Alfabeta - anno X - n. 105 - febbraio 1988

pagina 18 B. Hettne Le teorie dello sviluppo e il terzo mondo Roma, Asal, 1986 pp. 212, lire 10.000 A.O. Hirschman L'economia politica come scienza morale e sociale Napoli, Liguori, 1987 pp. 222, lire 21.000 I pionieri dello sviluppo A cura di G.M. Meier e D. Seers Roma, Asal, 1986 pp. 494, lire 45.000 S i può definire «crisi» la fase attraversata attualmente dalle teorie dello sviluppo? L'interrogativo ci è suggerito da un dibattito organizzato poco tempo fa dalla Banca mondiale, tra i massimi pionieri e i giovani leoni della disciplina (/ pionieri dello sviluppo). I «pionieri» (Meier, Seers, Bauer, Clark, Hirschman, Lewis, Myrdal, Prebisch, Rosenstein-Rodan, Rostow, Singer, Tinbergen, Streeten) sono coloro il cui pensiero e la cui opera, già negli anni quaranta, hanno definito lo sviluppo come oggetto di studio e come processo da modellare. Riconsiderare con loro quarant'anni di esperimenti, successi, fallimenti personali significa rivisitare tutta la fase contemporanea delle scienze sociali dello sviluppo. I «giovani» (Lipton, Srinivasan, Pyatt, Diaz Alejandro, Harberger, Mynt, Fishlow, Bhagwati, Avramovic, Helleiner, Mohammed, Balassa, Bruno) non solo riproducono. i conflitti dei padri fondatori, ma ne allargano il ventaglio. Agli economisti accademici si oppongono gli studiosi «artisti» che privilegiano la riflessione sul1 'informale e sono scettici sulla validità di qualsiasi modello formalizzato. Alle «fissazioni» dei neo-classici - «fissate i prezzi a un livello adeguato e tutto funzionerà nel migliore dei modi!» - si oppongono gli strutturalisti, che vedono nel sistema economico un'entità complessa quasi immodificabile, se non si tiene conto della composizione organica e della qualità delle risorse impiegate, nonché degli stimoli atti a disvelare risorse sociali latenti. Inoltre, secondo la metafora di Archiloco, alle volpi che sanno molte cose si oppongono i ricci, che ne sanno una molto importante ... ma non è detto che per ogni riccio la cosa importante sia sempre la stessa. Infine, l'antagonismo più emblematico tra le due scuole di pen- - siero dominanti: è vantaggioso o no per i paesi in via di sviluppo integrarsi nel sistema economico mondiale? e, soprattutto, se l'autarchia è comunque impossibile, in che modo possono essi «perseguire politiche in grado di massimizzare i vantaggi e ridurre al minimo le influenze negative nei ... contatti col mondo industrializzato?» (I pionieri dello sviluppo, p. 452). Privilegiando settori di intervento su grande o su piccola scala? E, ancora, con quali modalità di intervento? Quelle dei burocrati, meticolosi e zelanti, ma timorosi dei grandi mutamenti, o quelle degli utopisti, fortemente innovativi ma altrettanto fortemente insofferenti alle analisi particolareggiate dell'esistente? Il ventaglio delle posizioni dunque si allarga: lo schema bipolare tradizionale si rivela riduttivo. La querelle tra gli «ottimisti» del paradigma della modernizzazione, paladini della visione delle magnifiche sorti e I pacchetti di Alfabeta progressive, e i «pessimisti» dell'approccio della dipendenza, per cui lo sviluppo degli. uni si nutre del sottosviluppo degli altri, non solo si diluisce in una serie di posizioni intermedie, ma si dilata lungo nuove dimensioni. Conviene quindi adeguarsi alla definizione che di «sviluppo» dà l'approccio sistemico: «lo sviluppo è aumento di complessità», e ad ogni occasione in più che ti viene offerta corrisponde un'incertezza in più. Ecco allora in cosa consiste la crisi delle teorie dello sviluppo: nella convivenza tra i grandi fallimenti dei grandi approcci paradigmatici contrapposti (dal Che Guevara ai Chicago boys), ma anche nella riuscita di tentativi - sia pure circoscritti, limitati nello spazio e nel tempo, dunque non generalizzabili né definitivi - afferenti a strategie e a visioni del mondo tra loro incompatibili --~ .... , .. ,. ~ ... ·- . . .... ---·-""'-., .... ~~~-....···· •• -·--. ...-:, •. ·: in grado di cancellare) suggerisce di raffigurare la questione dello sviluppo in un affresco dalle proporzioni sempre più vaste. Nell'affresco sono rappresentati itinerari molteplici e orizzonti nuovi:. manca, però, come è logico, la cornice. S e tale è lo stato dell'arte delle discipline dello sviluppo oggi, allora più che mai A.O. Hirschman è un «eroe del nostro tempo». I suoi percorsi disciplinari non conoscono confini; sono piuttosto lo specchio dei suoi viaggi nello spazio e nel tempo: il nascente nazismo in Germania e l'antifascismo clandestino in Italia, l'America del piano Marshall e le favelas latinoamericane (e i trasporti in Colombia, dove gli aeroporti vanno meglio delle autostrade perché i rischi di catastrofe inducono improvvise capacità di manutenzione metico- ~ .-. -.. _. ···~·-·- . ·-.. .... ,.._ ..--.,...,__ • f~ •••. -~;:~_.,__ - • • -;;;~::~-=:?.: ~~~~ •••• .::~: ·-••.. -~~~~->;r, -·. ~- -..........___ -:::--~~-..... ••. .. Altri candidati, «Le Charivari», 3 febbraio 1871 (da Taiwan al Nicaragua). Come dire che, siccome tutti hanno torto, nessuno ha torto, o viceversa, visto che tutti hanno ragione, nessuno ha ragione. Il quadro della disciplina si è.dilatato, si moltiplicano le ricette pragmatico-strategiche (commercio coll'estero e rivoluzione verde, monetarismo e protezionismo, socialismo africano e industrializzazione forzata) e, per contro, fioriscono le prefigurazioni ad alto contenuto normativo (il· mito dell'autosufficienza, il soddisfacimento dei basic-needs come pre-condizione, l'alternativa dell'ecosviluppo) (Le teorie dello sviluppo e il terzo mondo, pp. 107-129). La consapevolezza di vivere in un sistema mondiale fondato sull'interdipendenza tra Nord e Sud, tra Est e Ovest (ma anche tra il passato, il presente e un futuro che siamo Iosa impensabili nel terzo mondo); la cultura «fredda» dei campus statunitensi e il disincanto del dibattito parigino, il tutto condito da tratti esistenziali che fanno di lui un «bastian contrario» (dichiarato, A.O. Hirschman, p. 135) per natura, incapace di allinearsi ai postulati degli opinion leaders di turno, alla perenne ricerca del paradosso che destruttura le certezze acquisite e i luoghi comuni. Dunque non collocabile su nessuna barricata (i monetaristi vorrebbero in lui un precursore, visto che da anni avversa il ruolo di un attore pubblico programmatore dello sviluppo equilibrato, ma egli sostiene anche l'esigenza di un tale attore che, stimolato dall'incertezza, e dagli imprevisti, sappia improvvisare decisioni innovative). Nel dibattito tra i «Pionieri» è senz'altro Alfabeta I 05 il più citato (/pionieri ... , p. 475) tra i contemporanei, ma anche quello più ferocemente criticato (ivi pp. 147-154). Quel che è certo è che, in lui, l'incertezza, propria di una lettura sistemica dello sviluppo, finora chiave di interpretazione delle sole società complesse, diventa parametro universale per la comprensione delle realtà sottosviluppate e dei rapporti NordSud, vale a dire scoperta delle «connessioni» che costituiscono il tessuto della complessità umana - morale e sociale - di realtà colonialisticamente ritenute «semplici». È dalla centralità dell'incertezza come categoria universale, interpretativa della direzione dei processi di trasformazione che nasce la riscoperta del concetto di limite sociale allo sviluppo del massimo economista sociale contemporaneo F. Hirsch (A- .O. Hirschman, pp. 77-78). Fred Hirsch è stato, infatti, il massimo «continuatore» contemporaneo di Karl Marx e di Joseph Schumpeter nello studio dei meccanismi di auto-distruzione nello sviluppo delle società contemporanee: l'etica del successo, che sostiene un modello di sviluppo occidentale, e può risultare fondamentale nella mobilitazione di risorse umane latenti, si autoalimenta del proprio successo finché sono in pochi a perseguirla; finché «gli altri» subiscono o comunque indulgono in comportamenti diffusi, più solidaristici e meno competitivi, legati all'autotutela da passioni d1ssolutorie di tipo pre-capitalistico. Ma successo e potere sono successo e potere sugli altri, significano farsi servire da altri: quando questa etica si sviluppa essa induce una delusione delle aspettative di chi la persegue, se tutti avessero successo sugli altri e si facessero servire non esisterebbero gli sconfitti e i servitori. Di qui il limite sociale di un modello di sviluppo che anziché dilatarsi è destinato ad autodistruggersi, se non vi è una ricostruzione pattizia delle premesse etiche di solidarietà che ne avevano permesso il decollo, ma che lo sviluppo del modello ha corroso. Ad Hirschman il merito di aver rilanciato il pensiero di Fred Hirsch e le connessioni tra economia e morale, allargandole al nodo del decollo nel tempo (le origini della dominanza del mercato) e nello spazio (la modernizzazione dei paesi sottosviluppati). Forse Hirschman avrebbe potuto spingersi più oltre. Non fermarsi al pendolo tra visioni rivali - autodistruttive e sinergetiche - di società comunque oscillanti tra il principio organizzatore dello scambio di mercato e quello della redistribuzione dello stato interventista. Polanyi e il principio dello scambio fondato sulla reciprocità affiorano solo marginalmente nelle sue righe. E ancora l'assenza di quantificazione, nei suoi esempi è troppo radicale. Troppi allievi (idiot disciple dice Diaz Alejandro) abbacinati dal suo gusto del paradosso potrebbero dimenticarsi che se un po' (quanto?) di qualcosa va bene (incertezze, difficoltà, ambizioni e proteste che mobilitano risorse nascoste per lo sviluppo), troppo (quanto?) va male; altri allievi potrebbero ignorare (come dice Streeten) che molti brillanti assunti paradossali sono, purtuttavia, falsi. Ma criticare lo stile di Hirschman (dice Diaz Alejandro) significa altresì lodarlo (Pionieri, p. 149) «... piuttosto che lamentarsi se Mozart non ha lasciato nessuna formula che permetta di riprodurre almeno qualche altro Mozart per ogni generazione, dovremmo rallegrarci di averne avuto almeno uno».

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