I Alfabeta 104 politiche. Beffardamente, ha torturato regioni tradizionalmente agricole come la fascia orobica, estranee al turismo come la bassa Valmalenco, o naturalisticamente protette come la zona di Morignone, la Valfurva o la Val di Rezzalo, risparmiando le grandi concentrazioni turistiche dall'impatto ambientale rilevante. Nelle cause remote e occasionali, la catastrofe si è formata al di là della barriera umanamente controllabile dei duemila metri, come dimostrano i solitari circhi vallivi, piccoli paradisi ecologici ora ridotti a pietraie. Il trascinamento di materiale che ha eroso gli alvei dei torrenti scaricando fango e detriti su terreni e insediamenti a valle si è innescato già nelle morene glaciali. Le responsabilità umane, centrali e locali, possono aver influenzato gli effetti puntuali dell'alluvione, ma non hanno alcun rapporto di scala con le cause, comprese le prossime. La fascia abitata e coltivata, con i suoi borghi storici e le recenti espansioni, dove non ha subito l'affronto incontrollabile di fiumi e torrenti è intatta. I vigneti a terrazzo, frettolosamente messi sotto accusa in occasione della frana di Tresenda del 1983, sono integri. Tutto questo fu subito chiaro a chi volle vedere, e ancora più chiaro doveva apparire dall'elicottero, un punto di vista privilegiato di cui la stampa ha ampiamente goduto. I dati sulla piovosità e sulla portata del1'Adda erano accessibili fin dai primi giorni 1. La musica rock nella sua essenza più intima sembra essere un fenomeno tipico della tarda modernità, almeno per ciò che di circolare caratterizza la sua evoluzione. Se infatti per la musica classica e per lo stesso jazz si può parlare di «storia», per il rock, a rigore, ciò non è possibile. Dal «clavicembalo ben temperato» alla forma sonata, all'atonalità, la musica seria occidentale può interpretare i propri diversi momenti come tappe di un'evoluzione lineare. E forse lo stesso può dirsi anche per il jazz: il concetto di progresso insomma, tipicamente moderno, ben si attaglia a definire il movimento che nella storia della musica afroamericana ha visto il bebop superare lo swing e a sua volta essere soppiantato dal free. Ora, rispetto al rock, è proprio la nozione di progresso ad entrare in crisi. Certo, non c'è musica più del rock tanto in relazione con le mode: i generi si susseguono a velocità forsennata e senza alcuna linearità - la storia del rock è una linea continuamente spezzata. Più che evolversi il rock sembra infatti segnato dalla tendenza al rimescolamento di suoni e culture musicali differenti che saccheggia ma ai quali dà voce: dal blues al folk, alle musiche etniche, allo stesso jazz e alla classica. Rotture storiche non mancano: si pensi anzitutto al punk, ma anche al «rock progressivo» dei Cream che nasce in opposizione al Beat, o alla neopsichedelia contro il teèhnopop. Ma tali rotture, a ben vedere, non sono che periodici azzeramenti linguistici, reazioni allo standardizzarsi ed accademicizzarsi di uria pratica musicale che rifiuta irregimentazioni stilistiche (salvo poi vivere pesantemente i condizionamenti dell'industria, ma questo è un altro discorso ... ). Il rock insomma gira in tondo, ricicla, rielabora (tanto che forse, paradossalmente la sua specificità linguistica si può dire risieda proprio nella mancanza di un linguaggio autonomo) e periodicamente «torna alle origini». Appena il suo linguaggio diventa troppo sofisticato e troppo difficile da suoA più voci nella loro muta eloquenza: i 300 mm di pioggia caduti in media sull'intera provincia in tre giorni, i 490 caduti tra il 17 e il 18 luglio a Arigna, la punta di 305 del 18 a· Scais, la neve di una stagione precipitata a valle in due giorni, i 1840 mc/sec scaricati dall'Adda nel lago di Como, contro i 1100 del record storico del 1911. L'opinione pubblica aveva il diritto di conoscere questi dati. I Valtellinesi avevano diritto al rispetto e alla generale simpatia che la semplice conoscenza dei fatti avrebbe suscitato. Di fronte a una catastrofe naturale immane, che mette in gioco interessi, prospettive, identità culturale e memorie storiche di un'intera regione, l'insieme della stampa, con poche eccezioni che non bastano a correggere la curva del fenomeno, ha riproposto il coccodrillo da catastrofe estiva mirabilmente sintetizzato da un passo de «La Repubblica» (21 luglio): Basta una grandinata per provocare uno smottamento, basta un nubifragio ed è subito alluvione. Il racconto delle catastrofi traccia una curva evolutiva singolare e inquietante: generosa nel deprecare e nel denunciare al momento della sciagura naturale, del bisogno di solidarietà materiale ma anche verbale, la stampa ha completamente dimenticato la sua missione sociale al momento del rischio politico e umano, mentre un ministro indebolito e chiacchierato prendeva decisioni rilevanti per migliaia di persone. Il leitmotiv della «catastrofe annunciata» e il provinciale silenzio sulla sorte della convalle di Poschiavo, situata in territorio svizzero, dominano le cronache e i commenti di luglio. I resoconti anteriori alla grande paura di fine agosto e posteriori allo spettilcolo della «tracimazione controllata» si riducono a passivi riporti di dichiarazioni ufficiali. La continuità, su cui si basa l'idea della «catastrofe annunciata», tra i fatti di luglio e le vati.e situazioni a rischio è del tutto immaginaria. Le frane storiche curate o censite non si sono mosse, mentre sono franati, per erosione traumatica, terreni ritenuti sicuri. Le rovine di Tresenda e l'alluvione di luglio sono fenomeni complementari, antitetici nelle cause e negli effetti, al di là del magico potere unificante del marchio Valtellina. Il motivo della «catastrofe annunciata» offre in compenso un grande richiamo emotivo, suggerendo infamanti inadempienze. Uno sguardo nella convalle di Poschiavo, accomunata alla Valtellina nella scala sovrumana della disgrazia al di là delle differenze politiche, avrebbe suggerito maggior prudenza nel momento di fare della Valtellina l'emblema assoluto dei mali d'Italia. Infine, una rigorosa documentazione su quanto accadeva intorno al lago di Morignone avrebbe reso un reale servizio ai Valtellinesi e all'opinione pubTaccuini pagina 71 blica, evitando il grottesco stupore di fine agosto. Se cerchiamo di capire come mai il racconto e il commento della catastrofe sono passati completamente a lato dei suoi connotati concreti e dei concreti motivi di mobilitazione, riusciamo a immaginare una sola ipotesi: l'urgenza di utilizzare l'emozione e l'attenzione collettiva come cassa di risonanza dei grandi e in sé sacrosanti temi ecologici ha visto nei dati obiettivi, nella genuina preponderante naturalità della catastrofe, un ostacolo all'incisività della denuncia. Proclamare valori nella sfera della grande etica col sacrificio della specifica etica professionale ha come unico risultato durevole l'indebolimento dei valori, e nuoce ovviamente alla causa proclamata. La lezione ecologica era di prim'ordine. Ne beneficeranno i Valtellinesi, che hanno imparato dall'esperienza diretta ma a prezzo di immani sofferenze. Non altrettanto probabilmente l'intera nazione. Se un compito più alto, al di là della professione, vorremmo riconoscere a un giornalista, è proprio la capacità che i grandi hanno di estendere i benefici di un'esperienza dai suoi sfortunati soggetti a un pubblico più largo. Ma un felice trasferimento è inseparabile dal rispetto dei fatti e dal controllo delle emozioni. sceltedel rock Toni Robertini nare, spunta una nuova generazione che lo riconduce ad una originaria «primitività». Il caso del punk è paradigmatico: sul finire degli anni settanta Sex Pistols e co. fanno letteralmente a pezzi il «rock sinfonico» di Genesis, Yes, Emerson Lake & Palmer (un genere estremamente complesso tecnicamente e peraltro molto imparentato col kitsch). E la loro musica non è affatto «più avanti»: i punk suonano anzi molto «peggio» dei loro predecessori. A differenza dunque da quanto avviene nel jazz (un assolo di Coltrane è «più avanti» di uno di Parker, perché Coltrane ha digerito ed assimilato la lezione di Parker - dunque il suo assolo è anche più difficile da eseguire), il rock dopo il punk è paradossalmente più facile da suonare. Il lungo tirocinio sullo strumento è sostituito da una pratica immediata e na1ve: «Puoi diventare musicista di rock dopo sei mesi di pratica, mentre per il classico od il jazz occorrono degli anni» (Robert Fripp). 2. Sul carattere «irrazionalistico» del rock sembra non vi siano dubbi: sin dai tempi di Presley non sono mai mancati censori pronti a giurare sulla sua «demonicità», e l'accostamento del concerto rock al rituale dionisiaco è ormai un luogo comune. Ciò che ai luoghi comuni sfugge è invece l'inquietante intreccio tecnica-irrazionalità che nel rock si mostra. La tecnica, attraverso i suoi apparati (e senza i quali il rock non può esistere) fa per così dire «da supporto» al dionisiaco. Da Heidegger alla scuola di Francoforte·, la tecnica è sempre stata considerata la concretizzazione della razionalità, al punto di identificarsi con essa. Nei concerti rock sembra rovesciarsi nel proprio opposto: lo sviluppo tecnico produce irrazionalità, e !'«aura» che Benjamin riteneva fosse destinata a scomparire dal mondo artistico, nel rock viene addirittura intensificata e moltiplicata dagli apparati tecnici. La dimensione culturale dell'esperienza estetica (non si parla proprio di cultbands? di artisti da culto?) trova nell'utilizzo di imponenti apparati tecnici (amplificazioni, luci stroboscopiche, fumi, laser, ecc.) una nuova ed imprevista ragione d'essere. E allora, se il concerto rock è un grande rito, non va sottovalutato che questo rito è officiato con il supporto della tecnica. E quanto il rock_sia strettamente connesso con la tecnica è più che mai evidente in sala d'incisione. Qui la sua dimensione «metafisica» e di simulazione emerge in tutta la sua evidenza. Da un punto di vista «ontologico» infatti, il disco rock è un oggetto completamente differente dal disco di musica classica o jazz. Tanto la musica seria quanto il jazz utilizzano infatti il disco per documentare e riprodurre un'esecuzione realmente avvenuta: i musicisti suonano «live in studio» cioè tutti insieme contemporaneamente. Al contrario, il disco rock non riproduce un tempo esistito realmente: attraverso le tecniche di registrazione multitraccia (introdotte negli anni sessanta e recentemente digitalizzate - i suoni cioè sono diventati numeri), i musicisti incidono uno alla volta. A lavoro finito, il tempo del brano registrato è un tempo completamente astratto, mai esistito. Così per i suoni, appunto digitalizzati (ma sin dall'origine sono stati suoni elettrici). Anch'essi non hanno alcun aggancio referenziale, sono simulati, al punto che, come nota Baudrillard, lo stesso concetto di «alta fedeltà» oggi è divenuto paradossale. Tanto è vero che, se per la musica classica ed il jazz è necessario che il suono del disco non si discosti troppo dal suono del concerto, per il rock è necessario, al contrario, che il concerto ricrei il più possibile «fedelmente» i suoni falsi dell'incisione. 3. Nel rock è difficile parlare di «sogget- • ti». A parte la musica classica, di sicuro nel jazz l'enfasi è messa sull'espressività dell'artista. Tutta la ricerca tecnica che il jazzista conduce ha come obiettivo finale il superamento della materialità dello strumento: la trasformazione in «prolungamento» della sua interiorità. Paradossalmente nel rock molto spesso più creativi sono i meno dotati tecnicamente. A parte pochi autentici virtuosi (un nome per tutti: Hendrix - ma la sua importanza nella storia del rock non è assolutamente confinata nel campo della «bravura»), i musicisti rock più interessanti sono quelli che, a causa della propria impreparazione tecnica, ricercano sullo strumento quelle sonorità e quelle soluzioni che un musicista di medio livello scarterebbe a priori considerandoli «errori». Dai Pink Floyd a Jesus And Mary Chain l'incapacità tecnica è indice di creatività. Ma non solo. Forse tale incapacità è anche il sintomo di una sottomissione alla tecnica (cioè: agli apparati tecnici) tutta da decifrare. Il «soggetto» nel rock raramente giunge alla padronanza tipica del jazzista. Addirittura si può dire che nel rock non esistono soggetti singoli ma solo gruppi-in-trasformazione (Sartre) la cui socialità si esprime in musica nel sound, immediatamente riconoscibile, di ogni singola band (e gli stessi grandi personaggi come ad esempio Jagger o Bowie esistono anche grazie a quei musicisti del loro entourage coi quali lavorano da sempre e con cui hanno sviluppato il loro proprio linguaggio). Dunque: niente soggetti singoli ma gruppL Niente perfezionamento tecnico ma soggezione alla tecnica. Tutto ciò ci consente di azzardare che forse nella musica rock si stia profilando una situazione in cui il soggetto classico della metafisica abdica in favore di un soggetto «debole>>:L'uso «selvaggio» e «primitivo» che degli strumenti fa il musicista rock sembra rinviare ad una condizione esistenziale in cui il soggetto non è più il punto di partenza di una prassi espressiva orientata in senso «forte» ma soltanto il luogo di attraversamento e di registrazione di stimoli. La creazione cede il passo alla registrazione; il musicista, più che guidare il proprio strumento, lo asseconda docilmente: «Sento di lavorare al meglio quando opero come una macchina, quando ogni passo del processo compositivo non dipende da una scelta ma si presen,- ta come inevitabile» (Brian Eno).
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