Alfabeta 104 Se interrompete invece la vostra produzione artistica dopo aver creato una cosa, questa diventa una <?Osa-in-sée lo rimarrà. Ma se si ripete per un certo numero di volte, diventerà gusto». 11 Nell'opera disabituale I' Erstaunen apre invece la possibilità di cogliere l'inesauribilità delle cose. La pittura non doveva più ormai limitarsi ad essere meramente visiva o «retinica», ma interessare anche quella che Duchamp chiamava la «materia grigia», ossia il nostro appetito di comprensione. I nterrogandosi sulla cosa nel suo carattere di cosa, nella metà degli anni trenta, Heidegger denuncia la superficialità della fiducia nell'interpretazione abituale della cosa. E poiché «l'esser soggetto-oggetto da parte dell'umanità non è stata né sarà l'unica possibilità dell'essenza futurativa dell'uomo storico», 12 alla filosofia si pone il compito di interrogare le cose che sino ad ora ci sono state presenti (accanto) come oggetti intramondani, come cose già date sulle quali la scienza è legittimata ad esercitare la sua comprensione calcolante. Come si è visto, il confronto con l'opera di Duchamp si è svolto alla luce della problematica filosofica della cosa. È giunto ora il momento di specificare la ragione per la quale si è parlato di Duchamp come «cerniera» fra Husserl e Heidegger (sebbene il lavoro artistico di Duchamp si possa egualmente avvicinare anche ad altri tipi d'interpretazione non identificabili a quelli dei due filosofi appena nominati). Da un lato l'operazione disabituale di ritardo attardante sull'opera è concepibile come una sorta di sospensione (quella che F. Menna pone in relazione diretta con l'epoché di Husserl); dall'altro lato l'esposizione del ready made come tale, più o meno modificato, sembra eliminare del tutto quella che per Kant era la genialità dell'artista. Nel ready made scompare ogni soggetto: l'opera d'arte, rinunciando al suo carattere abituale e ponendosi come una mera cosa la cui oggettività rimanda a regioni differenti dalla sua oggettualità utilizzabile, impedisce la formazione di un soggetto fruitore (o artefice). La cosa, in un certo senso, si presenta da sola: di qui il suo carattere sorprendente (l'Erstaunen). L'artista non ha più altro ruolo che quello mediatore fra l'innumerevole infinità delle cose e la loro esposizione attardante: nel Dictionnaire abrégé du surréalisme Duchamp definiva il ready made un «oggetto usuale promosso alla dignità d'oggetto artistico dalla semplice scelta dell'artista». Scelta mediatrice, non più creatrice. In Heidegger tale scelta si manifesta come una risposta a un appello, non come l'esercizio di una volontà. «Nell'opera d'arte- scrive infatti ancora nel saggio sull'origine dell'opera d'arte - la verità dell'ente si è posta in opera. 'Porre' significa qui: portare a stare. In virtù dell'opera, un ente, un paio di scarpe, viene a stare nella luce del suo essere.» Il riferimento è a un quadro di Van Gogh, ma l'interrogazione volge alla questione della cosa. Nel corso del saggio appena citato la cosa perde le sue caratteristiche determinanti e oggettivabili per ritirarsi nel suo essere più proprio, mentre il pensiero la incalza in questo suo ritirarsi (tutto l'interrogare heideggeriano ha la forma di questo incalzare che non lascia nulla per dato, ma che questiona «le cose» appunto in vista della loro assenza). Il pensiero si trova allora disorientato di fronte alla rovina della fiducia con la quale si assegnavano regole precise alle cose in vista di un loro uso appropriato: ma solo così è possibile, secondo Heidegger, scoprire uno spazio diverso nel quale avvicinarsi ad esse (uno spazio che echeggia la nozione platonica di «chora», nel Timeo). «Le cose non sono fuori di noi, nello spazio esterno misurabile, come oggetti neutrali (ob-jecta) di uso e di scambio, ma sono invece esse stesse che ci aprono il luogo originario a partire dal quale soltanto diventa possibile l'esperienza dello spazio esterno misurabile». 13 L'operatore artistico di Duchamp si pone in questo spazio, alla ricerca di esso: nello stesso modo anche l'inaudito sottrarsi della macchina suicida di Tingueley. Ma si tratta di un altro spazio, per cui il termine stesso di «spazio» si rivela inadeguato (troppo carico di «tradizione filosofico-metafisica»). Questo «spazio» nel quale le cose ci vengono incontro in quanto cose, ma che riconosciamo immediatamente come disorientante, spaesante, tragicamente altro da quello nel quale siamo abituati a muoverci, si apre dentro le cose come un loro prodigioso soggiornare. Heidegger lo chiamerà Ereignis, accentuando il senso del suo raccoglimento, della sua inconsueta eventualità, del suo balenìo senza storia. Nel 1935 non aveva ancora questo nome, ma era già posto nelle sue caratteristiche essenziali. Nel saggio considerato la cosalità della cosa viene in luce solo a partire da una riflessione profonda sull'opera d'arte. Questa si rivela infatti come il porsi in opera della verità (in questo senso l'arte, e al primo posto la poesia come Dichtung, hanno un ruolo privilegiato), come il suo storicizzarsi•.«Il porsi in opera della verità apre il prodigioso, rovesciando l'ordinario e ciò che è mantentuto come tale»: 14 nell'opera d'arte la cosa (e la cosalità insita nell'opera stessa) si mostra ad un tempo più ricca e più povera degli attributi d'utilizzabilità che caratterizzano la fiducia con la quale siamo abituati a trattarla. «Modesta è la cosa», scrive spesso Heidegger, perché essa si sottrae al pensiero nel modo più ostinato e si fa innanzi solo in un balenìo, in un evento sorprendente, come in un lampo nella sua verità. Perché la verità (forse proprio come le passioni più grandi che non Saggi conoscono tempo, ma si rivelano improvvise, circondate poi subito dall'abitudine che le soffoca e le «normalizza») è il non-essere-nascosto (aletheia) dell'ente che apre in esso uno spazio inabituale, estraneo alla fidatezza. Pensare le cose, gli uomini," gli enti, per Heidegger, ci rivela quanto poco noi conosciamo dell'ente e delle cose, quale piccola regione occupa il sapere scientifico o l'operare tecnologico. Ciò che crediamo possedere definitivamente come conoscenza scientifica non è che provvisorio e insicuro ( «Das Bekannte bleibt ein Ungefii.hres, das Gemeisterte ein Unsicheres»). Infatti oltre l'ente (ii.berdas Seiende hinaus), e al tempo stesso accanto ad esso, in cospetto di esso, si rivela un Altro (ein Andere) che esso è stesso e che pure non lo è. «Nel mezzo dell'ente nel suo tutto, domin'a ( west) un luogo aperto. C'è (ist) un'illuminazione. Questa, pensata a partire dall'ente, è più essente di ogni ente. Questo Centro aperto non è quindi circondato dall'ente; al contrario, è questo Centro che - come il nulla, noto a mala pena - circonda ogni ente.» 15 Ma questo centro aperto, Altro, illuminante, che si trova nel mezzo dell'ente è parimenti un nascondimento: esso ci si sottrae sottraendoci l'ente nel suo essere più proprio. In questo senso il non-esser-nascosto dell'ente non è un suo stato abituale ma un accadimento ( Geschehnis) che rivela la verità come essente ad un tempo anche non-verità. Il non-nascondimento dell'ente come illuminazione nel mezzo si pone come nascondimento, si sottrae come il più proprio: di qui la conseguenza che di contro alla fiducia familiare sulle cose, «il sicuro è in fondo malsicuro, non è rassicurante del tutto». 16 Non è qui il caso di insistere su questo fondo d'insicura velatezza che l'aperto ci rivela nelle cose e che la letteratura del Novecento ha espresso in maniere incomparabili. Molti pagina 33 altri lavori l'hanno già sottolineato esaurientemente. Quello che è invece importante sottolineare consiste nel carattere essenziale di questo spaesamento, di questo aprirsi sottraendosi. Come nella grande poesia e nella grande letteratura del Novecento, il carattere fondamentale malsicuro delle cose, il loro essenziale negarsi, non è affatto una mancanza o un difetto: il venir meno, la povertà di cui Heidegger parla a più riprese, non partecipano della stessa scala di valori che attribuiscono alle cose o é,tlleesperienze il loro aspetto più o meno affidabile (il meglio graduale di una progressiva conoséenza scientifica, per Heidegger). La modestia, il ritiro, il nascondimento, l'abbandono, così come la radura, l'illuminazione, la quiete sono parole di quell'Altro che il pensiero heideggeriano si è continuamente sforzato •d'indagare (interrogare) come coappartenente al mondo· inautentico dell'opinione (dove l'inautenticità .della doia non comporta il disprezzo altezzoso di una filosofia che riproporrebbe in questo modo una ben conosciuta gerarchia di valori). La pala esposta da Duchamp non elimina quella comperata nel negozio con lo scopo specifico di spalare la • neve, ma semplicemente la oltrepassa mostrandone rimandi . rimasti ininterrogati. La cosa esposta rivela in sé una cosalità nascosta che l'operazione artistica da un lato e l'interrogazione filosofica da un altro mettono in questione: non per redimerla da un mondo materiale disprezzabile ma per metterne in luce l'essenziale essere-nel-mondo. La cosa, allora, nel suo attardato ritardo, apre uno spazio che si rivela come un luogo aperto nascosto nella sua intimità. La «scelta» dell'artista che una lettura superficiale (l'altra lettura) non coglie nella sua profondità, ma che Duchamp poneva come il carattere eminente del fare artistico riguardo ai ready mades, apre l'operare ad essa. Heidegger
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