva presenza nell'esperienza di «Corrente», al rifiuto del neorealismo e della let-- teratura ideologicamente «impegnata» del primo dopoguerra, al riconoscimento e alla fondazione critica del rapporto tra Lirici nuovi e Novissimi, ermetismo e sperimentalismo, fino all'ininterrotta direzione - ormai più che trentennale - di una rivista insieme teorica e militante come «Il Verri». L'idea anceschiana di critica, quale si evolve ed articola tra l'esordio di Autonomia ed eteronomia dell'arte e il successivo Progetto di una sistematica dell'arte, viene ad organizzarsi intorno ad una sostanziale fenomenologia del consapevole e del nuovo, ricerca sempre pronta a porre in discussione i propri presupposti teorici, l'indice del critico-lettore puntato sulla pagina e sulla sua potenziale autoconsapevolezza, sulla varietà pluridirezionale che scaturisce dall'intenzione d'origine. Se comprendere, secondo Anceschi, equivale a trasformare l'energia virtuale di un testo in esperienza, allora « non si può pensare alcuna idea della critica, ma solo fondarne la funzione come continua vivificazione dell'opera nel tempo, come maieutica del suo linguaggio». Le intersezioni tra fondamenti epistemologici e conseguenze pratiche di questo approccio ad un tempo mobile, problematico ed esatto all'opera, al suo albero genealogico (le «poetiche» evidentemente non ignorano le sfere complementari dei generi, delle tecniche, delle istituzioni) e alla sua efficacia per così dire dialogica, costituiscono l'architettura profonda del lavoro di Verdino, teso a ricostruire con esatta perizia filologica la mappa dei più autentici interlocutori di Anceschi, sul versante critico (tra Serra e Borgese, Giucome si è detto, si elimina, per quanto, anche nell'astrazione, un sentore di racconto si possa comunque ritrovare, in riferimento inevitabile al passato; il colore si riduce al non colore, al bianco e al nero (benché questo mi appaia come il punto più fragile di tutta l'operazione); il progetto operativo - e qui è la sostanza nuova della riflessione sull'astrazione - coincide quasi con la fattura dell'opera, cercando una composizione delle • - apone tra progetto e opera, tra concetto e prassi. Il fine progettuale, cioè, non è più lontano e cosmico, ma vicino, realizzabile e individuale, mentre la progettualità concettuale ammette di poter essere mutata durante la costruzione dell'opera, «sulla base di uno spostamento di accento dalla dimensione semantica alla dimensione sintattica» (Menna, 1986). Questa raggiunta uguaglianza tra costruzione dell'opera e costruzione del nuovo (anche «costruzione» soffre degli stessi equivoci di «astrazione») sembrerebbe dunque una soluzione consolatoria, una riduzione delle idealità finalistiche alle possibilità realizzative. Si configurerebbe cioè una rinuncia al progetto eversivo, al modello totalmente nuovo, in favore di una pratica concretezza, che potrebbe assomigliare molto a quell'efficacia, che costituisce la sola legittimazione nella società postmoderna ma l'atteggiamento eticamente coerente e per nulla cinico dell'artista mette al riparo da questa possibile interpretazione. Se, infatti, si dovesse evidenziare il passaggio tra una generazione d'artisti recente e quella attuale, penso si dovrebbe cercare nell'abbandono di ogni felicità e facilità sia fabrile che, soprattutto, concettuale, in favore di un sempre più acuto senso di disagio etico nei confronti del reale. Astrazione povera Gianni Asdrubali, Antonio Capaccio, Annibel-Cunoldi, Mimmo Grillo, Bruno Querci, Lucia Romualdi, Mariano Rossanu, Rocco Salvia A cura di Filiberto Menna e Fulvio Abbate Milano, Studio Marconi 1 dicembre 1987 - 19 gennaio 1988 trilibri seppe De Robertis e Gargiulo, D'Ors e Bo) come su quello artistico. Per questo particolare rispetto, il merito primo riconoscibile ad Anceschi è quello dell'identificazione di un'origine del nostro Novecento poetico radicalmente altra a raffronto di quella «decadente» in accezione limitativa della koinè crociana. A ciò, d'altra parte, non risulta certo estranea nemmeno l'articolata ricostruzione anceschiana del concetto di Barocco (e la sua conseguente «contemporaneizzazione»). Ma si pensi ancor più a come Anceschi ha contribuito a rifondare il rapporto differenziale-contrastivo Pascoli (visto quale autentico precursore dell' «oggettività emblematica»)/ D'Annunzio, sul quale andrà oggi innanzi tutto ricordata (per la lettura nuova del D'Annunzio giovane, per la ricchezza di sfumature «laterali» non ancora appieno valutate dalla «critica della critica» dannunziana) 1' Introduzione ai due «Meridiani» dei Versi d'amore e di gloria curati dall' Andreoli e dalla Lorenzini. In quel contesto, sotto la specie di un manierismo «maniacale», viene colta e messa in rilievo la fondazione da parte di D'Annunzio di quel «particolare repertorio del1 'immaginario e dell'analogico» poi ravvivato e mutato integralmente di segno dai poeti delle generazioni successive. Comunque, almeno altri due «nodi» centrali della riflessione anceschiana emergono nitidamente dal contributo di Verdino: l'intelligenza di un futurismo «segreto» e in certo modo «sotterraneo» che - attraverso l'idea di una pratica prevalentemente tecnica della letteratura - «alimenta molta parte del Novecento» (e l'attenzione, più che su Marinetti, di cui peraltro viene sottolineata l'alta consapevolezza teorica quale si realizza nei più riusciti dei «manifesti», sarà allora di preferenza incentrata su un Lucini e su un Palazzeschi); il rilievo dell'altro «conflitto» centrale per la vicenda della nostra poesia contemporanea, quello tra l'Ungaretti «perno su cui ruota nel primo Novecento il passaggio dalle forme aperte alle forme chiuse» e il Montale dell'eliotiano «correlativo oggettivo», portatore nella cultura italiana di un'eterodossa matrice anglosassone. Non è difficile, da tali presupposti, ricavare la coerenza profonda delle tradizioni del «nuovo» alla cui definizione teorica e alla cui realizzazione concreta Anceschi ha contribuito più da vicino, dall'ermetismo alla lirica nuova, alla linea lombarda, alla neo-avanguardia. Dal libro di Verdino, dunque, emergono pienamente i tratti distintivi dell'aperto e anti-dogmatico relazionismo proprio della filosofia anceschiana; di un «saper leggere» sottratto a qualsivoglia forma di pre-giudizio o di impressionismo e nutrito invece da un rispetto di fondo per la storicità e l'identità plurime del testo letterario; di una strategia originariamente dialogica e interrogativa della parola critica, impreziosita sempre dal crisma di un movimento «creativo» della scrittura e dello stile; di un'idea in progress di metodo che non esclude, a tutt'oggi, il rischio cognitivo del nuovo e del marginale, in relazione dialettica con il caos primigenio del «garbuglio» vitale; di un concetto, alla maniera di Eliot, dinamico e attivo di tradizione, in antitesi con la percezione statica e museale propria di troppa critica «accademica». I tratti distintivi, insomma, dell'ininterrotta lezione di decenza e di civiltà che dalla cattedra dell'Università bolognese o dalle pagine del «Verri» un maestro autentico del nostro sapere umanistico è riuscito a trasmettere. Stefano Verdino Luciano Anceschi: esperienza della poesia e metodo Genova, Il Melangolo, 1987 pp. 188, lire 21.000 Einaudi PierPaoloPasolini lettere1955-1975 Conunacronologdieallavitaedelleopere Gli anni dell'«impegno», il successo letterario, il cinema, le grandi polemiche civili. A cura di Nico Naldini «Biblioteca dell'Orsa», pp. CLXXVII-803, L. 45 000 SonyLabouTansi Lesettesolitudini diLorsaLopez Il piu estroverso scrittore africano contemporaneo esordisce in Italia col suo «romanzo tropicale». A cura di Egi Volterrani. «Supercoralli», pp. v-169, L. 20 ooo JoséMaria EçadeQueiroz Il Mandarino seguitdoa Labuonanima Due racconti misteriosi e un po' diabolici di uno dei maggiori scrittori dell'Ottocento. A cura di Paolo Collo. «Gli struzzi», pp. 125, L. IO ooo OttieroOttieri Viamo I «racconti» poetici di Ottieri: padri e figli, Milano e Roma, il privato, il politico, la tenerezza ... «Collezione di poesia», pp. 69, L. 7000 FedoDr ostoevskij Lenottibianche Un« sognatore» a Pietroburgo. Nota introduttiva di Angelo Maria Ripellino. Traduzione di Vittoria de Gavardo. «Gli struzzi», pp. xrv-75, L. 8000 PaoloFossati La cc pitturametafisica» De Chirico, Carrà, De Pisis e Savinio: la vicenda dell' « arte metafisica» in una ricostruzione minuziosamente documentata, che illumina un'intera stagione culturale. «Saggi», pp. xxrv-201 con 61 illustrazioni fuori testo, L. 32 ooo MichaBilachtin L'autoreel'eroe Teorilaetterareiascienzuemane L'autore e il suo personaggio, Dostoevskij, Goethe e il romanzo di formazione: alcuni temi fondamentali della letteratura europea nei saggi inediti di Bachtin. A cura di Clara Strada Janovic. «Paperbacks», pp. xv-429, L. 40 ooo AbdelfattaKhilito L'autoreeisuoidoppi L'autore, la scrittura, il genere: dalla cultura araba classica una «provocazione» con cui la letteratura occidentale è chiamata a misurarsi. Traduzione di Gianni Turchetta. «Nuovo Politecnico», pp. vr-136, L. IO 000

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