Alfabeta - anno X - n. 105 - febbraio 1988

Alfabeta 105 Martin Heidegger Segnavia A cura di F. Volpi Milano, Adelphi, 1987 pp. XIV-522, lire 60.000 Ernst Jiinger Ùber die Linie in AA. VV., Anteile. Martin Heidegger zum 60. Geburtstag Frankfurt/Main, Klostermann, 1950 pp. 245-284, s.i.p. Gianni Vattimo La fine della modernità Milano, Garzanti, 1985 pp. 191, lire 16.000 W eg,:narken: questo è il titolo tedesco della raccolta di saggi heideggeriani.apparsa recentemente presso l'editore Adelphi. La parola Wegmarken è usata per designare cartelli posti lungo la strada e che indicano la direzione: ·segnavia dunque. Ma questo titolo va spiegato. Gli scritti del volume si presentano come indicazioni che mostrano un cammino, che lo punteggiano e ne segnalano l'ulteriore percorso. Heidegger ha così voluto attribuire ad essi una funzione semantica e al tempo stesso far capire che il suo pensiero non è un'architettonica statica ma un cammino, metafora del movimento. Spaziando lungo un arco di oltre quarant'anni, le Wegmarke11; sono dunque segnali filosofici disseminati sul sentiero heideggeriano. L'accessibilità di questo sentiero sembra dipendere dalla comprensione dei segnali che lo costellano, ma anche dopo aver afferrato il loro senso non ci saremo impossessati del pensiero di Heidegger: a quel punto avremo solo imboccato il suo stesso sentiero, ci saremo messi in cammino insieme a Heidegger. E, come dice Gadamer, camminando con Heidegger avremo la possibilità di scoprire il nostro proprio sentiero. La «funzione» delle Wegmarken vorrebbe andare al di là della didattica di un'improponibile dogmatica heideggeriana, superare l'appropriazione del pensiero di Heidegger, per assolvere al compito maieutico di stimolare a «pensare» in proprio. Se seguiamo questi segnali scopriamo però molto dell'itinerario compiuto da Heidegger in direzione delle sue opere maggiori. Infatti se per esempio poniamo in relazione l'analisi critica dell'esistenzialismo di Jaspers (1925] (pp. 431-471), la discussione su Fenomenologia e teologia [1927] (qui riproposta a 13 anni di distanza dalla prima traduzione italiana ormai irreperibile) o la configurazione del Dasein che scaturisce dal resumé del corso su Leibniz [Marburgo 1928] (pp. 35-37) con l'analitica esistenziale -di Essere e tempo, ci accorgiamo di trovarci in presenza di lavori che possiedono un'autonomia e un respiro propri e che, insieme, ci aiutano oggi a comprendere meglio il capolavoro del 1927. Se poi, con un salto cronologico, ci soffermiamo sulla Lettera sull'umanismo [1949] (pp. 267-315) o sul saggio La questione dell'essere [1955] (qui tradotto per la prima volta, pp. 335-374), ritroviamo passaggi cruciali del periodo successivo alla «svolta». L'ontologia «antiumanistica» e la riflessione sul nichilismo, che in La questione dell'essere si presenta in forma di colloquio con Ernst Junger (come risposta cioè al saggio di Jiinger intitolato Uber die Linie [ Oltre la linea], di cui purtroppo non c'è ancora la traduzione italiana, si collegano con la serie di corsi su Nietzsche degli anni quaranta, di cui ripropongono e ridiscutono aspetti decisivi. Dei risvolti terminologici che caratterizI pacchetti di Alfabeta pagina 17 ali sulsentiero Renato Cristin zano queste due fasi e che rappresentano la chiave per entrare nelle pieghe concettuali di un procedere talvolta inaccessibile, sempre comunque contraddistinto da uno scavo profondo nei meandri della lingua tedesca, il glossario redatto da Franco Volpi fornisce una prospettiva che va ben al di là dei problemi di traduzione. L'apparato critico si completa infine con una nota storicobibliografica con cui Volpi inserisce la raccolta nell'insieme della produzione heideggeriana. In considerazione dell'esorbitante numero di temi che emergono dal volume e che, sotto forma anche solo di accenni, echeggiano tutti i problemi fondamentali di Heidegger, risulta difficile sia isolare di volta in volta una determinata questione sia, all'opposto, fornire una lettura unitaria. Sembra necessario invece guardare al luogo verso cui tendono le Wegmarken: e cioè alla situazione dell'essere nel seno della metafisica. Bisogna guardare alla «cosa stessa» che si trova sul sentiero; per questo ho parlato di prospettivismo a proposito stinalmente collegati, vengono qui esperiti come tratto invalicabile: «In ordine all'essenza del nichilismo non c'è alcuna prospettiva di guarigione e alcun senso a esigerla», perché «l'essenza del nichilismo, che da ultimo si compie nel dominio della volontà di volontà, sta nella dimenticanza dell'essere». (pp. 337 e 370). Non dobbiamo abbandonare il nichilismo (in quanto fenomeno dell'oblio dell'essere) perché non possiamo farlo, perché non possiamo staccarci del tutto dalla metafisica, che dell'oblio dell'essere è responsabile. Scrivendo con la barratura a croce, Heidegger traccia l'ambito in cui l'essere si annichila e, contemporaneamente, si manifesta nell'incrocio fra terra e cielo, uomini e dei. L eggiamo certo questi saggi come incursioni nella metafisica che hanno come scopo il suo superamento: ma cerchiamo anche di scorgere come questi tentativi di forzare un blocco, di passare la linea di confine tra metafisica e pensiero L"Esposizione: «Mi scusi se non le 9ffro una sedia, ma sa ... - La Pace: «Non si preoccupi, io sono abituata a non star seduta ... » del glossario e della nota introduttiva, perché solo proiettando i segnali verso il loro c9mpimento riusciamo a sfruttarne il contenuto semantico e simbolico. Si tratta cioè di tenere d'occhio l'interpretazione heideggeriana della nostra epoca in base al destino dell'essere, ovvero alla configurazione che l'essere assume in questa. I segnali aiutano lo sguardo a posarsi su «ciò che è», comprendendolo. Per Heidegger «ciò che è» è intriso di metafisica e di nichilismo. Ma, anche se alcune linee esegetiche vedono nel nuovo inizio heideggeriano del pensiero una recisione netta con il metafisico, il rapporto fra pensiero dell'essere e metafisica (nichilismo) non si risolve in una scissione, bensì matura ambiguamente, snodandosi attraverso balzi, passi indietro, sortite e regressi. Questo si nota in generale nel pensiero heideggeriano. In Segnavia troviamo numerose conferme, soprattutto nello scritto La questione dell'essere. Nichilismo e metafisica, dedell'essere, debbano risolversi in oscillazioni continue e, da ultimo, nell'accettazione della metafisica. Solo se partiamo dall'ipotesi che Heidegger voglia e altro non possa se non permanere nella tradizione, possiamo interpretare i suoi tentativi come i più feroci attacchi contro la tradizione. Ossia, se fin dall'inizio crediamo che Heidegger oltrepassi la metafisica in direzione di un altro pensiero, ci troviamo spiazzati quando, alla fine, il terreno della metafisica rimane ancora per Heidegger il suolo su cui sostare, in cui radicarsi. Se invece 'cogliamo questo dimorare come tratto caratteristico del pensiero heideggeriano, non solo nessuna correzione in senso metafisico potrà stupirci o sembrarci contraddittoria, ma il progetto complessivo ci apparirà come un'estrema tensione della metafisica stessa verso un esterno ignoto e rischioso. Questo «fuori» non si configura però come un opposto rispetto al «dentro» del discorso metafisico, quanto piuttosto come la proiezione lacerante del nucleo interiore. È un po' come l'interno dell'esterno dell'interno di Handke: applicato al pensiero, questo rapporto fa saltare i confini surrettizi della tradizione, portandola verso un punto di disgregazione produttiva, di dilatazione paradossale in cui la metafisica finisce per attrarre a sé il pensiero non-metafisico e per esserne a sua volta assorbita. In questo senso il saggio «sulla linea» (dove uber per Jiinger è un «oltre», un «di là», mentre per Heidegger significa «intorno a») esplica in modo esemplare l'insostenibilità di una linea di demarcazione: anche la linea, la linea-zero o il nulla, ha la propria «zona» e questa appartiene al piano dell'essere. Che ci sia «essere» anche entro il logos metafisico sembra un buon indizio per commisurare la vastità del campo di tale logos. Che in quest'ultimo l'essere subisca una compressione e un oblio che lo restringono e lo trascurano, non pare sufficiente perché tale campo scompaia. Ma bisogna precisare che non siamo qui in presenza di una modificazione della metafisica nel verso, per esempio, della «metafisica rivedibile» proposta da St. Korner o da H. Poser, dove il vecchio impiant~ dovrebbe essere rinnovato in connessione con le nuove scienze dell'esperienza. Pur contenendo elementi di estremo interesse, che si avvicinano alla riformulazione della metafisica fornita da Whitehead, questa direzione non è quella presa da Heidegger. La fine della metafisica non coincide per lui né con l'inizio di una scientificità metafisica, né con il trapasso verso un pensiero dell'impossibile, che rivolga le proprie radici al cielo anziché sprofondarle nel terreno della tradizione. In questi ultimi anni nella ricerca heideggeriana si è insistito molto, anche in Italia, sul rapporto fra superamento e accettazione della metafisica. Sono note le analisi intorno al concetto di Verwindung della metafisica: approfondimento, accettazione, remissione. Ma in questo ambito il pericolo di precipitare nell'impossibilità di procedere sembra tanto elevato quanto quello, insito nell'interpretazione opposta, di rimanere senza alcun fondamento e non poter più retrocedere. Si _può invece ipotizzare una lettura della Verwindung che la radicalizzi, come la proposta di Vattimo in direzione di una «ontologia del declino»: la Verwindung è un gesto e «la parola che può definire questo atteggiamento nei confronti del passato e di tutto ciò che, anche nel presente, ci è trasmesso, potrebbe essere ancora un'altra, quella di pietas» (La fine della modernità, p. 184). Anche la metafisica è sul sentiero, sul suolo dell'abitare e del pensare: declinare significa anche avanzare sul sentiero, seguirne i tornanti e così, procedendo, ritornare indietro. Pensare è camminare e solo il sentiero ci conduce nell'essenza della metafisica, ossia della nostra epoca: «La metafisica, per la sua stessa essenza, non consente mai al dimorare umano di insediarsi propriamente nella località, cioè nell'essenza, della dimenticanza dell'essere. Perciò è necessario che il pensare e il poetare ritornino là dove, in certo qual modo, sono sempre già stati, senza aver mai ancora costruito. Solo costruendo, infatti, possiamo preparare il dimorare in quella località. Tale costruire difficilmente può già pensare di erigere la casa per il Dio e le dimore per i mortali. Esso deve accontentarsi di costruire il cammino che riconduce nella località del superamento [Verwindung] della metafisica e che fa passare ciò che per destino è assegnato a un oltrepassamento [ Uberwindung] del nichilismo» (p. 371).

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