I Alfabeta 104 L a polemica artistica non c'è più, così come non c'è più un panorama contraddittorio non dico di ricerche ma di proposte. Quella che una volta si indicava col termine di controcultura è ormai solo un ricordo e, per alcuni, un rimorso o una nostalgia. Si è tornati al personaggio io, tutto fervore solipsistico che dieci anni fa sarebbe stato letto come un delitto di leso progressismo. In realtà tutti vogliono salvarsi l'anima e la pelle. L'assenza di tensioni e di conflitti, la diffusa scontentezza, il disagio del presente al presente, il crepuscolarismo lamentoso e piccolo borghese, la regressione sterile sono il risultato della caduta del progetto, del progetto degradato ad utopia fuori moda. La componente del far arte contemporaneo che ha caratterizzato gli anni ottanta è stata, e continua ad essere, l'incapacità di una visione del futuro o, se si vuole, la visione del futuro come perdita, quella che Ludwig Binswanger avrebbe indicato come una vera e propria prospezione malinconica. Non siamo in un momento di grande confusione, come si sente dire spesso, no, siamo in un momento di qualunquismo organizzato, di omogenizzazione delle emozioni, di pastorizzazione della cultura, di modelli fortemente televisivi. Siamo alla fine del secolo e, come è accaduto sovente in altre fins de siècle, anche noi attraversiamo il manierismo, il riflusso, l'elusione dei problemi, il rifiuto del progetto, l'affettuosa assistenza di noi a noi stessi, piccole A più voci Temi. Tradizione del nuovo Lea Vergine ... #M' (!!: 'tifr Il J) _3_"_hrf% ' ~ _:-,5) '<..:::~ .... il) infelicità senza dèsideri. Pratichiamo tutte le strategie della sopravvivenza nel deficit generale, nella caduta di un Interesse, di un'Ideologia, di una Speranza Progettuale. Quindici anni fa arte come difesa e, oggi, arte come auto-terapia. Quel che è più grottesco, nelle arti visive, è l'uso di modelli trascorsi; l'astratto-informale degli americani, l'espressionismo dei tedeschi, il terzo futurismo o la Scuola Romana degli anni quaranta in Italia, tutto ciò che viene catalogato come post-modem o post-avanguardia. Grottesco perché non si tratta di un passato su cui ci si interroga ma di un passato che si rifà senza mediazioni o apporti critici. Si va dalla copia alla mimesi, dal remake alla rivisitazione, dal rimpianto al processo di proiezione. Certo, l'arte non è mai stata così mondana, nel senso del mondano che toglie valore, che predica l'istantaneo, che non tollera la profondità. Ma che cosa vogliono gli artisti d'oggi? Distruggere un sistema di comunicazione e insediarne un altro come era successo ai loro predecessori? No. Perché quelli della landart o dell'arte povera o della body art, per far qualche esempio, affetti da quel morbo squisito che è la volontà di rifare il mondo, proponevano un modello di far arte legato criticamente alle esigenze del presente e comunque alternativo a quanto c'era prima. L'arte è stata negli ultimi trenta anni il desiderio di presentare modi inediti di comunicazione, è Temi. Tradizione del nuovo pagina 51 stata anche un cercare di liberare la gente perché riuscisse a vivere meglio la vita. A tanti autori di oggi, invece, il mondo pare andare benissimo com'è, col suo consumismo bieco, con la sua vigliacca riconversione a modelli di vita e di pensiero che rivalutano i concetti di stabilità e di sicurezza. Gli aneliti morti, soffocati, ogni passione spenta. Grazia, garbo (talvolta lezio), un odore di frivolo sotto forme solenni e pompose, un che di convenzionale, l'inezia collegata con l'assurdo e il paradosso, un certo brutalismo folclorico, e quella mediocre meraviglia di una situazione prospera ma non eccelsa né entusiasmante in quanto aliena dal grande colpo d'ala come dal grande errore: questi i caratteri comuni ai giovani pittori e scultori d'oggi, per esempio. Il livello della produzione è mediamente modesto; rari i frizzi, la capacità di sgarrare per amor d'avventura, piuttosto è evidente la corsa alla garanzia, l'operare sotto la protezione delle matrici degli anni sessanta o settanta; di qui il post-informale, il neo-poverismo il post-minimalismo e il dopo-concettuale. Quindi poco spazio alla fantasia, nessuno alla follia, buon senso e comfort invece, accorto uso dei materiali, spesso sagace abilità artigianale, assenza di ambizioni stravolgenti e di emozioni violente. Il risultato? Opere, operine, opericciuole, sinonimi, d'après, citazioni, repliche, dannazioni delicatissime, pas des deux. L'etica dell'estetetica I l giudizio estetico è sempre un'espressione di un pregiudizio estetico, dove gli elementi costituenti la sua specificità spesse volte sfuggono a un controllo semantico intorno ai significati dei termini utilizzati, ma anche della stessa espressione linguistica. È difficile, allora, parlare del nuovo rispetto a ciò che è stato, se gli stessi interlocutori del discorso non sempre sono in grado di decifrare le diverse posizioni e i diversi atteggiamenti valutativi. Tra la critica d'arte e la produzione artistica ci sono sempre stati rapporti d'identificazione e di militanza, o di rifiuto aprioristico; raramente ci sono state relazioni di reciproca attenzione affinché la qualità del dire e del fare potesse migliorare. Lo stato dell'arte vive l'incertezza di una situazione culturale dove tutto è possibile e niente è proibito; per cui lo stesso lettore colto, non avendo di fronte a sé un altro, ma soltanto un deserto anonimo di presenze anonime, (quasi tutte pronte a seguire, passivamente, i grandi trend delle ideologie dominanti) non sceglie ma è scelto. Sarebbe necessario riportare la riflessione estetica all'interno di un orizzonte etico, non per nostalgie vetero-contenutistiche, ma perché finalmente anche l'arte non sia esclusivamente un gioco di false dissonanze e diventi, invece, anch'essa, parte integrante della cultura media di una società. Come scrive Filiberto Menna, a proposito della tradizione del nuovo («Alfabeta», n. 103), «gli artisti della nuova situazione oppongono una più acuta coscienza del limite, l'esigenza moderna di affidarsi a procedimenti formativi sorretti da un\ntenzionalità progettuale, da un più rigoroso controllo ment)tle e da una finalità di ordine costruttivo». Come definire questa riflessione di Menna se non in quanto desiderio di ordine progettuale, che è sempre prima etico poi estetico? La modernità nell'arte ha sempre mostrato un volto ambiguo: se la forma, il livello dell'espressione devono primeggiare sul momento della riflessione e della costruzione, in questo caso un soggettivismo senza alcun controllo (molte volte solo puro e semplice protagonismo formale) diventerebbe la ragione stessa dell'esistenza dell'opera d'arAldo Co onetti te, come se l'atto creativo significasse esclusivamente dare forma ad altre forme. L'altro volto della modernità, per quanto riguarda l'arte, è stato ed è, ancora, il credere che la pura intenzionalità concettuale sia sufficiente per riprodurre la realtà, per pensarla, affidando così all'arte il compito di indicare alcune tensioni progettuali, senza dare ad esse una consistenza fenomenica. L'arte, potremmo dire, non può essere moderna se non attraverso una sua parziale rivelazione nell'accidentalità fisica dei materiali, dei linguaggi, di altre strutture formali, appartenenti a diverse esperienze progettuali. È proprio questa sua ambiguità che ha reso possibile alla critica, di sempre, di costruire tendenze, valori, singolarità, e da qui dedurre modelli interpretativi per leggere e discriminare nel mercato della produzione artistica. Non è una visione catastrofica questa: è lo stato delle cose che da sempre esiste e che, in particolare, Kant nella Critica del Giudizio, definisce come il secondo momento del giudizio estetico, secondo quantità: «Il bello è ciò che è rappresentato, senza concetto, come l'oggetto di un piacere universale». Senza concetto, quindi senza paradigmi validi a priori per tutti, anche se la critica cerca e ha cercato di ricostruire una trama possibile del bello da offrire all'orientamento estetico generale. Se l'arte tenta di presentarsi come un insieme di immagini, di testimonianze altre rispetto alla realtà; alla storia, alla visione del mondo che ci siamo progressivamente costruiti, allora non è sempre semplice né possibile definire la modernità dell'arte: rispetto a quale non-moderno è in grado di opporsi, dialetticamente, il moderno, se l'arte sfugge a una totale riconducibilità all'interno del modello? Certamente, e qui hanno ragione sia Leonetti sia Menna, è necessario riscoprire nuove tensioni creative che sono state, in questi anni ottanta, fortemente condizionate e represse dal «risorgimento pittorico post-moderno» (Menna); anche perché il nuovo, per poter emergere, deve coniugarsi «con le punte del '60, col loro sperimentalismo e con i loro problemi di statuto linguistico» (Leonetti, «Alfabeta», n. 101). Ma l'arte, la produzione e soprattutto la critica sono in crisi proprio perché c'è sovrabbondanza di tendenze, di repertori interpretativi; per cui tutto è possibile e nulla, invece, è confrontabile perché ciascuno si pensa al centro del mondo. Ci sono tanti, troppi sistemi tolemaici; questo impedisce la circolazione delle esperienze, dei linguaggi e rallenta la crescita diffusa di una nuova consapevolezza critica. L.a libertà dai vincoli progettuali, intesi sia come materiali ma anche come dizionario di segni, filologicamente definito ed accertato, provoca una falsa, apparente, autonomia del gesto creativo, come se il regno della necessità appartenesse solo al mondo della casualità naturale, mentre l'assenza di regole fosse propria della creazione artistica. Ernst Cassirer preferisce parlare di costruzione piuttosto che di creazione: «L'estetica e la metodologia artistica che corrispondono a questa concezione non saranno affatto un'estetica e una metodologia tutte affidate idealisticamente alla creazione, all'intuizione libera da regole, alla libera inventiva, ma saranno al contrario un'estetica e una metodologia volte ad
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