Alfaheta 104 _ Saggi pagina 29 Lacan e la Cosa L ' etica della psicanalisi: seminario numero sette, dei ventisette o ventinove fatti. Dunque un frammento di un parlare durato quasi trent'anni. Durata, insistenza, continuità e discontinuità: non perderne il senso nell'esame anche di un solo momento. Chi parla a chi? Con l'andare degli anni, gli interlocutori scompaiono. Resta una voce sola, nel silenzio degli ascoltatori. Alla fine, anche questa voce tace. Negli ultimi seminari, si dice, Lacan disegnava alla lavagna, o faceva e disfaceva nodi. Alla fine, in piedi, immobile, muto. Se si segue questa parabola, dal principio alla fine, il seminario nel suo insieme appare una sfida, di cui l'arma, unica, è la parola; una sfida contro il silenzio; contro la morte. Gli ascoltatori in verità sono spettatori di questa sfida. Il loro silen_zioè necessario. Di qui l'inaudito della parola lacaniana. Non intreccia un discorso con i presenti. A volte invoca una loro risposta; ma se questa affiora, viene rintuzzata, respinta, al limite spenta. Non ci sono alleati, se non passeggeri, in questa sfida. La lotta è da solo a solo. Una voce insistente, nel silenzio: la situazione ricorda quella d'analisi. Ma con la differenza che Lacan è nello stesso tempo analista e analizzante. Chi ascolta è nella parola di Lacan, non riesce ad uscirne. Domanda ai lacaniani: in quale dei «quattro discorsi» di Lacan rientra questo discorso di Lacan? Il seminario è l' oeuvre parlée di Lacan: altrettanto importante, se non più, dell'opera scritta (spesso di insopportabile sussiego). Un parlato ben distinto dallo scritto (Écrits) e dalla parola pronunciata alla radio (Radiophonie) o alla tv (Télévision). Livello insolito nella cultura moderna (da affiancare forse all'opera di due altri appassionati del linguaggio: de Saussure e Wittgenstein). E livello di cui si perde o si altera la specificità nel momento in cui se ne tenta una versione scritta - o perlomeno una versione d'ordine scritta, che elimina ripetizioni, sospensioni, diffluenze; che cancella le perdite stesse del pensiero, inevitabili e feconde nell'atto stesso del suo procedere. Un esempio chiarificatore. Lacan sta parlando, in questo seminario, di Melanie Klein, e dopo aver asserito che questa pone al posto centrale della Cosa «il corpo mitico della madre», si sofferma sulla formulazione kleiniana della sublimazione come riparazione simbolica delle lesioni apportate al corpo materno. Versione anonima del seminario, 1981 (pp. 141-142): «Il y a là quelque chose sur lequel nous reviendrons, et que je vous pointe d'ores et déjà comme quelque chose dont vous devez tenir compte. Je vous apporterai les textes, si vous ne les avez déjà vu apparaitre dans le champ de votre connaissance. Cet aboutissement de la notion de sublimation; cette réduction de cette notion à cet effort restitutif du sujet par rapport au phantasme lésé du corps maternel, est quelque chose qui nous indique d'ores et déjà que ce n'est assurément pas la solution la meilleure, ni du problème de la sublimation, ni du problème topologique métapsychologique lui meme; les rapports du sujet avec quelque chose de primordial dans son attachement pour l'objet le plus fondamental, le plus archaique c'est quelque chose qui vous permet tout au moins de penser en tous les cas, au point où nous eri sommes, que mon· champ ainsi défini du das Ding - opérationnellement - est quelque chose qui en tout cas lui donne son cadre, l'explique, peut permettre de concevoir la nécéssité, les conditions offertes au fleurissement de ce qu'on pourrait appeler dans l'occasion un mythe analytique, la mythe kleinien comme tel; mais aussi peut-etre en nous permettant de le situer, de rétablir une fonction plus large que celle à laquelle on arrive - et tout spécialement à l'endroit de la sublimation - nécessairement si l'on suit les catégories kleiniennes». Versione Jacques - Alain Miller, Le seuil, 1986, (pp. 127-128): Je vous apporterai les textes, si vous ne les connaissez déjà. Mais je vous dis tout de suite que la réduction de la notion de sublimation à un effort restitutif du sujet par rapport •au fantasme lésé du corps maternel n'est assurément pas la solution la meilleure du problème de la sublimation, ni du problème topologique, métapsychologique, lui meme. Néanmoins, il y a là une tentative d'aborder les rapports du sujet avec quelque chose de primordial, son attachement à l'objet fondamental, le plus archaique, dont mon champ, opérationellement défini, du das Ding, donne le cadre. Il permet de concevoir les conditions offertes au fleurissement de ce qu'on pourrait appeler dans l'occasion le mythe kleinien, mais aussi de le situer, et de rétablir à l'endroit de la Elvio Fachinelli sublimation une fonction plus large que celle à laquelle on arrive nécessairement si l'on suit les catégories kleiniennes». Il texte établi di Miller rende leggibile.e comprensibile una parola che sembra uscire da un labirinto. La versione anonima, basata probabilmente su un resoconto stenografico o su una registrazione, è una tascrizione bruta, che si limita in sostanza all'aggiunta di una punteggiatura, più o meno arbitraria, lasciando però intatto il decorso del parlato. È così possibile cogliere il valore di sospensione elaborativa, riflessiva, insito nelle pause, nelle ripetizioni e stereotipie, nelle circonlocuzioni. Siamo di fronte a un pensiero che si fa, che si cerca, con antenne multiple. La versione ufficiale costituisce un pensiero già fatto, coagulato per così dire, proponendo formule assertive e semplificatorie («je vous dis tout de suite»; «néanmoins, il y a là une tentative d'aforder»), togliendo, aggiustando e grammaticalizzando. II risultato non è certo un travisamento grossolano, né una censura, come da qualcuno è stato detto, ma piuttosto un altro stato del pensiero, a metà strada tra il parlato immediato, monologante sfida continua, e la vera e propria scrittura lacaniana. Di fronte a un vantaggio certo, la leggibilità, abbiamo un che di raddrizzato, corretto, messo in gesso ... Jacques-Alain Miller, inevitabile Procuste di Lacan? L'essenziale della ricerca etica lacaniana si tende tra due asserzioni fondamentali. La prima: «La sola cosa di cui si possa essere colpevole, perlomeno nella prospettiva analitica, è d'aver ceduto sul proprio desiderio», e il desiderio è una «misura incommensurabile, una misura infinita». La seconda asserzione è che il desiderio essenziale, fondamentale, è il desiderio d'incesto, dunque un desiderio colpito dalla legge fondamentale con cui la cultura si oppone alla natura. Dalla tensione, dallo scontro - e dalla complicità - tra desiderio e legge che lo proibisce nasce la dimensione tragica dell'etica analitica, in cui balena il trionfo della morte (o meglio, dell'essere per la morte) e insieme la sua dimensione comica, come scacco fondamentale dell'azione rispetto al desiderio che la abita. Per Lacan, come per Freud, l'incesto per eccellenza è quello del figlio con la madre; l'incesto della figlia con il padre qui non viene considerato, o meglio viene abbandonato alle regole di scambit>delle donne enunciate da LéviStrauss. Risulta dunque in primo piano il rapporto del soggetto con «l'oggetto fondamentale, il più arcaico», secondo la concezione kleiniana, con la madre e il suo «corpo mitico». Ma qui, come abbiamo visto nelle due versioni confrontate, Lacan si stacca nettamente dall'allieva~di Ferenczi e Abraham: la madre si limita ad occupare un posto, all'interno di un «quadro» che prende il nome di das Ding, la Cosa. Questa Cosa, alla sua prima apparizione nel testo di Lacan, sembra una meteora che fulmineamente attraversa il cielo. E come una meteora nel cielo, in gran parte si riassorbe o dissolve in questo seminario. Ne rimane una materia invisibile - presente peraltro in tutta l'opera successiva. Da dove viene? Da un passaggio inavvertito scoperto in un testo abbandonato da Freud, pubblicato postumo e diventato negli ultimi anni quasi una miniera d'oro per i ricercatori: il Progetto per una psicologia del 1895. Com'è noto, Lacan non è nuovo a questo tipo di operazione: la Verwerfung (forclusion) è estratta da un testo clinico di Freud. In questo caso si tratta di un testo teorico. Ma in ogni caso il procedimento è lo stesso. Si tratta dello sviluppo per amplificazione di un senso implicito o tralasciato. Nel passaggio recuperato da Lacan, Freud si pone il problema dell'origine della conoscenza e la trova in una scomposizione del «complesso percettivo primario» («l'essere umano prossimo», Nebenmensch), che è nello stesso tempo per il bambino piccolo oggetto di soddisfacimento e primo oggetto di ostilità. Questo Nebenmensch si separa in due componenti: una ricondotta attraverso la memoria a un'informazione che il soggetto ha del proprio corpo (movimenti della mano, grido, per esempio); l'altra invece nuova e imparagonabile (i lineamenti del volto, per esempio) che «si impone per la sua struttura costante, rimane raccolta come cosa (Ding)». Ecco la Cosa rinvenuta da Lacan nel testo freudiano e sfuggita ai precedenti commentatori; è «l'elemento che è isolato all'origine dal soggetto, nella sua esperienza del Nebenmensch, come ciò che è per sua natura estraneo, Fremde»; è il risultato di una «divisione originaria dell'esperienza di realtà» attorno al quale si orienterà l'intero mondo dei desideri del soggetto - suo altro assoluto, che egli cercherà tutta la vita di ritrovare senza mai riuscirvi. Rispetto ad esso, il soggetto si «costituisce in un modo di rapporto, di affetto primario, anteriore ad ogni rimozione». L'accenno freudiano diventa dunque in Lacan assenza o vuoto attrattivo di enorme significato e fondante un mondo, come la Cosa di cui parla Heidegger in una conferenza citata da Lacan in questo stesso seminario e di cui ripete un esempio famoso, quello della brocca. Per Heidegger, la brocca è modello di un operare originario, con cui il vasaio dà forma al vuoto. È il vuoto che per Heidegger contiene il pieno dell'acqua o del vino che vi si versano e l'atto di versare dalla brocca evoca miticamente la libagione sacrificale, che riunisce le potenze celesti e terrestri. Per Lacan la brocca nella sua forma incarna un significante primordiale che crea il vuoto e con ciò introduce la prospettiva del pieno. La brocca viene così a rappresentare «l'esistenza del vuoto al centro del reale che si chiama la Cosa». I n un altro punto, la Cosa è «al centro delle relazioni significanti in cui si organizza l'inconscio», ma in quanto esclusa, straniera all'io pur essendo nel cuore dell'io, luogo di un'intima esteriorità o «estimità»; oppure, ancora, la Cosa è ciò che del reale (reale nella sua totalità: reale del soggetto e reale a lui esterno) patisce del significante; o «incidenza del significante sul reale psichico»... II te.sto trabocca di ripetute approssimazioni, come a cercare di afferrare - e insieme a rendere inafferrabile - ciò che appare inaccessibile, perduto per sempre e mai perduto, eppure da ritrovare e introvabile ... È qui, attorno alla Cosa, che il pensiero di Lacan urta continuamente. La Cosa balena, si avvicina e si allontana attraverso gli scorci di un pensiero obliquo, di un pensiero anamorfico, che allude ed elude nello stesso tempo. In questa luce compare all'orizzonte, come punto di riferimento fisso, la cosa in sé o noumeno kantiano. Esplicitamente: «Al di là del principio di piacere, all'orizzonte, si disegna il Gute, das Ding, introducendo al livello inconscio ciò che dovrebbe costringerci a riproporre la questione propriamente kantiana della causa noumenon». Accostamento che è forse già presente nel passaggio freudiano portato alla luce (attraverso la mediazione di Brentano?). Ma che in Lacan assume pieno rilievo, e precisamente nel campo etico, come appunto in Kant stesso. Com'è noto, nel filosofo la facoltà dr desiderare, come volontà pura, implica una causalità con libertà, cioè appunto il concetto di una causa noumenon - concetto vuoto rispetto all'uso teoretico della ragione, ma giustificato in concreto nelle intenzioni e nelle massime della vita pratica. Torcendo Kant, Lacan sembra proporre con la Cosa una forma generale del desiderio, valida come legge universale dell'agire. «In fin dei conti è concepibile che sia èome trama significante pura, come massima universale, come la cosa più spogliata di relazioni con l'individuo che debbano presentarsi i termini di Das Ding». Lacan giunge a quest'impostazione dall'impossibilità riconosciuta di dare validità di legge universale a due elementi centrali della costruzione freudiana. Da un lato il desiderio (Wunsch), sempre incontrato nell'analisi come verità particolare, irriducibile, del singolo individuo; dall'altra, il super-io come formazione culturale, la cui genesi si collega in Freud al rapporto con le figure parentali o meglio con il loro super-io, e che in ogni caso implica una connotazione empirica. E però in Freud desiderio e super-io sono collegati: è a partire dall'energia dell'Es che si costruisce l'istanza di controllo. Ed è proprio questo tipo di unione che Lacan intende conservare a un livello trascendentale, spostandola però decisamente verso l'Es, verso il desiderio, secondo la sua nota lettura della formula freudiana: Wo Es war, soli /eh werden, là dove era [Es], là devo accadere. Partendo quindi dall'accenno freudiano, Lacan costruisce un'istanza regolativa del desiderio che nasce dalla radicale divisione originaria del soggetto ad opera del significante. Questa costruzione si rivela immediatamente uno dei punti più delicati dell'intero seminario. Se la Cosa infatti viene a valere come massima universale, si comprende come la sola cosa di cui si possa essere co.lpevole, nella prospettiva analitica, è cedere sul proprio desiderio. Il desiderio viene ad occupare il posto lasciato vuoto dal Tu devi incondizionato kantiano. E la clausola che l'accompagna: nella prospettiva analitica, non è limitativa, al contrario. Implica ciò che vale essenzialmente, al di là delle comuni regole empiriche. Per ordine della Cosa, il super-io si trova immediatamente declassato, se non licenziato (e questo incide, come vedremo, sulla posizione dell'Edipo).
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==