Alfabeta - anno X - n. 105 - febbraio 1988

pagina 10 A più voci Alfabeta 105 I EditoriélccCulturale A differenza di quanto avviene in altri paesi, ad esempio in Francia, dove da anni i volumi dell'Histoire de l'édition indagano puntigliosamente nelle vicende dell'editoria, in Italia le ricostruzioni storiografiche sulle case editrici sembrano piuttosto nascere per l'iniziativa di singoli studiosi o per le celebrazioni di qualche ricorrenza. L'una e l'altra motivazione portano ora in primo piano la casa Le Monnier, arrivata al suo 150° anno di vita: un libro di Cosimo Ceccuti, con prefazione di Giovanni Spadolini, pubblicato proprio dalla Le Monnier, ne traccia la storia, venendo ad aggiornare l'importante contributo che Ceccuti aveva già presentato nel 1974, con il titolo Un editore del Risorgimento, e che si limitava al periodo 18371865. Il nuovo volume, molto più agile dell'altro (che seguiva minuziosamente le vicende di Le Monnier, riportando anche, in appendice, un utilissimo «inventario delle pubblicazioni effettuate dalla casa editrice nel periodo marzo 1849-maggio 1864», con tanto di sorprendenti tirature), estende la ricerca fino ad oggi e, pur dovendo sacrificare la minuzia documentaria, permette il confronto tra diversi periodi. Presentando il volume, Giovanni Spadolini (attuale presidente della casa editrice) insiste soprattutto su due aspetti che è interessante richiamare subito: lo stretto legame, durante il Risorgimento, tra storia editoriale e storia politica; la professionalità con cui si muove il giovane Le Monnier (nato a Verdun nel 1806) quando, proto di una tipografia parigina, decide nel 1831 di trasferirsi a esercitare in Grecia il suo lavoro e, fallito il progetto, si ferma a Firenze. Anche qui trova lavoro in una tipografia ma presto ne apre una a suo nome, intraprendendo, nel 1837, appunto, l'attività editoriale. La sottolineatura di questi due momenti porta con sé l'indicazione di un modello: Le Monnier non concepisce un'editoria esclusivamente commerciale, ma nello stesso tempo non concepisce che l'editoria non si presenti come attività imprenditoriale: al punto che, caso raro in Italia, paga i collaboratori e soprattutto gli autori, quando ancora non si era affermato il diritto d'autore. Il modello di editore incarnato da Felice Le Monnier (e implicitamente riproposto) è quello dunque dell'imprenditore che si fa operatore politico-culturale, piuttosto che quello di un editore commerciale toutcourt o di un animatore culturale ricco solo di speranze. Il dibattito sull'editoria porterebbe lontano, e conviene tornare a Le Monnier, che si fa erede dell'opera editoriale di Pietro Vieusseux (proprio nel 1832 era stata costretta alla chiusura !'«Antologia», una delle testate più prestigiose dei gruppi liberali) e non esita a pubblicare (facendolo stampare in Francia e portandolo avventurosamente nei territori toscani) Arnaldo da Brescia di Giovan Battista Niccolini. Era il 1843, e lo «scandaloso» testo «politico» apriva la lunga stagione della «Biblioteca nazionale». Riconoscibile per la sua copertina rosa e la sobria eleganza, che mirava più all'essenzialità tipografica che alla preziosità dei fregi grafici, la nuova collana avrebbe presentato i classici della letteratura e gli scrittori moderni, per sollecitare, anche attraverso un'opera letteraria, gli ideali nazionali. Dal punto di vista editoriale, l'obiettivo on11ier150° Alberto Cadioli significava l'allargamento, come scrive Ceccuti, della «cerchia degli utenti», rivolgendosi «con prezzi relativamente bassi, al più vasto pubblico borghese dei ceti medi, la nuova borghesia emergente, e, laddove l'argomento trattato lo consente, a quello delle classi più popolari» (p. 20). È di questo periodo anche il progetto di pubblicare le «opere complete» degli scrittori più importanti: un progetto ambizioso, che alcune volte viene portato avanti pur tra difficoltà (è il caso di Leopardi, la cura dei cui scritti, a pochi anni della morte, è contesa tra Antonio Ranieri e Pietro Giorprogetto venga comunque ripreso dalla Le Monnier nel corso del Novecento, e per cura dei migliori filologi foscoliani. N el periodo risorgimentale è così stretto l'intreccio tra editoria, letteratura e politica, che Ceccuti, nella sua precedente ricerca, aveva scritto che «più che la pubblicazione di un certo volume, è il particolare momento, il modo e le circostanze in cui è avvenuta l'edizione che fanno diventare politico anche un fatto prevalentemente letterario» (p. 9). L'annotazione vale anche per alcuni momenti non i Una situazione che comil1"cia diventare faticosa, «Le Charivari», IO gennaio 1868 dani, gelosi l'uno del lavoro dell'altro), altre volte invece vanifica: come quello dell'edizione completa dei testi foscoliani, affidati a Mazzini, dopo un impegnativo esborso per l'acquisto dei manoscritti. Mazzini si mette al lavoro firmando un buon contratto (era anche questo un modo di Le Monnier per aiutare i patrioti, lui «cavouriano» poco propenso alla rivoluzione), ma sopraggiunge il '48: davanti all'azione, la letteratura cede il passo. Usciranno in seguito alcuni volumi per opera di altri, e forse non è senza importanza che il secondari dell'editoria novecentesca, sempre in coincidenza di forti momenti di tensione politica, ma in queste nuove occasioni la Casa Le Monnier non ha più avuto un posto centrale. Con il raggiungimento dell'Unità d'Italia, la produzione della casa aveva infatti subìto inevitabili contraccolpi: la «Biblioteca nazionale» non riscuoteva più ampi successi, e Felice Le Monnier nel 1865 aveva ceduto l'azienda a una società (Successori Le Monnier) guidata da Bettino Ricasoli. Inutile seguirne analiticamente le vicende: la produzione fondata sul rapporto libro-movimento risorgimentale era stata accantonata, alla ricerca di testi di successo economico immediato, senza grandi preoccupazioni ideologiche e senza troppi programmi. Era sì proposta la «Nuova Antologia», ma si puntava su nuove collane e soprattutto sulla produzione scolastica. Ma per far bene gli imprenditori nel campo del libro occorre fare buoni libri, e non sempre questo avveniva. Venuta meno l'impostazione di Le Monnier, la Casa era entrata in un momento difficile, destinato a proseguire, con alti e bassi, fino al 1919, quando l'azienda viene rilevata da Armando Paoletti. L'impostazione del nuovo proprietario è assolutamente imprenditoriale, ma con-una rinnovata atfenzione per i programmi editoriali che qJalificano indiscutibilmente le pubblicazioni della casa con «opere essenzialmente di studio». Il rinnovamento non è interrotto durante il fascismo (che non trova nella Le Monnier una casa d'opposizione ma nemmeno un'editoria totalmente schierata con le richieste culturali del regime), ed è confermato nel dopoguerra, con nuovi collaboratori: da Piero Calamandrei e Vittore Branca e Giacomo Devoto, per limitarsi a pochi nomi. Anche oggi si presentano importanti testi «di studio»: dalla collana «Quaderni di storia», ai dizionari, alle edizioni scolastiche. Per quanto riguarda la letteratura si pubblicano i ·classici mirando al rigore necessario (ne è un esempio l'edizione delle Grazie, uscita nel 1986 a cura di Mario Scotti). Del resto non ha più ragione una letteratura con la pretesa di essere di supporto all'azione politica: il Risorgimento, nelle sue diverse fasi, anche novecentesche, e soprattutto nelle sue forme, è finito, e l'imprenditorialità editoriale deve porsi sul terreno della concorrenza per la sua serietà: nella cura dei testi, ma anche nella loro presentazione finale in veste di prodotto. Si potrebbe chiudere qui con le riflessioni sollecitate dal 150°della Le Monnier, ma se ne vuole aggiungere un'altra. Si diceva all'inizio degli ancora scarsi studi sulla storia dell'editoria italiana. Negli ultimi anni in realtà sono state presentate numerose ricerche: ma curiosamente le indagini più particolari riguardano tutte l'editoria fiorentina degli anni trenta, dalla Nuova Italia alla Sansoni. È venuto alla luce lo stretto legame tra le diverse iniziative editoriali di Firenze, per cui ad un certo punto, anche se per poco, si assiste ad una vera e propria «concentrazione» nelle mani di Gentile, Orzalesi, e Paoletti, appunto, che governano la Sansoni, la Bemporad, la Le Monnier. Poi ciascuno dei soci si dedica ad una delle sigle in particolare, diventandone unico proprietario. Il fenomeno riguarda l'editoria di cultura, che è investita ante litteram dai problemi tipicamente industriali della proprietà azionaria. Le case «commerciali» sembrano ancora, paradossalmente, nonostante la loro maggior forza sul mercato, estranee a questi processi. La riflessione porterebbe lontano: di certo c'è che mai, esaminando le vicende della Le Monnier (o della Sansoni) si incontra il nome di Mondadori. L'editoria di cultura e l'editoria che mira soprattutto al successo commerciale sono state a lungo (e forse sono ancora) su due pianeti diversi.

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